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In Sicilia con una parola puoi dire una cosa (e il contrario): storia di un "malaminnitta"

Essere o fare "malaminnitta" in siciliano può assumere significati molto diversi in base alla situazione. Origine e (i tanti) usi di un modo di dire quasi intraducibile

Alessandro Panno
Appassionato di sicilianità
  • 29 luglio 2024

Giorni fa ero in una delle panchine stradali con il mio vicino di casa, impegnatissimi a smezzarci una birra e parlare di moto, mentre tutto intorno a noi i picciriddi animavano la situazione con i loro giochi.

Si perché, fortunatamente, la via dove abito è a fondo cieco e senza negozi, il che vuol dire picca macchine, a parte quelle dei residenti, e picca vucciria a parte quella dei bambini che giocano, che quella, alla fine fa pure piacere.

Messi da parte cellulari, tablet e consolle di gioco, almeno per il periodo estivo, la strada diventa un proliferare di biciclette, nascondini, pattini e memorabili partire di calcio da strada (di cui ho già parlato in un altro articolo) che inevitabilmente mi riportano a quando avevo la loro età e incoscientemente attraversavo, a bordo di carruzzuna, pattine o bici, la via Brasca, arrivando a folle velocità ra scinnuta del monastero.

Oggi come ieri, facevamo partite che iniziavano alle 9 del mattino per finire alle 9 di sera, ma solo perché i genitori ni venivano a cercare con i cani e la protezione civile.
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Ora, tralasciando il fatto che ad un certo punto pure noi granni, forse a causa della birra, qualche palleggio chi picciriddi l’abbiamo fatto, togliendo ogni dubbio sui nostri peri torti, le nostre partite di calcio da strada erano caratterizzate da un personaggio della zona che si chiamava Giusto, da noi detto Giustino “eccatruna”, famoso nella borgata perché se si innervosiva o era nell’atto di uno sforzo fisico cominciava a piritiare ra bella che a masculiata di iochi i fuoco per Santa Rosalia si poteva ire ad ammucciare.

Così Giustino, mentre giocava a pallone, pareva si muovesse a propulsione a tipo aereo a reazione con conseguente pigghiata pu culo, soprattutto quando stava per fare una qualche azione eclatante o stava per segnare, buttandoci a terra e urlando “Giustì che fa ti lassasti ire? Minchia ra feta, s’abbruciaru i pila ri nasche!”

Giustino - come dargli torto - sa mutriava assai, a maggior ragione se erano presenti fimminiedde, e così partiva per pigliare di prima chi aveva accanto, che tanto eravamo più o meno tutti colpevoli ra pigghiata pu culu, urlando «Ni fazzu minnitta i tìa, cos’inutile!».

Tutto regolare e nella norma, senonché un giorno, alla scena, assistette un mio “cuginetto”di Genova, oggi come oggi cresciuto pure lui, che tra un cianco ed un altro mi chiese che cosa stava a significare “minnitta”.

Giusto per dare un minimo di autorevolezza a tutti sti discorsi i cafè, nel suo vocabolario, il Traina fa derivare “minnitta” da “vinnitta”, che avendo chiare assonanze con l’ italiano vendetta, sta ad indicare “…onta o danno che si fa in contraccambio di offesa ricevuta…”.

Ma, con tutto il rispetto per Traina, chiunque di noi sa benissimo che dietro “minnitta” c’è di più, molto di più, e la cosa era confermata anche dallo stesso Giustino “eccatruna" il quale “minnitta” lo usava in molteplici sfumature e derivazioni.

Il siciliano, tipicamente, con “fare minnitta” o “minnittiare” intende il distruggere, polverizzare, atomizzare qualcosa o qualcuno, insomma farinni minnitta, tant’è che durante le guerre di mafia tale termine veniva usato per identificare le carneficine che questi cati di lippo facevano.

In alcune zone della Sicilia il termine viene associato alla minniulata (da non confondersi con la mennulata) che era una poltiglia di mandorle usata per fare la granita o il famoso latte.

Ma noi siciliani non ci accontentiamo mai, per cui possiamo trovare, derivanti da minnittiare (Giustino docet) anche “sminnare” che va ad indicare qualcosa che, baccamora, andava bene, ma che un intervento esterno, magari nel tentativo di migliorarla, la rovina.

Jachì, ma u viuristi ca stu varviere ti sminnò tutti i capiddi?

Scuole popolari e assolutamente non verificate farebbero derivare “sminnare” anche dallo svezzamento dei lattanti ai quali, mischini, ad un certo punto veniva sottratta la minna materna.

Da non confondere con “sminnittiare”: “Giuvà vinni pi aiutarimi e mi sminnittiò tutte cose…”. La differenza è sottilissima, perché si tratta sempre di rovinare qualcosa, ma stavolta con l’intenzione, da parte dell’autore, di volerlo fare per prestare aiuto, spinto da buona fede e sincero altruismo (ca faciva meglio a tinirisi i manu na sacchietta).

Rafforzativo è invece “malamminnitta”, che è un mondo tutto a parte.

U “malaminnitta” è una persona decisamente sgradevole, che parissi che ci prova prio nell’inquietare i cristiani e procurargli danni o questioni e che, godendo potenzialmente di supposti privilegi, non esita ad usarli, anche a discapito altrui, per un proprio personalissimo tornaconto.

«Ma u sai che si proprio un malaminnitta?».

Ma malaminnitta può indicare anche una situazione sgradevole per qualcuno o qualcosa: «Picciò comu finiu ra questione?», «Ncà…a malaminnitta!», oppure in torno ironico, «era troppo bello du pani ca meusa, ci fici fare na milaminnitta!».

E siccome, soprattutto per un siciliano, umore e stomaco vanno a braccetto, se per caso si è rimasti riuni o delusi dalla pietanza ci si sente come una “malaminnitta”, stato d’animo identificabile a quello di una persona molle, senza stimoli, siddiata, insomma una “cataprasima”.
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