ITINERARI E LUOGHI
Il villaggio (dorato) di Calabernardo: un angolo di Sicilia fuori dalle rotte turistiche
Vi portiamo a conoscere tante casette stiracchiate lungo un tratto di costa bassa e frastagliata. Raccolte intorno ad un minuscolo approdo, con tramonti da cartolina
Poco più a nord del Lido troviamo un piccolo borgo sonnacchioso e tranquillo, che con il mare ha un rapporto autentico, antico e consolidato nel tempo. Si tratta della frazione di Calabernardo, o "Balata", come è chiamata comunemente dai netini. Ci troviamo a ridosso della foce del fiume Asinaro.
Calabernardo è un villaggio di case stiracchiate lungo un tratto di costa bassa e frastagliata e raccolte intorno ad un minuscolo approdo che ospita poche barche tirate in secco. Questo angolo di mare è fuori dalle rotte turistiche estive, complice la mancanza di locali di richiamo.
Nella stagione balneare è frequentato per lo più dai netini che, da generazioni, trascorrono qui la villeggiatura. Alla fine dell’estate però non tutte le abitazioni vengono chiuse fino all’estate successiva, negli ultimi anni è aumentato il numero di coloro che hanno scelto di vivere stabilmente a tu per tu con il mare, dove il silenzio la fa ancora da protagonista.
Ma i tempi del contrabbando di sigarette sono solo un ricordo e, recuperata all’oblio, la caserma è sede da pochi anni del piccolo ma accogliente Museo del mare. Una targa all’ingresso ricorda che è dedicato all’archeologo Sebastiano Tusa, scomparso tragicamente in un incidente aereo nel 2019.
I pannelli espositivi ed i reperti esposti nei due piani della struttura raccontano il rapporto tra l’uomo e il mare in questo tratto di costa, che va da Avola a Capo Passero. Non è un museo dedicato ad un tema specifico, si spazia dalla descrizione del garum, ai metodi di pesca del passato in particolare del tonno, dalle battaglie navali alla biologia delle tartarughe. Interessanti i modellini ricostruiti delle imbarcazioni locali.
Unico neo che è chiuso nei weekend e nei festivi, quando il numero di visitatori potrebbe essere più consistente. Incontriamo sulla piazzetta l’amico Pino Iuvara, professore a riposo che ha fatto di Calabernardo il suo buen retiro. Oltre ad essere un apprezzato fotografo naturalista, da qualche anno si dedica alle ricerche di archivio facendo riemergere dagli scaffali interessanti tasselli della storia locale, che ha condiviso nelle sue numerose pubblicazioni.
L’ultima fatica è proprio un volume sulla storia del porto di Calabernardo. È la persona giusta con cui scambiare due chiacchiere e capire perché una importante città come Noto, che nel Regno delle due Sicilie è stata anche capoluogo di provincia, non abbia un porto vero e proprio ma solo un piccolo approdo.
Pino non si fa pregare e, mentre passeggiamo in compagnia dei gabbiani, ci svela i risultati della sua paziente ricerca: “prima del terremoto l’approdo commerciale dell’antica Noto era il porto di Vendicari che sorgeva nei pressi della Torre. Dopo il sisma del 1693, la città viene rifondata nell’attuale sito, più vicino al mare, e il suo approdo sarà la Cala di Bernardo che solo nell’800 diventerà Calabernardo.
È in pieno periodo borbonico che lo scalo commerciale, vive il suo periodo di massima importanza. L’attuale molo fu realizzato nel 1851 con lo scopo di proteggere le piccole imbarcazioni che, per caricare e scaricare le mercanzie, facevano la spola con le navi ormeggiate nelle acque antistanti. In realtà esisteva un progetto per realizzare un porto vero e proprio, ma non vide mai la luce".
Il racconto continua con altri dettagli interessanti sulla storia recente dei luoghi, dettagli sconosciuti sicuramente anche a molti netini: "A Calabernardo oltre alla dogana c’era un’importante postazione sanitaria dove venivano effettuati i controlli delle malattie infettive dell’epoca, come peste e colera. La guardia sanitaria presente era la più importante del circondario, vigilava per impedire lo sbarco dalle navi in caso di infezioni contagiose".
Un racconto che ci riporta al presente, al covid, agli hub ed alle file per il tampone, come a ricordarci che la storia in fondo si ripete. A quasi due secoli di distanza il vecchio molo sta per lasciare il posto ad un moderno porto turistico destinato a cambiare per sempre il volto del piccolo villaggio di mare.
L’iter è quasi ultimato e l’inizio dei lavori è imminente. Allunghiamo la passeggiata fino alla foce dell’Asinaro, o Fiumara di Noto, accompagnati a prudente distanza dal volo di una garzetta e ci imbattiamo in una struttura circolare, alta poco più di tre metri, che è collegata da un piccolo acquedotto ad una gebbia seminascosta tra le canne e i fichi d’india. Chiediamo ancora lumi al nostro cicerone.
"Premetto che non sono un archeologo", esordisce con l’onestà intellettuale che lo contraddistingue, Pino Iuvara, “ma dai confronti con strutture simili ritengo che si tratti di una senia che risale all’800. Si tratta di un’opera idraulica che abbiamo conosciuto grazie agli arabi.
Al centro c’è un pozzo da cui l’acqua veniva tirata su da un sistema di carrucole, azionate da un movimento circolare svolto sicuramente da un asino. Serviva probabilmente per irrigare gli orti dei dintorni. Si tratta di un unicum nella nostra zona, le senie sono infatti più diffuse nella Sicilia occidentale".
Ci soffermiamo ancora qualche minuto a osservare il mare, un martin pescatore, fermo sulla scogliera, ci fa compagnia. La spiaggia, che si sviluppa oltre la foce, ha un colore caldo e dorato. È tardo pomeriggio e il cielo si infiamma sull’altopiano ibleo regalandoci un tramonto da cartolina.
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