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Il revenge porn "non è un gioco" (non solo in Sicilia): cosa ci insegna il caso di Larimar

Dopo il caso della 15enne di Enna si torna a parlare di un fenomeno sempre più diffuso, soprattutto tra i giovanissimi. Abbiamo sentito la sociologa Giorgia Butera

Stefania Brusca
Giornalista
  • 28 novembre 2024

(foto da Ilmiolegale.it)

Quello di Larimar Annaloro è un caso destinato a riaccendere il dibattito sul revenge porn, non solo in Sicilia. Sembra che gli elementi ci siano tutti: le immagini "compromettenti" diffuse col cellulare, le discussioni a scuola e infine, purtroppo, il gesto estremo che avrebbe compiuto la 15enne di Enna.

Sembra ormai sempre più probabile che la giovane il 5 novermbre scorso si sia tolta la vita, come risulta dalle ultime notizie sulle indagini rivelate nel corso di una conferenza stampa dal procuratore per i minori di Caltanissetta, Rocco Cosentino. Resterebbe però in piedi l'ipotesi di istigazione al suicidio.

Come riporta il Corriere della Sera, nei giorni scorsi erano stati sequestrati i telefonini di 8 ragazzini, compagni di scuola e amici della 15enne. L'ipotesi di reato con le quali è avvenuto il sequestro è quella del revenge porn (articolo 612 ter del Codice penale).

Lo stesso procuratore per i minori, parlando con i cronisti, aveva lanciato un appello ai giovani: «Tenete sempre presente che un telefono cellulare è una specie di arma impropria. Usatelo con parsimonia, e siate prudenti ogni volta che decidete di pubblicare qualcosa che vi riguarda».
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Il fenomeno oggi sembra diffondersi sempre di più, soprattutto tra i giovanissimi. Un dato allarmante che è sempre di più sotto i riflettori e sotto la lente di ingrandimento di chi cerca anche una soluzione.

Sul revenge porn abbiamo sentito la sociologa palermitana Giorgia Butera, autrice di un libro sull'argomento, che da anni con la sua associazione Mete Onlus si occupa di campagne in difesa dei più fragili.

«Ritengo che quello di Larimar Annaloro si configuri sempre di più come un caso di istigazione al suicidio e che ci sia del materiale diffuso in maniera illecita. Le giovani e le donne vittime di revenge porn si sentono come delle donne uccise seppur vive. Come Mete Onlus affrontiamo dei casi in cui le ragazzine sono ancora più piccole: il fenomeno inizia già a 10 e 11 anni».

La sociologa racconta che «la società ormai si è trasformata, i valori si sono ribaltati. Tutto inizia come un gioco complice, come un modo per sentirsi grandi, essere apprezzate. Come se fosse una sorta di adulazione da parte di chi ti chiede foto e video. Poi inizia il male. Quello che ancora molti non capiscono è che fondamentalmente è un'arma di ricatto molto facile da mettere in pratica. Attraverso il nostro impegno iniziato 4 anni fa, cerchiamo di diffondere ovunque questo messaggio».

Un fenomeno diffuso quindi, con un dato sorprendente: è presente «già tra i ragazzini e le ragazzine delle scuole medie inferiori - continua Butera- hanno una sapienza nell'utilizzo dei cellulari e anche una modalità di approccio alla diffusione di questo tipo di immagini considerata "normale"». Ma c'è di più «se non te lo chiedono, paradossalmente - sottolinea ancora la sociologa - è come essere fuori del gruppo. E coinvolge anche il genere maschile».

Non deve sorprendere quindi che da anni ormai ci sia qualcuno che studia il fenomeno cercando di diffondere e sensibilizzare le donne e soprattutto i giovanissimi e le giovanissime sul tema del revenge porn. «Dopo due anni il nostro manifesto torna a breve nelle farmacie di Palermo per dare informazioni sull'argomento - afferma ancora Butera - e con indicazioni d'aiuto concreto a tutte le vittime. In più da gennaio si può trovare anche in 19 mila farmacie di tutta Italia».

Ecco come funziona. I farmacisti sono formati dall'associazione e quando ricevono una richiesta d'aiuto subentra una rete di intervento che fornisce tutela legale e assistenza pscologica. «Quest'ultima è ineludibile - dice ancora la sociologa - soprattutto per le ragazzine che vengono strattonate dalla vita e non vogliono più andare a scuola per non subire atti di bullismo da parte dei compagni».

Per questo motivo Mete Onlus promuove anche diversi incontri, sia nelle scuole medie inferiori che superiori e con le famiglie «che vanno informate- spiega Butera -. Spesso non sono consapevoli su cosa stia accandendo ai loro figli e le loro figlie».

Nel percorso di crescita bisogna dire ai ragazzi e alle ragazze «di non cedere mai e ai compagni e soprattutto alle compagne di essere solidali e non deridere chi è vittima di revenge porn. Contestualmente bisogna rieducare i giovani in merito al valore dei rapporti umani - dice Butera -. Un principio pressocchè dimenticato, anche sui luoghi di lavoro.

Anche qui spesso, nell'immediatezza di una violenza reale, le vittime non trovano nessuna empatia o solidarietà anzi vengono messe alla gogna. Non bisogna mai fidarsi di chi sta dall'altra parte di un telefono cellulare. Questa è una violenza di genere nuova, digitale, ma molto reale».

La forza del ricatto inoltre, sottolinea la sociologa è quella di «far sapere a chi è vicino a te che cosa hai fatto, in modo da farti male. C'è un sommerso immenso sulla diffusione di foto e video, anche immagni che del passato che tornano alla ribalta quando meno ci si aspetta. Lo dimostrano i tanti i casi di donne che ci contattano perchè l'ex ha diffuso del materiale illecito dell'epoca in cui erano una coppia. È una violenza facile, usa e getta».

Riguardo le donne adulte vittime di revenge porn «spesso si ritrovano incastrate. Un ultimo dato, diffuso recentemente dal ministro delle Pari Opportunità Eugenia Maria Roccella, indica che sono due milioni solo in Italia. La polizia postale interviene nell'immediatezza ma i tempi si dilatano e questo ovviamente cozza con la rapidità di diffusione di una foto o di un video che sono messi in rete», conclude la rappresentante di Mete Onlus.

Un altro aspetto ancora è legato a quello dei cosiddetti "Sex offender" dice ancora Butera: «Sono estranei, spesso adulti, che sanno come agganciare i ragazzini, con like e complimenti, e poi spariscono, facendo sentire la loro "mancanza". Un ragazzino e una ragazzina in crescita non sono consapevoli di questi meccanismi.

Cosi arriva la richiesta di una foto con un sorriso fino ad arrivare a quella "particolare solo per noi due". E lì il gioco finisce male. I genitori devono avere il controllo dei cellulari dei figli almento fino ai 18 anni. Non bisongna sottovalutare la questione. Anche parte del bullismo è legata molto al sexting».

La cosa da far capire a tutti e a tutte, giovani e meno giovani, è che «la diffusione di immagini intime non ha niente a che fare con l'intimità tra due persone. Non ti rende attraente o più desiderabile: non è un gioco - conclude la sociologa - ma è una cosa molto pericolosa».
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