STORIA E TRADIZIONI
Il "Leopardi siciliano" che pochi conoscono: Antonio Bruno, poeta tormentato e bizzarro
Antonio Bruno, catanese, uomo colto e affascinante, senza dubbio non passava inosservato. Vestiva in modo appariscente e aveva anche delle strane abitudini
Antonio Bruno (immagine tratta dal volume "Antonio Bruno, letterato e politico" di Alfio Grasso, pubblicato da Nero su Bianco Edizioni)
Questo articolo è dedicato alla storia di un poeta poco conosciuto, definito il ''Leopardi siciliano'', dandy e dalle abitudini bizzarre: Antonio Bruno.
Bruno, uomo colto, elegante, affascinante, scrittore innovativo, esterofilo e poliglotta, nacque nel 1891 a Biancavilla, in provincia di Catania, da una famiglia benestante. A Biancavilla trascorse l'infanzia, rivelando grande intelligenza e curiosità intellettuale.
Venne definito il ''Leopardi siciliano'', per via della sua poetica, caratterizzata dal pessimismo e per via di una deformazione della colonna vertebrale. Questa condizione fisica segnò in modo indelebile la sua esistenza.
A Leopardi, con cui condivideva anche un amore non corrisposto, dedicò uno studio letto all'università di Roma nel 1912, ''Come amò e non fu riamato Giacomo Leopardi''. Bruno fu protagonista della vita artistica dei primi del '900 e viaggiò molto.
A Londra fu traduttore di Edgar Allan Poe e a Catania aderì al movimento futurista, insieme ad altri intellettuali, con cui diede vita alla rivista ''Pickwick'', con l'obiettivo di rinnovare la cultura, ispirandosi alle riviste fiorentine Lacerba e La Voce.
Visse un'ossessione amorosa per la fiorentina Ada Fedora Novelli, che non ricambiò mai il suo sentimento. In pieno stile futurista, tappezzò le vie della città con delle poesie dedicate ad Ada e sempre a lei dedicherà un'altra opera definendola ''Dolly Ferretti'': ''Cinquanta lettere d'amore alla signorina Dolly Ferretti''.
A quanto pare, lei stimava molto la sua intelligenza ma non ricambiò mai le sue attenzioni amorose. Come spesso accade agli animi più eccentrici, si pensi a Gabriele D'Annunzio o a Oscar Wilde, Antonio Bruno era un dandy.
Andava in giro con abiti eleganti e vistosi per via Etnea, villa Bellini e per i boulevard di Parigi. Senza dubbio non passava inosservato, anche per le sue strane abitudini: oltre a vestire in modo appariscente, portava in spalla degli animali tra cui una colomba, che considerava la Madonna.
Non solo.
Come un poeta che ha anche il dono della profezia, poggiava dei fiori, soprattutto rose e garofani, sul viso dei passanti, per predire loro la sorte. Amava il sarcasmo e l'umorismo nero e, affascinato dai tormenti dei poeti maledetti (Rimbaud, Verlaine, Mallarmé e Baudelaire), si abbandonava spesso al male di vivere, che alla fine della sua vita divenne un macigno insormontabile.
Fu colto infatti da manie e crisi depressive. Come altri artisti, ridotto in povertà, accusato di aver dilapidato il patrimonio paterno e non tollerando più il dolore fisico, nel 1932 pose fine alla sua vita con una dose letale di barbiturici, in un albergo a Catania, inscenando un suicidio in stile liberty, in una camera piena di fiori.
Fu preda di quel fatale connubio tra arte e suicidio, che spesso ha caratterizzato le vite di artisti e scrittori, basti pensare a Hemingway, Sylvia Plath o, se vogliamo rimanere in Italia, Cesare Pavese. Artista eclettico, Antonio visse una vita intensa e dolorosa, trovando nella poesia anche l'unica forma d'espressione per la donna amata.
(L'immagine in copertina è tratta dal volume "Antonio Bruno, letterato e politico" di Alfio Grasso, pubblicato da Nero su Bianco Edizioni)
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