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I primi vagiti della lingua siciliana che non tutti conoscono: che cos'è "l'epitaffio di Zoe"

Non tutti sanno dell'esistenza della lastra di calcarenite locale rinvenuta a Cozzo Cicirello, nel comune di Acate negli anni Cinquanta. Perché è importante

  • 7 gennaio 2024

Il Museo Archeologico Ibleo di Ragusa

Nel Museo Archeologico Ibleo di Ragusa c’è un reperto che riveste una certa importanza per la storia della volgarizzazione del latino in Sicilia ma pochissimi lo conoscono. E’ una lastra di calcarenite locale - rinvenuta a Cozzo Cicirello, nel territorio del comune di Acate, nel 1958.

Si tratta del cosiddetto "epitaffio di Zoe", un’epigrafe funeraria risalente al V-VI secolo d.C. La lingua siciliana, al pari di quella portoghese, spagnola, catalana, galiziana, francese, romena, italiana etc. è una lingua romanza, ossia deriva, in massima parte, dalla lingua latina.

Ma quand’è che, in Sicilia, il latino cominciò il suo processo di volgarizzazione, assumendo le prime caratteristiche distintive a cui, pian pianino, se ne sarebbero aggiunte altre fino a diventare una lingua diversa, appunto, quella siciliana?

Non potendo disporre, per ovvi motivi, di testimonianze di tipo orale, ci si deve attenere a quelle scritte, consapevoli che le trasformazioni nella lingua scritta avvengono generalmente un po’ dopo di quelle orali, quando queste ultime si sono consolidate. Uno dei documenti in cui si possono notare i primi ‘timidi’ cambiamenti del latino in direzione ‘siciliana’ è proprio il "nostro" epitaffio di Zoe.
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Ma cosa c’è scritto in questa epigrafe? Ecco il testo in maiuscolo (a seguire, lo stesso testo in latino classico e, infine, tradotto in italiano): SVPER LOCELLV VBE IACEO EGO BIRGO NOMINE ZOE AN[O]RU CIQVE IA MESA S’AIVRATI PER DEV E INFEROS NEMINVI LICEAT APERI A[R]CE IPATU Super locellum ubi iaceo ego virgo nomine Zoe annorum quinque, ianuarii mense, sexto, adiurate per deum et inferos nemini liceat aperire arcae hypatum Sopra il piccolo scrigno dove io giaccio, vergine di nome Zoe, di anni cinque, (sepolta) nel mese di gennaio, (giorno) sesto, giurate su Dio e gli inferi, a nessuno sia lecito aprire il coperchio del sarcofago.

Quali sono le principali caratteristiche che allontanano dal latino classico questo testo, indirizzandolo verso un volgare con i primi tratti siciliani, seppur non esclusivamente tali?

La prima cosa che si nota è che sono cadute tutte le M finali: locellu(m), anoru(m), deu(m), ipatu(m). Il finale in U di questi termini sa tanto di siciliano ma, in effetti, questo fenomeno è tipico di tutto il latino volgare.

Nel testo dell’epitaffio in questione ci sono termini in cui la vocale -O finale è rimasta tale (ego, birgo) e non è mutata in –U, secondo il vocalismo siciliano che non prevede O atone in finale di parola.

Non ci è dato sapere come venissero pronunciate queste "O" finali nella lingua parlata; si pronunciavano già allora come U? Chissà … Parlando sempre di vocali finali, si può notare anche la presenza di I in posizione finale in luogo delle attese E in due forme verbali: “aivrati” e “aperi”, come avviene nel siciliano attuale che non prevede E atone in finale di parola, sostituendole, appunto, con I.

Però si ha “ube” anziché il classico "ubi"; sarà un ipercorrettismo, cioè un inopportuno tentativo di correzione di una forma corretta ma percepita come errata? Un’altra caratteristica di questo testo è la trasformazione della V iniziale del termine del latino classico “virgo” in B (“birgo”).

Questo fenomeno di trasformazione della fricativa labiodentale sonora /v/ nella occlusiva bilabiale sonora /b/, detto betacismo, è tuttora presente in lingua siciliana ma non è di essa esclusivo, essendo presente anche nelle altre parlate dell’Italia meridionale, oltre che in corso, in sardo e nella penisola iberica.

La trasformazione che qualche linguista ha individuato come più significativamente siciliana è quella del passaggio da “adivrate” a “aivrati” dove si nota - a parte la I finale al posto della E, di cui abbiamo già detto - la scomparsa della D precedente la semivocale, così come dal latino “video” (= vedo) si ha oggi il siciliano "viju".

Ma neanche in questo caso si può parlare di caratteristica esclusivamente siciliana. In definitiva, l’epitaffio di Zoe mostra una buona quantità di cambiamenti dal latino classico al volgare, alcuni diffusi su tutta o gran parte dell’area romanza (ne abbiamo citato solo alcuni), altri limitati ad aree geografiche meno ampie, ma nessuno esclusivo dell’area siciliana.
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