CURIOSITÀ
I "Gattopardi" di Sicilia, calcolatori o Robin Hood: se ai nobili piaceva farsi chiamare così
Al contrario del modo di dire comune, nella credenza popolare siciliana i gattopardi erano tutt'altro rispetto a come li immaginiamo. Quali sono i diversi significati
Kim Rossi Stuart (Don Fabrizio) e Saul Nanni (Tancredi)
Lo abbiamo chiamato Freddie, un po’ per dare il giusto onore all’immenso Freddie Mercury, dato che in casa nostra la musica è una costante sempre presente, un po’ perché fa coppia con Marley (il cognome del cantante con cui ho chiamato il cane di mannara domestico).
Pensavamo infatti che Marley e Freddie avrebbero avuto un sacco di cose da dirsi facendosi grasse risate e, in effetti, il modo in cui Marley e Freddie (cane e gatto) hanno legato mi fa presupporre che davvero la cosa non si discosti da quella che avrebbe potuto essere la realtà, nonostante quest’ultimo abbia un’indole decisamente più anarchica e sparisca per ore nelle campagne circostanti.
La mia idea è che sia divenuto il capobanda di una gang di gatti scanè e che vadano in giro a divertirsi a tipo i drughi di Arancia Meccanica.
È proprio lì che pochi giorni fa l’ho incocciato, avvisato da un rumore sospetto, mentre, beatamente, stava affilandosi le unghiette malefiche sul dorso di un libro.
È scappato subito dopo avergli urlato che lo avrei abbandonato in autostrada, un po' come quando i nostri genitori ci minacciavano di mandarci in collegio quando facevamo qualcosa e, controllando che non avesse fatto troppi danni, ho notato che il libro che aveva scelto, fortunatamente con un danno quasi nullo, era proprio il Gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa. Tra felini se la intendono.
Tutto questo mi ha fatto tornare in mente quanto, anche se non si direbbe, il mito di questo animale sia radicata nell’immaginario e storia siciliane.
Tomasi di Lampedusa, che fissa non era, pare che per l’idea del Gattopardo come stemma nobiliare dei Salinas trasse ispirazione dalle leggende che narrano della fierezza di questi animali.
Il mito del gattopardo ha origini piuttosto incerte, altrimenti non sarebbe un mito appunto, però, smovendo a cafettiera, si potrebbe pensare che derivi dai greci ( e quannu mai…) che narravano di come alcune divinità ed eroi potessero assumere tale forma animale, come ad esempio Dionisio, dio del vino e follia, che spesso si ammantava con una pelle maculata ed usava spostarsi su di un carro trainato da ghepardi.
Ai tempi delle dominazioni straniere, soprattutto spagnola, in periodi di grandi turbamenti, oppressioni e scocche di camurrie, l’animale veniva usato come rappresentazione di una fierezza ed orgoglio tipici del popolo siciliano, soprattutto dal lato nobiliare.
Gli aristocratici, del resto, consci della necessità di mantenere i loro privilegi, amavano nominarsi come gattopardi. Quest’usanza, unita, palesemente all’ispirazione data dal romanzo di Tomasi di Lampedusa, ha spinto La Treccani (e tre succi) ad inserire nei suoi lemmi il termine "gattopardismo […] proprio di chi, avendo fatto parte del ceto dominante, o agiato, in un precedente regime, si adatta ad una nuova situazione politica sociale o economica, simulando d’esserne promotore o fautore per poter conservare il proprio potere e privilegi…".
Non da meno, già nel Devoto-Oli si può trovare il termine "gattopadesco […] tipico di un immobilismo ammantato di signorilità…".
Ma tali dotti concetti non erano sposati dalla credenza popolare siciliana che, al contrario dei linguisti, credevano che i gattopardi erano in realtà degli esseri umani, fieri e di nobili principi, che durante la notte erano in grado di mutare il loro aspetto in quello dei grossi felini maculati.
un po' come i lupunari ma con la differenza però che quest’ultimo poteva farlo solo durante le notti di luna piena e non riusciva a mantenere la coscienza umana, divenendo un bestia assetata di sangue, mentre i gattopardi rimanevano lucidi e potevano mutare a loro piacimento, sempre durante la notte, acquisendo forza, scaltrezza e velocità che gli consentiva di compiere atti che un essere umano non sarebbe stato in grado di fare.
In pratica come una specie di Clark Kent che poi diventava Superman, con la differenza che non bastavano degli occhiali per nascondere l’identità.
Proprio da questo mito, pare che (il condizionale è fortemente d’obbligo) Natoli possa aver preso ispirazione per il suo romanzo sui Beati Paoli, dato che quest’ultimi, proprio come i gattopardi della credenza popolare, usavano le doti acquisite dalla trasformazione per riparare i torti subiti dalla povera gente.
Un personaggio siciliano tipico di questa credenza gattopardesca è il nobile siciliano del XV secolo, Giacomo Ventimiglia che, con la sua combriccola di gattopardi formata da Rosalia, l’amante, Pietro, il migliore amico, Lucia, la sorella dell’amico, ed infine Marco, cugino del nobile stesso, andavano in giro, alla scurata, temuti dai malvagi e rispettati dal popolo, per riparare ai torti subito dalla povera gente ed aiutarla economicamente pigliando un po' di piccioli ai più ricchi, come dei gattopardiani Robin Hood.
La fedeltà e passione di Giacomo Ventimiglia verso Rosalia era tale che diverse volte mise a repentaglio la sua incolumità pur di salvaguardarla da qualche pericolo, caratteristica che contribuì a considerare i gattopardi anche come appassionati e fedelissimi amanti.
Proprio da questa peculiare caratteristica nasce la leggenda intitolata "Il gattopardo innamorato" ambientata in Sicilia ma ormai sempre più dimenticata.
Ai tempi della dominazione spagnola vi era un nobiluomo, tal Corrado Lampedusa, appartenente alla stirpe dei gattopardi, che proprio non riusciva ad ingoiare le supricchiarie di quei succi i cunnutta degli aragonesi per cui, tanto disse e tanto fece che alla fine dovette scappare per andare a ammucciarisi in un castello segreto tra le montagne.
Lì era libero di trasformarsi in gattopardo quando e come voleva ed aveva sempre un rifugio sicuro dove andare dopo le sue scorribande giustizialiste in città.
Ma un giorno il nostro Corrado, mentre scorrazzava nel bosco con sembianze gattopardesche, incontrò la bellissima Eleonora D’ Angouleme, che al confronto Scarlett Johansson era la protagonista della tummuriata di "quant’è laria a me zita".
Eleonora non ebbe paura delle sembianze feline di Corrado ed anzi lo avvicinò facendogli delle carezze che manco ad un gattino puccettoso.
Corrado con tutte quelle moine fatte da una fimminazza di tale portata niscì pazzo, innamorandosi all’istante, ricambiato dalla bella Eleonora ma senza sapere che la stessa era già stata promessa in sposa al re Ferdinando d’Aragona.
I due ormai erano innamorati alla follia per cui si rifugiarono dentro il castello di Corrado vivendo per alcuni giorni felici.
Ma quel malaminnitta di Ferdinando non si diede per vinto e, scoperto dove si trovava il castello di Corrado, inviò sul posto numerose truppe per riprendersi con la forza la promessa sposa.
Così Corrado ed Eleonora, forti della loro convinzione, pi un connuto un connuto e miezzu, non si diedero per vinti e combatterono fino allo stremo contro i soldati di Ferdinando, facendo una tragica fine ma amandosi fino all’ultimo respiro.
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