TRADIZIONI
Sono i dolci per i "pettegolezzi" della Regina: come nascono le Chiacchiere di Carnevale
Storia, aneddoti e curiosità di un dolce semplice, tipico del Carnevale, e realizzato con pochi e semplici ingredienti ma dall'inconfondibile croccantezza

Le "chiacchiere" di Carnevale
Marco Gavio Apicio, gastronomo, cuoco e scrittore romano vissuto tra il I secolo a.C. e il I secolo d.C. - la principale fonte sulla cucina romana - le definiva così: «Frittelle a base di uova e farina di farro tagliate a bocconcini, fritte nello strutto e poi tuffate nel miele». Cosa sono?
Facile a svelarsi l’indovinello. Parliamo delle chiacchiere, l’immancabile dolce del periodo di Carnevale.
Da Nord a Sud, tra varianti di nomi (frappe, cenci, bugie, frappole, galani, frittole, crostoli, maraviglias, risòle, sfrappole, bugie, per citare i più conosciuti), sono il simbolo della festa mobile che si conclude con il giovedì grasso, prima dell’inizio della Quaresima, tempo di penitenza e di magra.
Per questo motivo, a Carnevale le chiacchiere non possono di certo mancare. Dolce semplice, realizzato con pochi ingredienti ma ricco di calorie e soprattutto dall’inconfondibile croccantezza.
Ritornando ad Apicio la ricetta di questo dolce risalirebbe, appunto, al tempo dei Romani.
Allora venivano chiamate Frictilia. Erano dei dolcetti a base di uova e farina, fritti nel grasso del maiale e preparati dalle donne per festeggiare i Saturnali, le festività corrispondenti al nostro Carnevale e dedicata al Dio Saturno.
In questa occasione, per un giorno soltanto, si prevedeva il rovesciamento dell’ordine sociale, la chiusura delle scuole e la sospensione delle attività di guerra.
Ma qual è l'origine di questo nome tanto simpatico? Per scoprire la nascita dobbiamo fare un tuffo indietro fino a alla Regina Margherita Savoia.
Secondo la leggenda a Napoli, la Regina chiese al fidato cuoco di corte, Raffaele Esposito, un dolce che accompagnasse alla perfezione le "chiacchierate pomeridiane" con i suoi ospiti. Et voilà, il resto è storia.
I banchi di pasticceri, e da un po’ di tempo anche dei panettieri, sono invasi in questi giorni da grandi vassoi ricolmi di rettangoli gonfi e friabili, dalla forma anche volutamente imprecisa.
Nel tempo la tipica ricetta delle chiacchiere (che comunque contiene pochi ingredienti e pochi passaggi nella preparazione, rispetto ad altri dolci tradizionali) è rimasta invariata.
Le guarnizioni finali, semmai, si sono via via arricchite.
Ed è così che la leggerezza dello zucchero a velo - o “impalpabile” come lo chiamavano le nonne - per quanto ancora presente, ha lasciato spazio a finiture di colate di cioccolato (che sostituisce il tradizionale “sanguinaccio”), in tutte le variabili, dalle striature alla copertura totale della chiacchiera, o colate di crema al pistacchio, per i più golosi.
Possono essere ricoperte anche da miele o da gocce di alchermes, il liquore dal colore rosso considerato elisir di lunga vita.
Anche la forma nei decenni è cambiata. C'è chi le fa a forma di nodini o fiocchetti o chi addirittura ha deciso di farle ripiene, realizzando dei fagottini a sorpresa.
Rispetto a tanti altre preparazioni, infine, le chiacchiere si mantengono croccanti per settimane, se conservate in un luogo fresco e asciutto e chiuse ermeticamente in un contenitore.
Ecco… già solo a parlarne viene l’acquolina in bocca.
Facile a svelarsi l’indovinello. Parliamo delle chiacchiere, l’immancabile dolce del periodo di Carnevale.
Da Nord a Sud, tra varianti di nomi (frappe, cenci, bugie, frappole, galani, frittole, crostoli, maraviglias, risòle, sfrappole, bugie, per citare i più conosciuti), sono il simbolo della festa mobile che si conclude con il giovedì grasso, prima dell’inizio della Quaresima, tempo di penitenza e di magra.
Per questo motivo, a Carnevale le chiacchiere non possono di certo mancare. Dolce semplice, realizzato con pochi ingredienti ma ricco di calorie e soprattutto dall’inconfondibile croccantezza.
Ritornando ad Apicio la ricetta di questo dolce risalirebbe, appunto, al tempo dei Romani.
Allora venivano chiamate Frictilia. Erano dei dolcetti a base di uova e farina, fritti nel grasso del maiale e preparati dalle donne per festeggiare i Saturnali, le festività corrispondenti al nostro Carnevale e dedicata al Dio Saturno.
In questa occasione, per un giorno soltanto, si prevedeva il rovesciamento dell’ordine sociale, la chiusura delle scuole e la sospensione delle attività di guerra.
Ma qual è l'origine di questo nome tanto simpatico? Per scoprire la nascita dobbiamo fare un tuffo indietro fino a alla Regina Margherita Savoia.
Secondo la leggenda a Napoli, la Regina chiese al fidato cuoco di corte, Raffaele Esposito, un dolce che accompagnasse alla perfezione le "chiacchierate pomeridiane" con i suoi ospiti. Et voilà, il resto è storia.
I banchi di pasticceri, e da un po’ di tempo anche dei panettieri, sono invasi in questi giorni da grandi vassoi ricolmi di rettangoli gonfi e friabili, dalla forma anche volutamente imprecisa.
Nel tempo la tipica ricetta delle chiacchiere (che comunque contiene pochi ingredienti e pochi passaggi nella preparazione, rispetto ad altri dolci tradizionali) è rimasta invariata.
Le guarnizioni finali, semmai, si sono via via arricchite.
Ed è così che la leggerezza dello zucchero a velo - o “impalpabile” come lo chiamavano le nonne - per quanto ancora presente, ha lasciato spazio a finiture di colate di cioccolato (che sostituisce il tradizionale “sanguinaccio”), in tutte le variabili, dalle striature alla copertura totale della chiacchiera, o colate di crema al pistacchio, per i più golosi.
Possono essere ricoperte anche da miele o da gocce di alchermes, il liquore dal colore rosso considerato elisir di lunga vita.
Anche la forma nei decenni è cambiata. C'è chi le fa a forma di nodini o fiocchetti o chi addirittura ha deciso di farle ripiene, realizzando dei fagottini a sorpresa.
Rispetto a tanti altre preparazioni, infine, le chiacchiere si mantengono croccanti per settimane, se conservate in un luogo fresco e asciutto e chiuse ermeticamente in un contenitore.
Ecco… già solo a parlarne viene l’acquolina in bocca.
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