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Gira l'Italia, dopo 25 anni torna a Palermo: così Dinesha si reinventa col "suo" teatro

Adottata da "due genitori fantastici" l'amore è il filo conduttore della sua vita, che si divide tra la passione per il teatro e lo studio e l'impegno per inseguire i suoi sogni

Stefania Brusca
Giornalista
  • 4 gennaio 2025

Dinesha Di Francesco

Passione, amore profondo ma anche studio e impegno costante. Tutto insieme mescolato a una vita sempre in viaggio, fin dalla nascita, e a una costante ricerca e scoperta delle proprie radici.

Dinesha Di Francesco, attrice e regista teatrale, è nata nello Sri Lanka. Adottata da «due genitori fantastici» è arrivata a Palermo che aveva 3 anni e mezzo. Per poi passarne, dal '99, altri venticinque in giro per l'Italia, tra Roma, Parma e Torino.

Adesso è di nuovo nella "sua" città. All'origine di tutto, nel punto esatto di contatto tra ciò che eri, ciò che sei diventato e ciò che vuoi e puoi ancora essere.

«Sono tornata a Palermo lo scorso anno, a novembre del 2023, esattamente la notte di Halloween. C'era una vera e propria tempesta, pioveva a dirotto, abbiamo avuto un viaggio in nave terribile».

Mancava da molto tempo ma voleva sentirsi «di nuovo a casa, perché comunque penso che sia sempre importante ritrovare le proprie origini, le proprie radici. Il rientro è stato, come tutti i ritorni, difficile. Soprattutto per chi è abituato a vivere in una città come Torino. Ero ormai avviata nell'ambiente, ero conosciuta e mi ero guadagnata una posizione ben definita. Arrivando a Palermo, invece paradossalmente, conoscevo poche persone».
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Adesso con la nuova compagnia "Sussurri d'arte" debutta al Teatro Jolly di Palermo con "L'Amore secondo Shakespeare". «È uno spettacolo che per me è molto importante perché ha segnato l'inizio della mia formazione, del mio attuale lavoro che è la regia.

Con "Ombre dietro il sipario" a Torino abbiamo portato in scena Un viaggio con William quindi diciamo che "L'amore secondo Shakespeare" è l'evoluzione di questa prima piéce, con le scene d'amore più belle del grande Bardo».

Un tema scelto non a caso perchè la passione per il suo lavoro è il filo rosso che ha guidato in gran parte le sue decisioni, il motore della sua vita. «Credo che l'amore sia un sentimento universale, che tocca veramente un po' tutti gli ambiti della vita, e il teatro è il cardine, è quello che crea pathos, che crea interesse e che fa emozionare. Quindi ho pensato che potesse essere simpatica l'idea di "Amore" stesso che racconta la sua storia, le sue sfumature e le sue tonalità».

I motivi per cui si va via dall'Isola sono comuni a tutti siciliani, che lasciano questa terra perché non riescono a trovare le strade che cercano. Le ragioni per cui si sceglie di tornare invece sono diverse. Ognuno ha le sue.

Quando va via dalla sua città, «dalla città dei miei genitori è stato perché avevo questa grande passione per il teatro e dopo aver fatto il liceo classico qui non c'erano accademie che dessero anche un titolo, un diploma di attrice», sottolinea.

Quindi vola a a Roma e lì rimane frequentando l'accademia per tre anni «e poi ho deciso di iscrivermi all'università perché comunque volevo approfondire queste tematiche legate anche a livello strettamente culturale - aggiunge -. Da lì ho iniziato a fare le mie esperienze sia teatrali, che non. Ho fatto anche un master in giornalismo. Poi ho iniziato a lavorare».

Anche se l'amore per ciò che fa resta grande, a volte non basta per andare avanti. «C'è stato un periodo in cui ho lasciato il teatro, perché si pensa sempre che "col teatro non si mangia", quindi mi sono indirizzata su altro».

Ma proprio quell'amore non l'ha mai abbandonata e torna sui suoi passi. «Ho iniziato a insegnare teatro a Roma, ai bambini, poi ai ragazzi e agli adulti. Nel frattempo facevo anche altri lavori per mantenermi».

Poi Parma e Torino. «Sono arrivata lì nel 2012 e sono rimasta fino al 2023. Quindi 11 anni a Torino, 11 a Roma e due a Parma. A Torino ho fatto tutt'altro perché bisognava pur mangiare. Ho lavorato in un call center e poi piano piano mi sono costruita una posizione solida».

Le è costato molta fatica "reinventarsi" in una città nuova «perché ovviamente ti devi far conoscere non avevo nessun tipo di aggancio. Però ho iniziato a girare tra le associazioni e a farmi conoscere, a portare il mio curriculum e a proporre i miei laboratori. Insegnavo teatro e facevo un corso di doppiaggio in una nota scuola del posto».

Poi insieme ai miei compagni dell'O.D.S. (la scuola di doppiaggio ndr) fonda la compagnia "Ombre dietro al sipario".

Qui nasce uno spettacolo molto importante per Dinesha, "Cioccolato bianco". «L'ho portato in scena tre anni fa ed è rimasto in cartellone per due anni al Piccolo teatro comico a Torino, nell'ambito di in una manifestazione bellissima su integrazione e teatro sociale del grandissimo Franco Abba».

«Questo spettacolo ha segnato la mia rinascita - continua -. Ho scritto cinque monologhi prendendo spunto dalla realtà, con personaggi inventati ma collegati fra loro. Ogni monologo era intervallato da musica dal vivo, chitarra e voce.

Tutti personaggi, si diceva, sputati fuori da idee e tastiera. Tutti tranne uno, racconta la regista: «Poi c'ero anch'io in prima persona».

Quando si scrive una sceneggiatura, e soprattutto quando si mette in gioco se stessi, tutto diventa più complicato, ma allo stesso tempo liberatorio.

Il palco e la scena diventano il mezzo per una catarsi profonda, un modo per attualizzare e far vivere al pubblico emozioni che a volte anche lo stesso attore non sa come esprimere. Perché si amplificano, invadono spazi inaspettati, e lì sta la bravura del regista che le imbriglia in un messaggio universale, che il pubblico "legge" attraverso il proprio filtro personale.

«Ovviamente lo spettacolo non mette in scena proprio tutto ciò che mi è successo - continua - ma ho preso una parte della mia vita, quindi dei miei problemi col razzismo, e li ho inseriti all'interno degli spettacoli che parlano tutti di forme di violenza e di bullismo. Per queste storie ho dovuto invece documentarmi, entrare in empatia con certe tematiche e studiarle, anche a livello legale».

Tra i personaggi un ragazzo che raccontava l'emarginazione provata a scuola, poi la violenza di genere, con la storia di un omosessuale che parlava delle sue difficoltà nel fare coming out. «Uno spettacolo che mi ha portato a crescere, a mettermi a nudo, perché non avevo mai raccontato fondamentalmente parte della mia vita».

Capisce però che è riuscita nell'intento di restituire parte del vissuto di moltissime persone quando lo stesso direttore artistico «mi ha chiesto se queste ragazzi che stavano interpretando questi personaggi fossero davvero coloro che avevano subito queste violenze, come detto, ovviamente no».

Il razzismo adesso la preoccupa meno. «Saper rispondere e avere un atteggiamento sicuro di sé da un certo punto di vista aiuta ad autoaffermarsi, perché purtroppo la timidezza spesso ti rende un bersaglio. Questo non vuol dire che uno debba rinnegare se stesso però bisogna un pochino fortificarsi e trovaruna sicurezza di sé per potersi difendere dal mondo esterno.

Questo vale per il bullismo, per il razzismo, vale per tutto. Il razzismo è stato per certi versi una costante della mia vita, però mi sono saputa difendere e quello che sicuramente posso dire è che Palermo è la città meno razzista che possa esistere».

«Una volta mi trovavo con il mio compagno ai Quattro Canti e ho visto 4 ragazzini diversi: un arabo, un indiano, un siciliano e un altro, forse del Ghana, camminare insieme. Ridevano, scherzavano e parlavano in siciliano. Era una scena quasi da film, però era reale. Ho detto a Paolo che questa è la vera integrazione: quando si sta insieme senza chiedersi veramente chi sei, da dove vieni, ma ti piace una persona proprio in quanto "persona"».

Dinesha ora ha ricominciato tutto da capo e «con umiltà - sottolinea - perché la prima cosa che devi fare è essere umile e metterti a disposizione. Cercare di creare rete e non sentirti mai qualcosa in più rispetto a quello che sei, sempre con i piedi ben radicati per terra. Dimostrare chi sei e quello che fai e proponi e così farti conoscere».

La regola più importante è non parlare troppo, ma "fare". «Si cade e si ricomincia e questa è la regola, penso per tutto nella vita. Certo nel teatro è tutto un po' più difficile», dice.

«Palermo e la Sicilia sono una piazza complessa per poter creare una carriera. Lo so perché in prima persona sono andata via. Quello che posso dire è che spesso vedo purtroppo che c'è troppo desiderio di arrivare subito all'obiettivo, quindi si cercano strade più corte e si bruciano spesso le tappe».

Un'altra cosa che noto è che si fa un lavoro senza conoscerlo davvero. Quindi a chi si approccia a questo mondo dico "preparatevi". Lo studio è fondamentale, perché la passione è fugace, però la perseveranza è quella che vi aiuterà a trovare il vostro spazio».

«Bisogna anche portare in Sicilia quello che uno sa fare - conclude - perché se andiamo sempre via che cosa lasceremo ai nostri figli e al nostro territorio? È questo che spesso mi preoccupa di questa Isola, che si sta spopolando, che i nostri giovani migliori se ne vanno. Proviamo noi, che siamo tornati qui, a creare le basi per far crescere questi ragazzi e dare loro la possibilità di fare qui quello che amano. Credo che sia il regalo più bello».
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