STORIA E TRADIZIONI
Fu una delle signore più ricche e potenti della Sicilia: la "sconosciuta" Marchisia Prefoglio
Nata ad Agrigento ha unito la sua sorte e quella della sua città natale alle speranze ed alle tragedie di una delle più potenti e disgraziate famiglie della Sicilia: la stirpe dei Chiaramonte
Il Monastero di Santo Spirito di Agrigento fondato da Marchisia Prefoglio
Nata ad Agrigento ha unito la sua sorte e quella della sua città natale alle speranze ed alle tragedie di una delle più potenti e disgraziate famiglie della Sicilia: la stirpe dei Chiaramonte. Non era destinata alla grandezza che invece la sorte le assegnò, divenendo una delle signore più ricche e potenti della Sicilia, quando ereditò alcune contee siciliane.
Nacque in una famiglia che si distinse nella guerra del Vespro. Giovanni Prefoglio insorse contro un presidio francese e liberò la città di Ragusa, divenne dunque governatore e signore della città nel 1282 e e poi anche signore di Caccamo (investitura che ebbe dal sovrano Pietro d’Aragona), morendo lasciò i suoi titoli e i suoi beni al figlio Pietro e alla sua morte lasciò tutti i suoi titoli e i suoi beni al figlio Federico che fu riconfermato Dominus di Ragusa e incrementò le proprie ricchezze divenendo anche signore di Sutera, ma prestò morì senza eredi e pertanto ogni ricchezza della famiglia Prefoglio passò a sua sorella Marchisia, che divenne così contessa di Ragusa, Caccamo e poprietaria di diversi castelli tra cui quello di Palma di Montechiaro.
A Ragusa da tempo era sorto un solido legame d’amicizia tra la famiglia Prefoglio e la nobile famiglia Chiaramonte, di lontane origini francesi. Federico Chiaramonte conte di Sutera conosceva la giovane Marchisia, giovane istruita, devota, di bell'aspetto e dai modi molto gentili e affabile.
Che sia nata sicuramente in Agrigento non abbiamo dubbi perché lo afferma lei stessa nell'atto di fondazione del Monastero di Santo Spirito, rogato presso il notaro Giovanni di Amarea di Girgenti. Il carattere eminentemente mistico sul concetto di povertà, da lei nobilmente espresso nel documento di fondazione del partenio di Santo Spirito, testimonia la sua grande pietà e la sua cultura.
Federico Chiaramonte la chiese così in sposa e grazie a questa unione Agrigento divenne la città chiaramontana per eccellenza, poiche i Chiaramonte la ripopolarono, diedero impulso alla sua economia e fecero della città durante la loro giurisdizione una perla dell’architettura trecentesca lasciando molte tracce della loro presenza, nelle architetture dei monumenti e palazzi.
Nella Città famosa per i templi greci sorsero anche alcuni dei monumenti che magnificavano la potenza dei Chiaramonte: lo Steri in cima alla collina dove si estendeva Agrigento, presso il castello edificato dagli Arabi e potenziato dai Chiaramonte; il grande monastero di Santo Spirito dove le donne chiaramontane concludevano le loro esistenze terrene; i sontuosi palazzi, sparsi per la città, della magnifica Isabella, di Costanza, di Beatrice.
E ancora i conventi , di San Francesco e di Sant’Agostino, il chiostro di San Domenico, il convento di Badia, gli ospedali di Santa Croce e di San Giovanni; le chiese di Sam Pietro, San Michele, di Santa Maria Maddalena; le mura e le porte che circondarono la città, come la porta del Marchese, ove era lo stemma della famiglia Chiaramonte.
Molti di questi edifici conservano ancora oggi le tracce di quell'arte che venne detta chiaramontana e che ancora ammiriamo in diversi castelli edificati nei centri vicini di Naro, Bivona Favara, Palma di Montechiaro, Racalmuto.
L'opera più cara al cuore di Marchisia Prefoglio fu certamente il Monastero di Santo Spirito ad Agrigento fondato intorno al 1295.
Rimasta vedova, trascorse in questo cenobio gli ultimi anni della sua esistenza . Viene confermata dagli storici la morte di Marchisia Prefoglio in Agrigento, intorno al 1300 e deposta in un sarcofago marmoreo nella Cattedrale, per volontà dei figli.
Con Il matrimonio tra Federico e Marchisia la sorte della città di Agrigento si legò a quella dei Chiaramonte ancora per tutto il Trecento, periodo che in Sicilia fu caratterizzato dalla presenza di grandi famiglie feudatarie che, mancando il potere unificante del re, e mancando una diffusa democrazia cittadina, rappresentarono l'unico autentico potere politico, fino a quando non riuscirono ad imporsi gli Spagnoli.
I tre figli di Federico e Marchisia furono i potenti nobili Manfredi, Giovanni, Federico II.
Manfredi fu Signore di Caccamo e di Comiso e Conte di Modica, Gran Siniscalco regio (dal 1296 almeno fino al 1316); Capitano di guerra di Palermo (1314); avviò la costruzione del Palazzo Chiaramonte-Steri, dimora di famiglia a Palermo; fondò la Cappella dei Chiaramontani nella Chiesa di San Nicolò alla Kalsa.
Giovanni Prese parte alle Guerre del Vespro in Sicilia, in cui appoggiò l'iniziativa militare di Federico d'Aragona contro il passaggio dell'isola agli Angioini; ebbe l’incarico di Gran siniscalco del Regno, lasciatogli nel 1317 dal fratello Manfredi, di procuratore generale e maestro razionale del Regno nel 1321; nel maggio 1325 fu a capo della difesa di Palermo assediata da 115 galee angioine comandate da Carlo d'Angiò.
Federico II Chiaramonte fu barone di Racalmuto, Siculiana e Favara.
La famiglia dei Chiaramonte fu protagonista della storia siciliana, prima schierandosi contro i francesi, che insistevano nei loro tentativi di riconquistare l'Isola, e poi capeggiando la resistenza contro i tentativi degli spagnoli per dominare in maniera assolutistica la Sicilia, fino alla rivolta contro il re.
In questo modo i Chiaramonte andarono incontro al loro destino, quando Andrea, uno dei discendenti di Federico I e Marchisia attraverso la linea di Manfredi, divenne capo dell'opposizione dei baroni siciliani contro Martino I d'Aragona il Giovane. Questo sovrano, dopo aver assediato a lungo Palermo, catturò Andrea Chiaramonte e lo decapitò nel 1392, proprio davanti al palazzo Steri, emblema architettonico del potere chiaramontano. La vedova di Andrea Chiaramonte, Isabella, si chiuse nel convento di Santo Spirito ad Agrigento.
I beni furono confiscati e concessi al catalano Guglielmo Raimondo Moncada, ma soprattutto a Bernardo Cabrera. Agrigento però non venne data a nessuno di questi potenti signori perché tornò al regio demanio.
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