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Fu un gigante dell'architettura siciliana: chi era Gianni Pirrone e cosa ha lasciato a Palermo

Scomparso nel 2004, il professore pilastro della Facoltà d’Architettura di Palermo, ha realizzato alcuni dei più eleganti edifici residenziali del capoluogo siciliano (e non solo)

Danilo Maniscalco
Architetto, artista e attivista, storico dell'arte
  • 7 ottobre 2020

Primi anni 80. Gianni Pirrone e Kenneth Frampton alla Columbia University (da: Archivio Arturo Giancarlo Pirrone)

Il numero 388 del marzo 1962 della rivista "Domus" dedicava all'architettura contemporanea palermitana un corposo report di immagini e informazioni, lasciando trasparire la grande qualità della ricerca progettuale del capoluogo siciliano malgrado la delicata fase di cambio epocale che la speculazione edilizia si apprestava a determinare aggredendo e devastando l'intero territorio della Conca d’Oro.

Tra i diversi progetti presenti nel numero della rivista più longeva del settore, vi ritroviamo l'allestimento scarpiano di Palazzo Abatellis, il nucleo residenziale di borgo Ulivia del gruppo capitanato da Giuseppe Samonà, alcuni edifici residenziali e due interventi interessanti e singolari progettati da quel gigante dell'architettura siciliana che fu Gianni Pirrone, la scuola Orestano a Brancaccio e la ringhiera a corredo del ponte Corleone.

In quel decennio Pirrone si occupa anche di altri due interventi pubblici, la piscina olimpionica di viale del Fante e la Scuola "Vittorio Veneto" in via Michelangelo.
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Nel loro carattere essenziale e misurato, per il rapporto calibrato con il luogo circostante, per l'attenzione ai materiali e al design, sono quattro esempi di architettura contemporanea italiana che andrebbero studiati all'interno dei corsi di composizione e di urbanistica dei primi anni universitari per divenire bagaglio culturale perenne degli studenti.

Tranne la scuola Orestano (recentemente oggetto di ristrutturazione e ancora utilizzata compatibilmente con l'uso originario) sono invece abbandonati ad un degrado che a volte sembra suggerire nei riguardi del Prof. Pirrone pilastro della Facoltà d’Architettura di Palermo, una vera e propria damnatio memoriae vicina a quella subita da Nerone.

La Scuola di via Michelangelo è occupata abusivamente nell’assoluta indifferenza di ogni politico palermitano di ordine e collocazione da almeno dieci anni ed è diventata un ridente condominio con vista sul percorso finale del tram, mentre la piscina olimpionica comunale non smette di collezionare occasioni di degrado e disservizi anno dopo anno.

E ancora, la ringhiera metallica progettata da Pirrone per valorizzare allora, quanto più possibile la visione del parco fluviale sul fiume Oreto, subisce lo stesso destino di abbandono e degrado del doppio viadotto a cui è solidale fisicamente e storicamente, ringhiera che perde pezzi marcendo, senza mai beneficiare di alcun intervento di manutenzione e pulitura quasi desse fastidio, "un pezzo di ferro vecchio", dirà qualcuno.

Ma il problema più importante per una volta non è forse nemmeno la cosiddetta “malapolitica” ma il mancato riconoscimento dell'opera in quanto manufatto pregevole da tutelare da parte, soprattutto, delle istituzioni culturali che non emettono nemmeno un lontano grido di denuncia, malgrado la paternità riconosciuta delle opere.

Un titano Pirrone. Fu allievo e assistente di Edoardo Caracciolo negli anni Cinquanta, preside tra il 1977-79, tra i più raffinati progettisti siciliani del boom economico, brillante intellettuale dal carattere duro e determinato, tessitore di trame culturali importanti e trasversali, saggista e docente di intere generazioni di architetti, fervente propugnatore del concetto di gesamtkunstwerk, insegnerà Arredamento e Decorazione, Architettura degli interni, Composizione Architettonica, Arte dei giardini, fondando alla fine degli anni Ottanta la "Scuola di Specializzazione in Arte dei Giardini".

Senza alcuna possibilità di dubbio, dobbiamo sempre a Pirrone il rilancio della figura e del portato culturale delle opere e della scuola di Ernesto Basile tra gli anni Sessanta e Ottanta da cui partirono importanti mostre tra Palermo e la biennale veneziana conquistando in egual misura storici e semplici cittadini.

Amico di Mario e Aldo Pecoraino, di Emilio Greco, Raffaello Piraino e di Ferdinando Scianna, Pirrone ha realizzato alcuni dei più eleganti edifici residenziali palermitani e suggestivi brani di edilizia economica e popolare tra Palermo e Villabate.

Alcuni dei suoi testi sono divenuti veri e propri libri cult, quasi introvabili come "Palermo Liberty" e "Studi e schizzi di Ernesto Basile", "Palermo Architettura del XX secolo" e "Palermo una Capitale".

Quella patologia terribile che e l’Alzheimer se lo è portato via nel giugno 2004 e da allora l’altro Alzheimer, quello culturale sta divorando ulteriormente, anno dopo anno il lascito di pregiate opere immaginate con slancio e passione e realizzate per valorizzare lo spazio urbano collettivo come tributo alla città nel continuum con la storia.

C’è un aneddoto che mi piace raccontare, donatomi dal collega Arturo Giancarlo Pirrone oggi progettista di successo ad Atlanta (U.S.A.) che ci restituisce, credo io, la dimensione di grande intellettuale e maestro del padre. In questo racconto, rimasto privato per quasi trent'anni ci sono da una parte Gianni Pirrone e dall'altra parte del tavolino della caffetteria della Columbia University di NY “sua maestà” Kenneth Frampton.

Nessuno dei due parla bene l'idioma dell'altro, ma entrambi hanno piena coscienza del valore universale, antico e profondo, del gesto grafico capace di surrogare persino il linguaggio parlato. Ed è così che i due parleranno per un'ora e oltre di architettura e bellezza, di storia e di progetto, in quel silenzio tipico che esiste soltanto davanti all'architettura con la "A maiuscola", quella che come molte narrazioni e poesie, è ancora capace di commuovere proprio come molte delle opere di Pirrone lasciate in Sicilia.

Dobbiamo molto di più di questo imbarazzante silenzio in cui sono cadute le opere pubbliche e la storia di uno dei progettisti più brillanti e illuminati che Palermo abbia avuto nel recente passato.

Dobbiamo al prof. Gianni Pirrone il rispetto che si deve ai grandi maestri. Se le parole sono pietre, allora ben venga usarle per rompere quella membrana che relega la sua bellezza costruita in mezzo secolo di professione e impegno accademico, nel dimenticatoio più inutile e autolesionista che esista.
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