PERSONAGGI
Francese, bellissima e in uniforme: chi era Emilè Cordier, la "Lady Oscar" di Palermo
In un’epoca segnata da ideali rivoluzionari e passioni esagerate, una donna determinata e anticonformista si trovò in Sicilia al centro di scandali politici
Immagine tratta dal film "Lady Oscar" del 1979
La serie televisiva narra la storia di una fanciulla vissuta alla fine del Settecento alla corte di Maria Antonietta e di Luigi XVI, costretta sin dalla nascita dal padre, che tanto desiderava un erede maschio, a chiamarsi, vestirsi e comportarsi come un uomo.
Ci sono stati però in passato anche casi reali di donne che hanno dovuto indossare panni maschili, per poter avere opportunità che altrimenti sarebbero state loro negate.
Per esempio la milanese Francesca Antonia Scannagatta (o Scanagatta), nata nel 1776, che si finse uomo, fece una carriera militare di tutto rispetto e divenne il tenente Franz.
Un altro caso noto è quello dell' "Ammiraglia": si chiamava Emilè Cordier, era un’attrice francese, bruna, con gli occhi scintillanti. Aveva 20 anni e a Palermo si era guadagnata questo soprannome perché indossava un'uniforme marinara.
Dumas si era sposato nel 1840 con l’attrice Ida Ferrier che era morta nel 1959 e allora aveva intrecciato questa liason con la giovane Emilè. Il matrimonio con la Ferrier non era mai stato comunque un ostacolo per altre relazioni: lo scrittore e la moglie avevano stabilito di vivere come separati in casa, ognuno faceva la propria vita.
Durante la sua esistenza, Dumas ebbe moltissime donne (spesso attrici) e anche diversi figli, ma ne legittimò solo 4. Tra di essi il più noto è Alexander Dumas figlio, scrittore anche lui, cresciuto in collegio e riconosciuto dai genitori solo all’età di 6 anni, autore de "La Signora delle camelie", storia che ispirò "La Traviata" di Giuseppe Verdi.
Dumas, innamorato dell’Italia come pochi, nemico dei Borboni e amico di Garibaldi (avevano entrambi aderito alla Massoneria), saputo dello sbarco dei Mille lo raggiunse a Palermo a bordo della goletta Emma (in onore di una ex fiamma), mettendosi a disposizione del generale.
Simpatizzante delle causa democratica, Dumas si unì alle camicie rosse con l’intento di scrivere un libro reportage sulla Spedizione. Il libro, molto romanzato e intitolato "I Garibaldini", che sarebbe stato pubblicato nel 1861, avrebbe esaltato la figura di Giuseppe Garibaldi, contribuendo notevolmente ad accrescerne all’epoca il mito.
Nell’articolo del 3 dicembre 1970 sul Corriere della Sera, Leonardo Sciascia raccontava la partecipazione dello scrittore all’impresa unitaria. Dumas aveva sessant’anni ma con spirito giovanile e rivoluzionario si era gettato a capofitto nell’avventura. Venne accolto con tutti gli onori l’8 Giugno 1860 quando sbarcò a Palermo accompagnato da Emilè: lui la presentava a volte come sua figlia, a volte sua nipote.
L’adorava. Ma la differenza d’età era evidente anche perchè la giovane attrice francese dimostrava meno dei suoi 20 anni. Indossava calzoni bianchi e redingote di velluto viola con gradi d’oro al colletto. Dumas, un omaccione robusto, era vestito di bianco da capo a piedi e sulla testa portava un gran cappello di paglia con tre penne, una rossa, una bianca e una turchina.
Per lo scrittore, amoreggiare con giovani fanciulle non era mai stato un problema, ma da quando stava con la giovane Emilè era pazzo di gelosia; la obbligava ad indossare una divisa, per cercare di nasconderne l’avvenenza; invece otteneva l’effetto opposto, la fanciulla risultava ancora più attraente e sensuale.
Le Grand Alexandre abbracciò Garibaldi con infinite dimostrazioni di affetto ed entrò insieme a lui al Palazzo Pretorio, "predicando e ridendo forte". Il generale accolse fraternamente l’amico («Caro Dumas mi mancavate!») e paternamente la ragazza e sembrò non scandalizzarsi, come fece mezzo stato maggiore, del travestimento di Emilè.
Scriveva Leonardo Sciascia in merito alla fanciulla: "la sua presenza in campo garibaldino si faceva misteriosa e scandalosa insieme, e per la gelosia di Dumas, e per il fatto che vestiva da uomo".
E ancora "Questo innocente e funzionale travestimento alimentò peccaminose fantasie: e la propaganda di parte borbonica se ne servì completando poi un ritratto di Dumas libertino col fatto che, nominato da Garibaldi direttore del Museo di Napoli, il primo suo atto fu l’apertura della sala di statue oscene, che pel costume si tenea chiusa".
Garibaldi invitò Dumas alla cena con gli ufficiali a Palazzo Pretorio. Quando tutti gli ospiti si misero a tavola, Emilè "piccina e leziosa e piena di moine" prese posto alla destra del generale, tirandogli la barba per scherzare.
I generali ne furono stizziti: "È vero che molte licenze si accordano ai poeti, ma questa che si piglia adesso, di mettere a tavola col generale e con noi quella minuscola figlia del peccato, è tal licenza che non concederebbero mai né gli dei, né gli uomini".
Lo scrittore francese non era molto amato dai Garibaldini, come si avverte nella lettura di quasi tutti i memorialisti. Per spazzar via l’imbarazzo suscitato da Emilè, Dumas quella sera al Palazzo Pretorio si mise al centro della scena: "mangiando come un poeta affamato, bevendo come un poeta assetato, parlando come sapeva scrivere", e tutti stavano ad ascoltare i suoi racconti di avventura a bocca aperta. Si brindò con vino Marsala all’Italia e al re Vittorio Emanuele.
Quando comparve a fine pasto il dessert, una delle ricercate ghiottonerie siciliane, la zucca candita del monastero di Santa Caterina (un dono delle monache al generale) Dumas ne fece una scorpacciata. Garibaldi gli fece confezionare quel poco che ne era rimasto in un cartoccio da portar via. Per ricambiare il dono, lo scrittore annunciò di avere a bordo dell’Emma tante bellissime armi, acquistate a Marsiglia, destinate tutte al generale.
In realtà, annotava nei suoi diari il garibaldino Giuseppe Bandi che si recò a prendere l’armamentario: "Le armi che ci dette il francese non avrebbe riempito un carrettino di competenza di un somaro. Infatti tutto quel tesoro consisteva in sette o otto sciaboloni da cavalleria, e in dodici vecchie carabine; roba degnissima del ferravecchio.
Ossequienti al proverbio che a caval donato non si guarda in bocca pigliammo le armi e le recammo al generale, che rise assai paragonando i doni minuscoli del gran romanziere francese, colla magnificenza delle sue promesse".
Nei giorni successivi, Garibaldi si recò spesso a visitare tutti i monasteri di Palermo e un pomeriggio condusse dalle monache carmelitane di Santa Maria di Valverde anche Emilè.
Ecco come raccontava l’episodio Giulia De Beaumont nel suo diario: "Finalmente alle ore 16 si sente una carrozza... Le monache ansanti sporgono la testa dalle grate... Son pieni tutti i balconi e la strada di gente che acclama... È Lui !... Egli scende da carrozza e dà il braccio ad una bellissima giovine (figlia di Dumas); lo seguono i suoi uffiziali (…) Si apre la porta e si presenta la badessa che lo invita ad entrare: Grazie, signora, le dice Garibaldi.
Madama, dice poi dirigendosi alla giovine Madama (Emilè), entrate. Poi ancora alla badessa: Ho voluto – disse - condurre una signora in un luogo dove vi sono tante del suo sesso. Lo condussero al refettorio dove era preparato il buffet. Egli non prese che un poco di caffè, mezzo biscotto di quelli col cimino (seme d'anice) ed un cucchiaio di gelato, lodando molto i sorbettieri di Sicilia. Servi il caffè alla signora (sempre Emilè)".
Dumas alloggiava al Palazzo Reale e dalle sue stanze aveva un osservatorio privilegiato sulla città. "La vista delle barricate mi ringiovanisce di 30 anni" avrebbe scritto nelle sue memorie garibaldine. Era esasperato però dai domestici della Reggia che non rinunciavano a chiamarlo Eccellenza e volevano per forza baciargli la mano.
Quando Garibaldi lasciò l’isola, per portare a compimento la sua impresa, Dumas lo precedette a Napoli, dove giunse a bordo dell’Emma. Negli accampamenti lo scrittore si faceva montare una grande tenda, con la bandiera francese appesa all’asta. Emilè giaceva con lui, su tappeti variopinti, mentre un servo stava di guardia all’ingresso. Quando si stancava di quella sceneggiata Dumas tornava in città per alloggiare in albergo.
Nel settembre del 1860 Garibaldi entrava a Napoli e nel dicembre di quell’anno il Grand Alexandre ed Emilè ebbero una bambina, Michaella (1860-1936): "L’Ammiraglia ha messo al mondo una bella garibaldina", scrisse Dumas a Garibaldi.
Il generale fece da padrino, per procura, al battesimo. Emilè andò a Parigi, per partorire ma poi tornò a Napoli, lasciando la neonata in Francia con una balia. A Napoli, dove Dumas si sarebbe fermato 4 anni, l'enorme differenza di età fra i due fece sorgere una quantità di dicerie. Lo scrittore dirigeva il giornale L’Indipendente ed era stato nominato da Garibaldi Direttore degli Scavi e dei Musei ma a causa dei malumori dei Napoletani, che non lo amavano, preferì nel 1864 tornarsene a Parigi.
Nel medesimo anno si chiudeva anche la sua relazione con Emilè Cordier. Lo scrittore partì alla volta della Francia e dopo poco finì per gettarsi tra le braccia di Fanny Gordosa, un’attrice italiana.
Alcuni anni dopo Emilè si sistemò, sposando nel 1875 a Parigi il banchiere Oscar Edwards, da cui ebbe 5 figli. "L’Ammiraglia" morì nel 1906, a 66 anni.
Si era spento già da molto tempo, nel 1870, a 68 anni, Alexander Dumas: eccessivo, generoso e gioviale, epicureo e crapulone, "sfinito, ma felice".
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