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Forse non sai che in Sicilia la cantava Rosa Balistreri: chi conosce "Vitti na bedda"

Una canzone in lingua siciliana simile a una ballata, di autore anonimo, cantata dalla celebre cuntastorie. Vi raccontiamo la storia e il suo vero significato

Francesca Garofalo
Giornalista pubblicista e copywriter
  • 1 febbraio 2025

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Un legame “sottile” come uno spago, saldo come un’ancora in fondo al mare e oscillante come un pendolo. E poco importa la distanza o la vicinanza; spesso accade che due anime o più si incontrano ed è fatta. La chiamano amicizia. Qualcosa che, a volte, va al di là della comprensione umana, perché nasce da una sintonia e stima prima e un reciproco dono incondizionato di percezioni, emozioni e idee dopo, in cui pure gesti minuscoli sono atti di premura grandiosi.

In Sicilia abbiamo un esempio di questa relazione con l’altro in "Vitti na bedda - ho visto una bella ragazza".

Canzone in lingua siciliana, di autore anonimo, ispirata proprio all’amicizia e cantata dalla voce graffiante della cantante e cuntastorie Rosa Balistreri.

Il ritmo, simile quasi a una ballata country, travolge per l’andamento allegro e ricorda come da un simbolo, in questo caso un vaso di basilico, donato si cela un gesto d’affetto e generosità non da poco. Questo perché il basilico simboleggia amore, prosperità e protezione e coltivarlo richiede cura e impegno smisurati; ergo, concedere un po’ a qualcuno è considerato un vero atto d’amore.
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Dai primi versi della canzone emerge l’incontro tra una bella ragazza e, in questo caso, un’altra persona (sarà un’altra donna, uomo, ragazzino o anziano?) che chiede un po’ della pianta.

All’inizio, pare quasi un atto dovuto chiesto con un tono perentorio, in realtà è ben diverso perché era d’uso comune nell’Isola dare il basilico a chi si voleva per amico.

La generosità della ragazza però si spinge ben oltre “‘nticchia - pochetto”, offrendo non una foglia o un ramoscello, ma l’intero vaso della pianta aromatica. Prima che il dono avvenga però accade l’inaspettato:

Vitti 'na bedda
affacciata 'a finestra
c'abbivirava lu basilicò.
E ju ci dissi
damminni 'na 'nticchia
idda mi dissi è tuttu lu tò.
Famminni jiri
mé matri a la missa
ca ti lu dugnu cu tutta la grasta
A la turnata ci tornu a passari
persi la grasta e lu basilicò;
e cu lu sì e cu lu no
di notti si chianta lu basilicò.
e cu lu sì e cu lu no
di notti si chianta lu basilicò
.
—------------
Ho visto una bella ragazza
affacciata alla finestra
che innaffiava il basilico.
Ed io le ho detto:
dammene un poco:
lei mi rispose: è tutto tuo.
Fammi andare
con mia madre alla messa
che te lo do con tutto il vaso.
Al ritorno passo di nuovo
ho perduto il vaso e il basilico;
e con il sì e con il no
di notte si pianta il basilico.
e con il sì e con il no
di notte si pianta il basilico.

Il vaso viene perduto. Una “mala fine”, potremmo dire, per una richiesta iniziata con un sì e terminata con un no. Anche se questo non impedisce alla ragazza di perseverare, perché la sera stessa si adopera per piantarlo.

In questa canzone la perdita del vaso ha quasi una funzione cardine: non demordere e alimentare l’atto di cura per ricoltivare la pianta, e mantenere la promessa fatta del dono amichevole.

Dunque, quali sono i fondamenti di quest’amicizia ricercata, per cui ci si prodiga e diventa spesso così profonda da percepire le parole o i sentimenti dell’altro stando in silenzio?

Il merito, verrebbe da dire, è tutto delle F: fiducia e fedeltà. Effe che rendono possibile lo scambio di emozioni, parti di sé ed emotività. E poco importa se non ci sono doni di mezzo come Vitti una bedda; è quel dare e avere disinteressato.

Quel sapere ciecamente di essere al sicuro di fronte all’altro, che rende un’amicizia degna del suo nome. Pena, un rapporto di mera convenienza, indegno di fronte a quel sommo e puro legame.
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