CURIOSITÀ
Finalmente il fatidico giorno è arrivato: com'è un (tipico) pranzo di Natale in Sicilia
Dopo notti insonni si arriva alla soluzione di un pasto unico, composto da 256 portate e 86 litri di vino, che finisce nel tardo pomeriggio senzaun attimo di pausa
Si comincia a pensare al menù molto tempo prima, modificando settimana dopo settimana, giorno dopo giorno, senza mai riuscire a trovare un punto di accordo. Tanuzzo mangia la pasta al forno ma odia i piselli allora gli facciamo una teglia a parte, ma Rosalia mangia solo le lasagne quindi ama a fari pure a tigghia per lei.
Che poi è Natale, un bruciuluni non lo devi fare che poi i picciriddi ci rimangono male. Ricordati che Maria Rosa non mangia il formaggio, le olive, il salame, i pomodori secchi, e le tartine con la bottarga quindi deve stare lontana dagli antipasti, ma non seduta accanto al picciriddu di Letterio e Santina che quello la odia.
I primi ospiti, quelli più stretti, cominciano a tuppuliare, sempre e solamente con i piedi, verso metà mattinata, e dopo baci abbracci, talè cu c’è.....” e “Cumpààààà!!! ed aver posizionato i picciriddi davanti la televisione che propina il solito film natalizio si comincia a spizzuliare perchè così si tasta il vino e lo si fa “ossigenare” (abituati erano...).
Lo spizzuliamento consiste in un “timido” assaggino di salamino, formaggio, olive nere e verdi e comegghiè, pomodori secchi imbottiti, milinciane friute e tartine (che non devono mancare mai) ed ovviamente ciotole di patatine, salatini e noccioline per i picciriddi e Maria Rosa, il tutto irrorato da quei 4 o 5 litri di vino che rendono l’atmosfera calda e briosa.
Arriva il momento di mettersi a tavola, per cui fatte fuori cravatte, sbottonate le camicie e, per i più goliardici, tolti i maglioni natalizi fatti con lana grezza simile alla carta vetrata grana 100, i commensali, già belli allitrati si siedono alla tavola cunzata.
Il nonno, rigorosamente seduto a capotavola, senza mai togliere la coppola, comincia a raccontare, come sempre, di quando lui "era nico e tutta sta abbondanza mica c’era", per cui è autorizzato a mandare a quel paese a nannà che gli ricorda del colesterolo alto e prendere tripla porzione di tutto, ma soprattutto fare in modo che il bicchiere sia sempre mezzopieno di vino.
I picciriddi, riusciti a far desistere le mamme da ogni tentativo di farli mangiare belli assistemati na tavula, simili a bertucce sotto effetto di anabolizzanti comiciano a correre sotto il tavolo, a tirarsi pezzi di pane (quando va di lusso), a smontare minuziosamente tutti i mobili della casa e "torturare" Rosario (il cane di mannara domestico) che ormai rassegnato si impegna a fissare intensamente il cibo nella speranza che un’anima pia gli allunghi qualcosa.
Intorno le ore 17.30 ha finalmente fine (momentaneamente) la tavolata. In fretta e furia si sparecchia per cominciare il tanto atteso momento dei giochi, simpatica ed innocente prassi familiare in cui si creano delle bische clandestine e interi nuclei familiari si indebitano. Messo in posizione di sicurezza il nonno, ormai prosismo al coma etilico, sul divano di comincia col il classico del classici, almeno per fare contenti i picciriddi, la tanto amato ed odiata Tombola.
Ora qui ci sono due scuole di pensiero, chi sarebbe disposto a vendere la mamma per assicurarsi di poter gestire il tabellone e chi invece, pur di non accollarselo, cerca di nascondersi dentro la cuccia di Rosario per non correre il rischio di avere quest’ incombenza (io appartengo a quest’ultimi).
Vuoi per entusiasmo o per abitudine, si ricorre alla smorfia associando il numero al suo detto tipico. I più simpatici urleranno direttamente “Quello che guarda a terra” oppure “a fimmina a nura” o il classico “gli anni di Cristo” (l’ unico che personalmente riesco a ricordare grazie alle remiscenze del catechismo delle elementari).
A nannà, che a differenza del nonno che russa come una segheria, è partecipe al gioco chiede ad ogni "abbannio" se per caso è uscito il 36 e urla ambo ogni qualvolta ne trova uno sulla cartella nonostante si sia ormai prossimi alla cinquina della terza tombolata.
Ma la vera anima ludopatica è in agguato. Quando i bambini sono ormai stravolti e si uniscono al concerto per segheria del nonno, gli uomini veri organizzano il tavolo da poker, e quelli come me si isolano con il loro libro da leggere o guardano i cartoni alla TV, escono fuori le carte siciliane, e la nonna, tolto quel velo di stolitaggine (che si sa essere tutta una finta) esce fuori i scagghiuna urlando “a cu pigghiu pigghiu!”.
Quale che sia il gioco, ti vitti, cucù, sette e mezzo o cavadduzzu, tutti escono fuori il barattolo con gli spicci che raccolgono da tutto un anno appositamente per quest’ occasione e cominciano a fare la tipica puntata da massimo 50 centesimi.
E’ qui che a nannà, ormai in preda a delirio ludico, guardando tutti i presenti al tavolo con aria di sfida afferma, “seeee... e che semu picciriddi?? Io a ricuogghiere i piccioli du rialo!!” e comincia a far piovere sul tavolo da gioco monete da due ed anche da tre euro che la zecca dello stato ha coniato appositamente per lei.
Non appena ha la carta vincente la sbatte sul tavolo come un guanto di sfida ridendo, agguanta avidamente il maltolto, e fulmina con lo sguardo chiunque osi contestare la sua giocata, sia esso amico, nemico o nipote!
A questo punto il tutto cessa di essere una semplice giocata e diviene una missione, a tal punto che voleranno i commenti sull’ inutilità della persona che ha gettato la carta sbagliata (e poco importa se si tratta di Bastianello con una laure al MIT e un dototrato di ricerca al CERN, ha sbagliato la carta rimane in ogni caso una cosa inutile) o non ha rispettato bene le regole del gioco (anche se fosse la primissima volta che gioca in vita sua).
Tutto questo fino alle ore otto, momento in cui a nannà spariscono le fiamme dagli occhi per tornare ai cuoricini ed annuncia a gran voce, facendo satariare il nonno sul divano, “oh ma sono le otto... chi fa unnamu a manciare niente?”.
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