STORIA E TRADIZIONI
Era bellissima e sposò il tiranno di Siracusa: Damarete, stratega che cambiò il corso della storia
Molti successi dei comandanti dell’antichità erano dovuti alla capacità delle donne a spronavano i loro mariti o amanti. Questa è la storia (e la leggenda) di Damarete
La regina Damarete in un dipinto
Infatti, molti successi dei comandanti dell’antichità erano dovuti alla capacità delle donne a spronavano i loro mariti o amanti. Ovviamente ci riferiamo a vicende di molti secoli addietro dove, a quel tempo, alla donna non le veniva data la possibilità di ricoprire incarichi di successo. Per fortuna oggi non è più così anche perché, siamo convinti, che se il mondo fosse governato da più donne certamente vivremmo in un pianeta migliore.
Ma procediamo con ordine, per meglio comprendere come Damarete diventò la protagonista in azioni dove la realtà s’intreccia con la leggenda. Nella famosa battaglia fa tra i Greci di Sicilia e i Cartaginesi, avvenuta 2500 anni fa, e più precisamente nel 480 a.C., gli invasori “barbari” vennero sconfitti, nella piana di Imera, da una colazione militare formata da un esercito proveniente da Agrigento e Siracusa.
Recenti studi, a cui ha partecipato anche l’archeologo Stefano Vassallo, della Soprintendenza di Palermo, attesterebbero che durante lo scontro, molti combattenti provenivano da lontano, addirittura fuori dell’isola e pertanto con molta probabilità mercenari a rinforzo dell’esercito greco.
Sull’argomento gli antichi storici Erodoto e Diodoro Siculo avrebbero taciuto sulla presenza degli stranieri, certamente per non indebolire l’orgoglio greco. In merito al giorno dello scontro, Erodoto ci riferisce che avvenne in contemporanea con la battaglia di Salamina, quando la flotta di Atene e di Sparta sconfissero i persiani, mentre Diodoro Siculo afferma che avvenne in concomitanza con la battaglia delle Termopoli, quando l’esercito persiano, sui monti dell’Ellesponto, sconfissero gli spartani, facilitando l’avanzamento verso Atene.
Una sorta di parallelismo propagandistico voluto per sostenere che anche i Greci di Sicilia avevano sconfitto i “barbari” cartaginesi così, come i Greci della Madre Patria avevano fatto con i persiani.
Terminata la cruenta battaglia, ecco che Damarete entra in scena assumendo un ruolo di primo piano, mettendo in atto una strategia degna del miglior comandante. Secondo quanto riferito da Diodoro, la moglie di Gelone ebbe un ruolo decisivo nella trattiva di pace tra i greci di Sicilia e i cartaginesi. Infatti i “barbari” avendo ottenuto la salvezza contro le loro aspettative, accettarono quanto richiesto e promisero una corona d’oro da donare a Damarete.
La regina poiché aveva cooperato moltissimo per la conclusione della pace, quando ricevette il dono, del valore di cento talenti d’oro, fece coniare una moneta che venne chiamata “damareteo”. Si tratta della prima decadramma, cioè di una moneta del valore di dieci dracme decisamente molto rara anche perché prodotta in pochi esemplari. In merito al trattato di pace le fonti antiche riferiscono che le richieste di Gelone fatte ai vinti si possono sintetizzare in due imposizioni.
La prima consistette nella costruzione di due templi in stile dorico, secondo la tradizione di quel tempo.
Uno di questi fu eretto a Imera, denominato, in seguito, il tempio della “Vittoria”; l'altro, di dimensioni maggiori, a Siracusa, probabilmente dove oggi sorge la Cattedrale nel cuore di Ortigia. Le colonne del tempio si possono facilmente notare nei muri perimetrali dell'edificio sacro. La seconda richiesta fu quella di un risarcimento in monete d'argento, pari a duemila talenti, per i danni procurati dalla guerra.
Ma Damarete, sembrerebbe, di aver avuto un ruolo determinante in un’altra clausola del trattato. Infatti la “leggenda” vuole che la regina suggerì di liberare i cartaginesi catturati a condizioni che questi non facessero più sacrifici dei figli maschi primogeniti al dio Baal. Pratica questa, secondo i greci, necessaria al fine di placare le ire e chiedere favori.
Questo suggerimento si identificherebbe come la prima difesa dei diritti dell’infanzia mai perpetrata prima d’allora. Di questa straordinaria clausola non fanno riferimento né Erodoto, accreditato a riferire sulle cronache di quel tempo, né tantomeno Tucidide e Diodoro Siculo. La notizia viene riportata in uno scolio della Pitica II di Pindaro, in cui si attesta che Teofrastro di Ereso affermava di questa clausola nel trattato di pace. Un'ulteriore notizia sull’argomento ci viene fornita da Plutarco, che racconta del divieto di compiere sacrifici umani a seguito della battaglia di Imera.
L'affermazione si rileva negli Scritti morali e in particolare nei Detti di re e imperatori, e nell'opera: Sui ritardi della punizione divina. Infine, sempre Plutarco, nel trattato La superstizione, aggiunge come i cartaginesi immolavano i propri figli a Saturno, raccontando che i ricchi che non avevano figli li acquistavano dalla misera gente, per sgozzarli come agnelli.
Questa straordinaria postilla per Montesquieu nel famoso trattato “Lo spirito delle Leggi” lo definì, oltre duemila anni dopo, nel seguente modo: “il trattato più bello di pace, di cui abbia fatto menzione l'Istoria, è a mio credere, quello, che Gelone fece co' Cartaginesi.” Sull’argomento anche l'erudito termitano Niccolò Palmeri, vissuto tra il XVIII e il XIX, nell'opera dal titolo, Somma della storia di Sicilia, del 1850, così scriveva a proposito della richiesta attribuita a Damarete: “La moderazione di Gelone dopo la vittoria fu pari alla solerzia mostrata nell'ordinare la battaglia. Pace concesse agli oratori, che da Cartagine a lui furono spediti.
Il partito fu: che pagasse Cartagine duemila talenti ai Siciliani, per le spese della guerra; che mandasse a Siracusa due navi allestite, in segno di riconoscenza per la pace ottenuta; e che abolisse la rea consuetudine d'immolare umane vittime a Nettuno. Fu questo, dice Montesquieu, il più bel trattato di pace di cui la storia parli. Gelone, dopo d'aver disfatto trecentomila cartaginesi, impose una condizione, ch'era utile solo ad essi; o piuttosto egli stipulò in pro di tutta l'umanità.
Tanto furono lieti i cartaginesi di tali condizioni, che per mostrare la gratitudine loro a Demarete moglie di Gelone, che s'era adoperata per la pace, la presentarono d'una corona del valore di cento talenti d'oro; della quale essa fece coniare monete, ognuna delle quali pesava dieci dramme e dal suo nome, demarazie furono dette”.
Ad oggi non ci sono conferme archeologiche in merito agli effettivi sacrifici dei bambini da parte dei cartaginesi, inoltre tra i filologi c'è un forte scetticismo sull'argomento. Infatti, da un esame dei resti dei neonati rinvenuti nei luoghi funerari cartaginesi (“tofhet” di Cartagine, Mozia e a Tharros) è emerso che molti bambini erano deceduti durante la gravidanza, o poco dopo la nascita, senza che si deducessero segni di una morte cruenta. Alla luce di questi dati, i sacrifici umani potrebbero dichiarati come un'azione anti - cartaginese incoraggiata prima dai greci e poi dai romani a scapito dei popoli così definiti come “barbari”.
Su come realmente furono andate le circostanze, in merito alla straordinaria clausola sui divieti dei sacrifici umani, non abbiamo certezza, ma sicuramente, in breve tempo, Damarete divenne molto popolare anche nei secoli successivi, al punto di essere considerata al pari di una semidea alimentando, ancora di più, un fascino che continua ad essere immutato ancora oggi.
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