STORIA E TRADIZIONI
Epoca che vai, epidemia che trovi: l'ondata di colera in Sicilia e quei presunti "untori"
Giunto in Italia dall’Egitto, il morbo fu portato nel 1866 a Palermo da alcuni soldati che si imbarcarono a Napoli. Ma secondo il popolino i responsabili erano altri
«… alle tante calamità ond’è afflitta l’Italia, ora dobbiamo aggiungere la ricomparsa del cholera, che con crescenti casi va serpeggiando in alcune provincie continentali meridionali e nell’interno della Sicilia….».
Fu l’inizio dell’incubo e della prima vera emergenza civile italiana. Una delle province più colpite fu quella di Agrigento.
Lo scrittore Edmondo de Amicis nel 1867 era in Sicilia con l’esercito italiano e descrisse con dovizia di particolari quella epidemia sin dal suo apparire nei comuni dell’agrigentino.
«Nei mesi di gennaio e febbraio del sessantasette, il colera mieté qualche vittima nelle vicinanze di Girgenti, e specialmente in Porto Empedocle; donde nel mese di marzo, si sparse per tutta la provincia, e da questa, nell’aprile, in quella di Caltanissetta, e crebbe poi fierissimamente in entrambe nel mese di maggio, favorito dai calori estivi, che si fecero sentire un mese prima a cagione della lunga siccità».
Per il popolino siciliano però i responsabili dell’epidemia, secondo le voci messe in circolazione dalle autorità, erano gli “untori borboneschi”, cioè i filoborbonici che non si rassegnavano alla caduta del regime di Ferdinando II.
Già il 26 luglio 1865 il ministro dell’Interno comunicava al prefetto di Girgenti di vigilare e provvedere su quanto disposto in merito alla pubblica sanità ed igiene e di raddoppiare la sorveglianza.
Il prefetto di Girgenti poi invitava le Amministrazioni locali a provvedere alla realizzazione dei cimiteri che per le leggi ed il regolamento sanitario vigenti dovevano essere portati a termine all’inizio del 1867. Ma nonostante tutti questi avvertimenti, i comuni dell’agrigentino vennero sopresi dall’epidemia.
A Naro tra i primi a morire ci fu il sindaco della cittadina, impegnato in prima linea al soccorso alle vittime. Morì stroncato dal colera, ma gli altri amministratori non lo sostituirono e fuggirono dal paese. Fu così che il 9 giugno il governo decise di sciogliere il consiglio comunale e di nominare quale delegato straordinario al comune di Naro il giovane Giuseppe Scaletta, dell’Ufficio di PS di Agrigento.
Il delegato prende estremamente sul serio il proprio compito, impegnandosi con coraggio nei soccorsi agli ammalati. C’è molto da fare in quei giorni, come il trasporto dell’acqua pulita, dei medicinali e dei disinfettanti in paese e il trasporto degli ammalati verso strutture pulite ed idonee all’accoglienza, come consigliato dai medici più moderni ed illuminati che hanno compreso bene l’origine della malattia.
Ci sono da evitare i saccheggi delle abitazioni di Naro da parte dei ladri, c’è da calmare la popolazione spaventata, c’è da chiedere anzi, da esigere, dalla prefettura di Girgenti l’arrivo di altri medici, di soldati, di cibo.
Scaletta, insieme alle poche guardie di PS, militi e carabinieri che gli sono stati assegnati in quei giorni è dovunque e i naresi trovano conforto in quel giovane poliziotto siciliano come loro che sembra essere instancabile.
Instancabile, ma non immortale. A meno di dieci giorni dal suo arrivo viene stroncato a sua volta dal colera.
Tutto ciò che rimane del suo coraggio sono poche righe sui quotidiani nazionali e sul "Manuale del Funzionario di Sicurezza Pubblica", la rivista semiufficiale della Polizia di allora” (l’eroico Scaletta viene così ricordato nel sito dei caduti della polizia di Stato).
A Canicattì, invece, si ricorda l’eroismo dell'arciprete Carmelo Moncada, del dottor Francesco Rao e del sindaco Giuseppe Caramazza. Si riuscì a garantire a tutti gratuitamente, tranne che a qualche ricco, farmaci e disinfettanti e le case si disinfettavano con cloro e solfato di ferro.
A Favara mancavano i fondi per affrontare l’emergenza e un gruppo di volontari benestanti contribuì al soccorso degli infelici colerosi con la somma di lire 541,50. In questo paese dal 7 dicembre 1866 al 10 luglio 1867, il colera attaccò 2.158 persone, provocando 805 vittime. Nel piccolo centro di Cianciana morirono 200 persone. A Porto Empedocle 309 morti e a Realmonte 219.
In tutta la Sicilia alla fine si conteranno almeno 65 mila morti. In tutta Italia 160 mila. In provincia di Agrigento furono non meno di quindicimila.
È lo storico Giuseppe Picone a raccontarci la diffusione del colera nel 1867 ad Agrigento nella sua opera “Memorie storiche agrigentine”. Il primo a morire fu un bersagliere e Picone scrive : "qui comincia il terrore". Muoiono poi un granatiere e una lavandaia.
«La fame ed il cholera minacciano la città – sottolinea Picone – il popolo fugge per le campagne. La mortalità di chi resta nell’abitato è relativamente numerosissima». Nella Chiesa dei Cappuccini e in altre chiese e conventi della città si crearono ospedaletti, mentre l’ospedale di Agrigento non aveva posti letto a sufficienza.
Ad Agrigento il colera del 1867 fece strage nella milizia e tra gli alti ufficiali. Arrivò a mietere una media di 60 vite al giorno. Da Napoli vennero ad Agrigento le Figlie della Carità, una congregazione di suore che si distinse nella cura degli ammalati durante quel periodo.
La commissione sanitaria municipale agrigentina dichiarò cessata l’epidemia nell’agosto del 1867.
Si conteranno alla fine ad Agrigento città oltre mille morti. Tra coloro che si ammalarono ricordiamo il garibaldino Stefano Pirandello che, dopo essere stato curato e salvato dal male presso l’Ospedale di Agrigento, decise con la moglie, Caterina Ricci Gramitto, che era incinta, di andare ad abitare in contrada Caos, lontano dalla città.
Qui, mentre ad Agrigento imperversava ancora il colera, il 28 giugno 1867 nacque Luigi Pirandello.
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