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È su una caletta vicino a Palermo: chi ricorda la "casa con gli archi" (cara a Dacia Maraini)

Vi raccontiamo la storia di un luogo magico che fu molto caro alla famiglia della famosa scrittrice. L'edificio è disabitato ma è ancora lì, in una scogliera sul mare

Sara Abello
Giornalista
  • 24 luglio 2024

La "casa con gli archi" a Porticello (foto di Sara Abello)

La magia di un luogo, quel mare e quel cielo ora plumbeo e ora terso che accolgono ancora oggi la “casa con gli archi”, l’edificio ormai abbandonato che quasi ottant’anni fa ispirò Fosco Maraini nella scrittura del suo “Principi di Nubignosia Analitica e Differenziale” balza agli occhi d’improvviso, senza quasi ci si faccia caso, percorrendo la passeggiata del lungomare di Porticello. Alt!

Il titolo di questo libriccino già di per sè spaventa, ma tranquilli, siamo a cavallo tra il 1946 e il 1947, e Fosco compone una vera e propria burla, la parodia di uno di quei seriosissimi convegni scientifici, trattando un tema che gli è caro assai: le nuvole. Un elogio, un’esortazione ad alzare sovente gli occhi al cielo per goderne «le nubifere bellezze» tra sorrisi e riflessioni.

Sin da ragazzo del resto Fosco Maraini sognava di fuggire lontano con loro, lasciando che influenzassero le sue scelte, e conducendolo in viaggio sino in Tibet o qui in Sicilia, per fotografarle e raccontarle. I dettagli su come come e quando sia stato scritto questo pamphlet che narra di un ipotetico congresso nella fantomatica Trebisonda Marina, che si rivelerà essere niente meno che Porticello, ci arrivano da Toni Maraini, figlia di Fosco, che ne racconta nell’introduzione de “Il Nuvolario. Principi di Nubignosia”.
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Così il titolo scelto per la riedizione del testo nel 2020, dopo la prima uscita a Firenze nel 1956. Come è la stessa Toni a riportare, non seppe i dettagli dal padre...come ogni figlia, anche a lei è mancata la percezione del tempo che trascorre rapido e non gli ha mai chiesto i dettagli sulla genesi del Nuvolario.

Solo nel 2005, un anno dopo che Fosco era volato tra le sue amate nuvole, Toni, trovandosi a Palermo, vide avvicinarsi Valentino Dardanoni, un professore e scrittore che da ragazzo aveva frequentato il padre e quella “casa con gli archi” sulla quale aveva scritto, facendole leggere alcune delle sue pagine.
La “casa con gli archi”, quasi vent’anni fa come oggi, suscita ricordi che seppur si siano fatti sbiaditi nel tempo, rimangono indelebili nella memoria di Dacia e Toni Maraini, che ne hanno condiviso qualcuno con me per aiutarci a comprendere come una casetta, che all’epoca si stagliava abbarbicata su una caletta rocciosa, possa aver acceso la mente del padre e regalato loro un periodo che ancora oggi associano al sentimento della felicità.

Rivedendo le foto dell’epoca è quasi impressionante immaginare come l’aspetto sia drasticamente cambiato, ma non stupisce che quel piccolo e grazioso edificio, l’unico ad emergere su quel tratto roccioso, racchiudesse in sè tutta la poesia che solo un affaccio sul mare, dove i pensieri si fanno più leggeri, è capace di evocare.

Diventa d’obbligo, proprio per comprendere al meglio, una piccola digressione. Come vi anticipavo, tutto ebbe inizio nel settembre del 1946, quando i Maraini arrivarono a Villa Valguarnera dopo gli anni di prigionia in Giappone. Fosco, che era antropologo, insegnava all’università di Kyoto, ma quando nel 1943 lui e la moglie decidono di non giurare fedeltà al governo nazifascista della Repubblica di Salò, tutta la famiglia viene portata in un campo di concentramento destinato ai traditori della patria.

Inizia così un periodo con difficoltà inimmaginabili per Fosco, Topazia, Dacia e le sorelline Toni e Luisa, soprannominata Yuki. Liberati dopo la guerra e tornati in Italia, trovarono appoggio a Bagheria nella storica Villa Valguarnera dove però, come ci ha raccontato Toni, la situazione era drammatica a causa della malattia di nonno Enrico. Morì poi tre mesi dopo, ma almeno aveva rivisto e abbracciato la figlia Topazia a quasi nove anni di distanza dall’ultima volta.

Il principe era accudito nell’unica stanza per gli ospiti di quella parte della villa, e i due saloni sottostanti non erano luogo adeguato per ospitare bene i Maraini dopo tante fatiche. Così Fosco, come ricorda Toni, si attivò subito per informarsi e trovare un luogo adatto dove stabilirsi con Topazia e le figliolette. Tempo un paio di settimane individuò e prese in affitto la casa detta “degli archi” a Porticello.

Dacia e Toni hanno ricordi differenti sul tempo di permanenza nel borgo di pescatori, ma è la minore delle sorelle la “storica” di famiglia, ed è proprio lei a rammentare un periodo di circa due anni che andrebbe dall’autunno del 1946 a tutto il 1947.

Nel frattempo, doña Sonia de Ortuzar, la madre di Topazia, aveva predisposto un piccolo appartamento nell’ala laterale di servizio di Villa Valguarnera, e così la famiglia fece ritorno a Bagheria. In questo modo Topazia era anche più vicina a Casteldaccia e alla gestione della casa vitivinicola Corvo, appena ereditata dal padre. Spostarsi da Porticello all’epoca era complicato.

È stata proprio Dacia a ricordare che «Allora Porticello non era una località turistica, c’era poca gente e le case costavano poco. Per telefonare bisognava andare a Santa Flavia dove c’era un centralino. Io andavo in bicicletta sulla strada e non incontravo quasi mai automobili».

Scavando nella memoria, le sorelle Maraini riportano nitidamente, nonostante avessero circa undici e sei anni, ricordi felici della casa di Porticello: «Così vicina al mare che si sentivano le onde scagliarsi contro gli scogli a tutte le ore del giorno e della notte. Avevamo anche un piccolo giardino con alberi rigogliosi e piante piene di fiori - descrive Dacia - Ricordo che andavo sulle rocce e mi buttavo a mare tutti i giorni, lì ho imparato a nuotare nel mare mosso, ho imparato ad andare sott’acqua e a prendere i ricci...».

Un clima “intenso ed euforico” per i genitori è quello che ricorda Toni: «Riprendevano a vivere e progettare dopo la guerra, ritrovavano persone amiche o ne conoscevano di nuove, inclusi gli abitanti di Porticello, e in estate la casetta si riempiva di visite. Come testimoniano alcune foto, anche per noi bambine Porticello segnò un periodo allegro e singolare».

La “casa con gli archi” nel ricordo delle Maraini era molto graziosa, una piccola ma bella architettura moderna per l’epoca, con finestre e porte ad arco: tre stanzette laterali, poi un salotto/stanza da pranzo, nonché un terrazzo e un piccolo cortile/giardino interno. Era in una delle tre stanzette che Fosco si concentrava ogni giorno sul suo lavoro, e dove altrimenti visto che all’epoca la casa era piuttosto isolata e lontana dai principali centri abitati.

Fosco era un uomo descritto per la sua ampiezza di vedute e conoscenze del mondo, e quel piccolo scritto secondo la figlia Toni: «Era un modo per evadere fantasticando e far convergere in quegli atti le sue tante nozioni, osservazioni e, in un moto di nostalgia, alcuni suoi appunti e ricordi. Simili descrizioni di esplorazioni, solitari accampamenti e nubifere bellezze si trovavano già in vari suoi articoli giovanili».

In quel di Porticello, le nuvole ispirarono il suo “ardire immaginoso”, e al contempo lo esortarono a volar via di nuovo con loro, tant’è che appena un anno dopo, nel 1948, partì alla volta del Tibet e dell’Himalaya. È osservando il cielo di quel porticciolo che emerse tutto il ruolo simbolico delle nuvole, metafora di ritrovata libertà, nel tentativo di lasciarsi alle spalle le macerie della guerra appena trascorsa.

Il Nuvolario è la testimonianza di quanto quel luogo compreso tra Capo Zafferano e il promontorio di Solanto, tra cale, scogli, dirupi, onde e ampi orizzonti con gran dispiegamento di nuvole, piacesse molto a tutta la famiglia, e a Fosco in particolar modo.

Oggi la “casa con gli archi” è ancora lì, circondata da abitazioni, chioschi e attività commerciali, ancora bella e dominante dalla sua posizione angolare ma pur sempre discreta. L’immobile pare appartenga ad una famiglia palermitana che una volta l’anno si occupa di far ripulire il giardino, ma non è chiaro se siano i discendenti degli stessi locatori dell’epoca. Sarebbe bello scoprirlo e saper se gli interni abbiano subito modifiche.

La si può vedere solo attraverso un cancello, che ne nasconde inevitabilmente le bellezze che di sicuro vi si celano ancora ma che tuttavia, ad un occhio attento, mostra le identificative arcate che sono riuscita a scorgere tra le fronde per ricondurle ai Maraini, nonostante gli indizi a mia disposizione fossero pochini.

Un edificio da tempo disabitato dove però tempo e salsedine non hanno scalfito i ricordi di un passato che ancora in qualche modo vive, come espresso dalla gioia delle sorelle Maraini nel rivedere alcuni scatti della “casa con gli archi” dopo così tanti anni, e che attraverso questo racconto forse non smetterà mai di restare in vita.

Non c’è da stupirsi in fondo che Porticello sia stata di così preziosa ispirazione per Fosco Maraini e chissà chi altri. Rimane il caratteristico borgo di pescatori che si affaccia sul Tirreno, dove scorgere da un lato Solanto e dall’altro ‘a Zafarana; un posto del cuore, uno di quegli amori che nascono senza che te ne accorga per poi essere incapace di dominarli, e che anzi tendono a sopraffarti.

Neanche gli stessi porticellesi spesso ne hanno un sentire chiaro, è chi lo è quasi d’adozione a percepirlo più nettamente. Che sia iniziata con un caffè in riva al mare in un’assolata mattina di fine aprile come è successo a me in una sorta di epifania, con un trasferimento dettato dalle circostanze come per i Maraini, oppure con la scelta matura di trascorrere nel borgo gli anni della pensione come ha fatto Giovanni che ha lasciato Bagheria e ha deciso di vivere lì, si tratta del luogo in cui è certo che la mente vaghi libera e lieve, questo basta.
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