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Dopo la tesi di laurea, la ricerca: perché il "Suca" ha un nuovo significato al giorno

Dalle scritte sui muri a una tesi di laurea. Adesso la parola, simbolo dell'identità palermitana, è protagonista di una ricerca sociolinguistica. Ce ne parla il suo autore

  • 27 giugno 2021

La copertina del volume del professore Roberto Sottile

Una parola di sole quattro lettere può essere considerata simbolo dell’identità palermitana. E studiarla significa comprendere il rapporto tra italiano e dialetti, ma anche come si evolve, come cambia e come si muove la nostra lingua quotidiana.

Per questo motivo, “suca” è passata dalle scritte nelle mura ai dibattiti politici, dai programmi televisivi a una tesi di laurea in ambito semiotico (di Alessandra Agola) e, infine, in una ricerca sociolinguistica che porta la firma di Roberto Sottile, professore dell’Università di Palermo.

In copertina la parola “suca” è accompagnata dall’ormai noto “800A”, anticipando le varie declinazioni della parola su cui si concentra la pubblicazione che, come spiega l’autore, nasce appunto dalla necessità di «indagarne la dimensione più strettamente dialettologica e sociolinguistica».

«Così - spiega l'autore - ho tentato di mostrare l’uso della parola nelle diverse situazioni comunicative di oggi: nella lingua parlata, nelle scritte murali delle città italiane, nelle diverse varietà colloquiali - come l’italiano giovanile, l’italiano della radio, della televisione e del cinema, nei linguaggi della cosiddetta CMT (le scritture digitate mediante i dispositivi mobili), nel linguaggio dei gesti e nell’italiano letterario».
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Da un primo articolo pubblicato sulla rivista LId’O, Lingua italiana d’Oggi, è nato un vero e proprio volume pubblicato con Navarra Editore.

Il libro non può che partire da uno studio dell’origine della parola: dal verbo siciliano sucari (che è un “fratello” del verbo italiano succhiare).

«È una parola che può avere vari significati – spiega il professore – dal succhiare il latte della madre, ad assorbire un liquido fino ad "avere rapporti orali". Quest’ultimo è un significato triviale, ma a partire da questo se ne sono sviluppati tanti altri di tipo metaforico e che emergono soprattutto in alcune specifiche espressioni in cui ricorre la parola.

E si tratta di espressioni che non c’entrano nulla con la “volgarità” iniziale della voce, ma esprimono sentimenti, stati d’animo, punti di vista che in genere hanno sempre a che fare con due aspetti: da un lato quello di negare o esprimere una forte contrarietà verso una verità, un’affermazione, un comportamento; dall’altro quello di affermare la propria superiorità sugli altri».

Dimentichiamo, quindi, quell’accezione “volgare” che spesso accompagna la percezione di questa parola per esplorare gli autentici utilizzi fatti dal popolo siciliano, e non solo.

Dalla ricerca del professore Sottile, infatti, emerge l’ormai inarrestabile diffusione della parola anche nel Nord Italia.

Suca ha successo, quindi. È riuscita a conquistare anche le regioni prettamente settentrionali. E come si spiega tale trionfo?

«Le motivazioni vanno ricercate probabilmente in due circostanze: il trasferimento di molti giovani siciliani (per studio o lavoro) e la straordinaria popolarità della parola negli ambienti delle tifoserie calcistiche».

Ma dal Settentrione al Meridione, cambiano le sfumature di significato?

«Pare proprio di sì. Al nord sostituisce il “vaffanculo”, l’espressione romanesca “esticazzi” (‘chissefenefrega’) ed è anche sinonimo di “mi fai un baffo/non ho paura di te"».

E al Sud?

In Sicilia – e in particolar modo a Palermo – assume una miriade di significati che il professore Sottile riporta in un elenco preciso e puntuale in cui riassume tutte le sfaccettature possibili e – da notare – in continua evoluzione.

E per ricapitolare l’infinità di utilizzi, ecco che il professore Sottile, insieme al professore Giuseppe Paternostro, sociolinguista di vaglia sempre dell’Università di Palermo, hanno rintracciato quattro macro-categorie di significati possibili: rabbia, sfida, dispetto e scherno.

«Nello schema si vede che le forme che esprimono rabbia sono più offensive e ovviamente più volgari di quelle che esprimono scherno o dispetto. Se io dico “suca” nel senso di ‘vai a quel paese’, significa che sono arrabbiato.

Se dico “suca” nel senso di ‘mi fai un baffo’, non sono effettivamente arrabbiato, ma voglio solo giocare a fare il dispettoso – lo “struruso” – con il mio interlocutore. Devo dire che per rintracciare le espressioni della tabella ho potuto contare anche sull’aiuto di altri giovani colleghi come Elena D’Avenia e Francesco Scaglione, ma anche di “parlanti reali”, tra i quali Giovanni Basile e Santo Capillo».

Un capitolo del libro è anche dedicato alle scritte esposte soprattutto sulle mura (anche queste da Nord a Sud, senza distinzione) e al passaggio da suca ad 800A che, secondo il professore, «è molto interessante. A partire dagli anni ’80, ma particolarmente negli ultimi anni, la trasformazione della parola si è fatta sempre più frequente.

È interessante osservare che nel momento in cui “suca” delle scritte sui muri si è trasformata nella forma alfanumerica, essa è “ritornata” nel parlato. Cioè sostituire “suca” con “800A” non è una pratica che riguarda solo le scritture urbane, ma anche gli usi orali della lingua.

Si potrebbe pensare che il passaggio da una forma all’altra sia stato dettato dalla necessità di eufemizzare – cioè di ripulire della sua carica volgare – la parola che, pur dotata orma di nuovi sensi, resta pur sempre, quantomeno, originariamente, una parolaccia.

Però sappiamo bene che in Italia, a partire dagli anni ’60, le varietà di lingua colloquiali, sono state protagoniste di un graduale processo di detabuizzazione: le parolacce cioè oggi si usano sempre con meno “sensi di colpa” rispetto al passato. Per questa ragione è difficile immaginare che il passaggio sia legato alla volontà di eufemizzare (ripulire dalla sua carica volgare) la parola.

Il passaggio risponde invece alla “necessità” di gergalizzarla”. Infatti, quando i palermitani hanno costatato che la loro parola-bandiera era ormai diventata parola di tutti, l’hanno trasformata per riappropriarsene, per ridarle una identità prettamente locale.

L’eguaglianza “Suca=Palermo” è stata recuperata dalla trasformazione della parola in “800A”. Il libro ripercorre anche l’utilizzo di “suca” nella letteratura, seppur con tutt’altre accezioni.

Due esempi illustri? «Sciascia e poi Camilleri, per esempio, usano il composto “sucainchiostro” per riferirsi metaforicamente a un dipendente pubblico».

Per concludere: perché queste quattro lettere hanno un così rilevante successo di utilizzo?

«Le risposte possono essere molteplici, mi limiterò a suggerirne una. La parola appartiene soprattutto ai linguaggi giovanili, che selezionano spesso parole ed espressioni volgari alla ricerca di trasgressività.

Il fatto è che i linguaggi giovanili sono un vero e proprio motore per l’arricchimento lessicale. Quindi dal linguaggio giovanile palermitano e siciliano la parola si è diffusa un po' in tutta Italia, grazie alla innegabile compenetrabilità tra italiano dei giovani e italiano colloquiale».

Ma il successo potrebbe essere dettato anche dal continuo fiorire di nuove espressioni e usi che coinvolgono la nostra parola. Un esempio?

«Recentissima è la locuzione “dire suca” con il significato di 'asfaltare', cioè 'prevalere in un confronto o dibattito, oppure umiliare, annientare, distruggere qualcosa o qualcuno'.

Sui social, per esempio, apparvero diversi post dal titolo "Come Conte ha 'detto suca' all’opposizione"” in riferimento a un attacco molto pacato – ma disarmante - dell’allora primo ministro a Matteo Salvini e Giorgia Meloni, sulla vicenda del Mes.

Insomma: suca ha un nuovo significato al giorno, o quasi».
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