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Donne siciliane artefici del loro destino, ieri, oggi e sempre: accanto agli uomini (e non dietro)

L'8 marzo vogliamo ricordare tante donne siciliane che hanno cercato di riscattare e mostrare alla società coscienza e autodeterminazione e altre, non siciliane, ma che legarono il loro destino all’Isola

Susanna La Valle
Storica, insegnante e ghostwriter
  • 8 marzo 2021

Alessandra Simone e Zahira Berrezouga (spettacolo teatrale Studio al femminile - Esercizi di stile per donne forti)

È un gioco, ruoto il numero 8 è diventa il simbolo dell’infinito. È il migliore augurio che si possa fare oggi a tutte le donne, riconoscere e riconoscersi per sempre come protagoniste del proprio destino.

La Sicilia è intrisa dell’elemento femmineo, eppure le sue donne hanno spesso recitato una parte tanto cara agli uomini, ponendosi un passo indietro, fedeli al detto "dietro un grande uomo c’è sempre una grande donna".

Tuttavia tante donne siciliane hanno cercato di riscattare e mostrare alla società coscienza e autodeterminazione. Prendo in esame i segni lasciati nelle arti figurative e la letteratura, spesso unici strumenti per esprimere il loro pensiero. Nella pittura vi furono, infatti, come disse una critica d’arte, "farfalle d’acciaio” e non più “ larve d’immagini”.

Non solo siciliane, alcune di queste scelsero di legare il loro destino all’Isola, come Sofonisba Anguissola pittrice cremonese della fine del 1500, che scelse di vivere e restare per sempre a Palermo, (le sue spoglie sono nella chiesa di San Giorgio dei Genovesi), o Adelaide Atramblè pittrice franco-napoletana, cresciuta alla corte di Ferdinando di Borbone, che fu a Palermo nel 1850, dopo il matrimonio con un giovane magistrato palermitano.
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Amò questa terra, lasciandoci una veduta di Capaci con Isola delle Femmine, una di Catania e un epistolario. Un’altra "straniera" la giapponese Otama Kiyohara arrivata a Palermo per amore e dove vivrà per 51 anni portando l’arte del Sol Levante.

Siciliane acquisite, che si accompagneranno a siciliane doc, nuove personalità che si staccheranno dai canoni sociali riservati alle donne, come Felicita e Amalia Alliata di Villafranca a Bagheria, che avranno uan formazione eclettica, studiando musica e pittura, o Benedetta Cappa moglie di Marinetti, Lia Pasqualina Noto, o Topazia Alliata, esempio di ragazza ribelle e moderna che rifiutò il teorema gattopardesco femminile.

Senza dimenticare l’allieva di De Chirico, Ketty di Sciara, principessa che vestiva a Camden Town, animatrice della temperie artistico - culturale dagli anni 70/80.

Ma è nella letteratura che le donne si smarcheranno ancora di più, i loro scritti sono ritratti di anime, penso a Giuseppina Turrisi Colonna e Marianna Coffa Caruso spiriti anticonformisti e liberi. Giuseppina scosse le coscienze delle donne verso la ribellione con impeti risorgimentali. La sua vita fu breve nata nel 1822, morii di parto del primo figlio nel 1848.

Cresciuta con la sorella, per “essere protagoniste del mondo” scrisse degli Inni a solo 14 anni. Ragazzina ben educata si lascerà travolgere dalla poesia di Byron. Nel 1843 scriverà un’ode "Alle Donne Siciliane" incitandole: «Sorgete o care, e nella patria stanza per voi torni l’ardire e la speranza», «Ne trastullo né servo il nostro sesso».

La somma virtù per Lei sarà l’educazione dei figli forgiati a uomini nuovi per la patria «l’ardire dei Sicani si rifonda in noi».

Mariannina Coffa Caruso fu la "Capinera di Noto", morirà a soli 36 anni. Fu una bambina sensitiva, fatta esibire nei salotti dal padre che si compiaceva della sua particolità. Dopo un breve fidanzamento, la famiglia le impose a 18 anni un ricco proprietario terriero di Ragusa, un vecchio despota che le impedirà persino di scrivere sostenendo che «lo scrivere rende le donne disoneste».

Tra gravidanze e cura dei figli, scriverà di nascosto di notte, riallacciando una relazione epistolare con il fidanzato di un tempo. Conoscerà il medico Giuseppe Migneco omeopata e magnetista che la introdurrà al sonnambulismo, indirizzando parte dei suoi scritti alla "Metafisica".

Prostrata da una malattia che le procurerà continue emorragie, abbandonerà la casa del marito, tornando dai genitori, che preoccupati dal disonore a seguito della separazione dal marito e dai figli, la allontaneranno, negandole persino il pagamento di un’operazione che le avrebbe salvato la vita. Finirà i suoi giorni tra fame e stenti. Il Comune le tributerà dei funerali solenni.

In questo piccolo excursus voglio ricordare anche Genoveffa Bisso e Suor Dorotea Isabella Bellini che, con le loro pubblicazioni del 1703, teorizzeranno il movimento femminista, disputando con un farmacista di Palermo che nel 1725 pubblicò un opuscolo misogino intitolato Lu vivu mortu critica feroce contro il mondo femminile.

Le due donne risponderanno idealizzando il sesso femminile, ritenuto superiore a quello maschile. Sono donne coraggiose cui si affiancano, purtroppo, altre che impiegheranno la loro forza in un matriarcato tremendo. Leonardo Sciascia le critica aspramente, "esseri spesso invisibili, perché tanto più si è rispettabili" vittime e dominatrici.

Le sue parole sono in un’ intervista di 46 anni fa a Franca Leosini: «Molte disgrazie molte tragedie del Sud ci vengono dalle donne, soprattutto quelle che diventano madri…. Ritengo che molti mali della Sicilia siano imputabili al dominio femminile… la donna consiglia viltà, opportunismo prudenza, e l’uomo obbedisce».

Fu un'intervista scandalosa, ma rileggendola oggi 8 marzo non riesco a fare a meno di pensare che «vestali di una cultura arcaica e feroce», furono loro stesse protagoniste della loro disparità.

Il loro matriarcato lontano da essere potere della donna, fu la comoda cuccia in cui l’uomo si sentì protetto e rassicurato nel ruolo di maschio, compiendo giorno dopo giorno quel passo indietro.

La radice del problema parte da noi che dobbiamo avere il coraggio di fare un passo in avanti, con determinazione, per affiancare e camminare insieme. La sfida di sempre, e non possiamo sottrarci.
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