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Dedicato a lagnusi e ziti: perché un "amunì, alliestiti" in Sicilia può cambiarti la giornata

Alzi la mano chi non lo dice almeno una volta al giorno a lavoro, in famiglia e persino in amore. Tutti gli usi e i significati del verbo siciliano "allistirisi"

Alessandro Panno
Appassionato di sicilianità
  • 19 aprile 2024

Pochi giorni fa sono stato obbligato, causa eco e tarme nel frigo per la vastità del vuoto interno, ad andare con la mia dolce metà a rifornirci di scorte alimentari. Ora, una delle cose che più mi siddia in assoluto è proprio fare a spisa, soprattutto se l’unico momento utile per farla è proprio nell’ora di punta.

Pazienza, ci armiamo di santa pazienza e andiamo.

Arriviamo vicino al market per posteggiare e lì succede quello che succede al 99% di noi quando prendiamo l’auto. Tizio con mega SUV, che "ciù fici direttamente Trenitalia", fermo in mezzo alla strada che parla amabilmente con l’amico.

Vabbè "pigghiare questioni" mi siddia, per cui aspettiamo un lasso di tempo ragionevole, ragionevole nel senso che superato il minuto/minuto e mezzo già non posso tenere a bada il siddiamento che mi spinge inevitabilmente a suonare il clacson.

La scena facilmente immaginabile è la seguente: tizio che si sporge dal finestrino, mi talia esterrefatto e mi fa: «Miii e chi fa non può aspittare? Chi l’hai na pariedda?», quindi muove il vagone esattamente di circa 70 cm per accostarsi e lasciare libero il passaggio.
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Tralasciamo il fatto che si poteva accostare subito, tralasciamo pure a vastaseria, ma tale atteggiamento è proprio indicativo di come noi siciliani, a volte, abbiamo un’assoluta propensione verso il siddiamento a 360 gradi.

Ora, prima ca mi arrivino messaggi, mail e piccioni viaggiatori che dicono che “non siamo tutti così”, “io un mi siddio anzi sugnu troppo accelerato”, faccio presente che è una banalissima generalizzazione, anche se dobbiamo ammettere che, in generale, senza andare nel caso specifico che ho menzionato, ci piace fare le cose con calma e senza sforzi eccessivi.

Sarà per il clima molto temperato che ci spinge a non avere fretta, ma nel nostro modo di pensare e fare è insito il principio che affannarsi è inutile e ti complica solo la vita, che tanto, come dice sempre u zu Pino, titolare di un lapino friggitoria davanti u spitale, “Isse aracio chi tanto di prescia o di calma tutti nu tabbutu amu a finire”, detto mentre con gesti metodici e lenti "conza" il panino con le panelle e crocchè, spesso pilastro portante della mia pausa pranzo.

Grande panellaro u zu Pino, ma soprattutto fine filosofo da marciapiede.

Sarà quindi per una sorta di “compensazione” che nel nostro vocabolario esiste un termine che è l’esatto opposto della nostra placidità (che poi siamo anche capaci di passare dalla placidità all’acchianata ru nirbusu in 5 secondi netti, questo è un altro discorso) ma che usiamo sempre nei confronti degli altri, mai per noi stessi, talè al massimo al plurale, quando siamo in un gruppo o situazione collettiva.

Lo diciamo alla zita quando nni fa fare i filini sotto casa nell’attesa di uscire, “Amò amunì, ma t’alliesti?”; all’amico che sa fissia, “oh alliestiti”, e magari anche durante le ore lavorative.

Da nicareddu, quando feci l’apprendista muratore per un’estate, la frase “oh alliestiti”, aveva del tutto sostituito il saluto.

M’arricampavo alle sei del mattino al cantiere e invece del buongiorno mi sentivo dire “oh alliestiti!”.

Ma siamo capaci di utilizzare questa espressione anche in prima persona plurale per indicare che si deve cominciare lo svolgimento di un evento che ci preme parecchio, a tipo “chi fa allestiemu sta arrustuta chi u pitittu mi sta facennu acito?”.

Come qualsiasi termine del siciliano, alliestiti ha molteplici sfumature di significato e può essere usata in diverse situazioni e contesti.

Giusto per non creare troppa confusione, possiamo dire che genericamente sta ad indicare , nella maggior parte dei casi, una persona o contesto che deve essere, o sarà pronto in breve tempo.

Non a caso, infatti, la sua origine la si deve al mondo militare. Allistirisi deriva dal verbo spagnolo alistar, che, per l’appunto, indica l’atto dell’arruolarsi.

D’altronde, chi decideva di intraprendere vita militare, si presumeva avesse quella prontezza di corpo e spirito necessari ad adempiere ai suoi compiti a servizio della Patria.

Questo probabilmente in tempi antichi, perché, onestamente, quando toccò a me fare il servizio militare, secoli fa, a lagnusia, ad alcuni, ci manciava l’ossa.

Ma ai tempi antichi del regio esercito spagnolo, i ragazzi che volevano divenire ufficiali, poiché la truppa veniva spesso arruolata pa supicchiaria, venivano da un mondo e un ambiente che li avevano già preparati a quel percorso. In pratica erano persone allistate, pronte al futuro che li attendeva.

Probabilmente, nel tempo, ma senza farici un voto in capo, il termine fu usato anche dalla Marina borbonica, per indicare la preparazione dell’equipaggiamento, in tempi brevi, di una nuova nave, preparazione che veniva fatta in fretta e furia, al termine della costruzione, per poter fare il varo ed i relativi festeggiamenti con le autorità, che si sa, il varo di una nave è bello, ma u schiticchio che ne può derivare ancor di più!

Quindi gli ufficiali usavano urlare ai marinai “allistitivi”, per spronarli a lavorare e non perdere tempo in altro, anche perché, indirettamente, anche la truppa avrebbe beneficiato dei festeggiamenti.

Si potrebbe avere conferma, il condizionale è d’obbligo, consultando il dizionario Bonomi, che definisce il termine italiano “allestire” come porre in ordine ed in assetto, caricare. È poi di possibile derivazione della parola “allestimento”, sempre di origine marinaresca. Allistitivi e partite!
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