STORIE
Dalla Sicilia a New York: la bella e triste storia di Millie, poetessa (autodidatta)
Orfana emigrò con la sorella a Manhattan. Fece un matrimonio infelice e non riuscì ad avere figli, ma fu una raffinata sarta dell’atelier Rosenstein e compose versi
Carmela "millie" Galante
Molti secoli dopo i Normanni realizzarono il primo nucleo del castello, su uno sperone di roccia collegato alla terraferma da un ponte levatoio. Bisogna aspettare però la fine del Settecento e gli inizi dell’Ottocento per vedere un certo incremento demografico, dovuto sia alla fortificazione del borgo intorno al castello, che al fabbisogno di manodopera per la coltivazione.
Oggi la cittadina, che è poco distante dalla riserva naturale dello Zingaro, è una meta turistica apprezzata per le sue spiagge, per il mare cristallino e per il buon cibo (in particolare le cassatelle di ricotta e il pane cunzato).
Castellammare del Golfo però, già dalla fine dell’Ottocento, è diventato anche uno dei territori con i più alti tassi di migrazione: più di un quinto della popolazione risulta essere andato via verso il Canada, gli Stati Uniti, il Venezuela, l’Argentina… più di una generazione è stata costretta a lasciare casa e affetti, inseguendo il sogno del nuovo mondo.
Una numerosa comunità di Castellammaresi si trova a New York: a Brooklyn esiste il Castellammare del Golfo social club, un’associazione senza scopo di lucro che promuove tra le varie attività - per mantenere vive le tradizioni siciliane anche oltreoceano e per riuscire a trasmetterle ai propri figli - la processione in onore della Madonna del Soccorso, patrona di tutti i Castellammaresi.
Tante, tantissime sono le storie di chi è andato lontano, lasciando però il cuore a Castellammare.
Nel 2012 è stata realizzata una mostra fotografica "Qui stiamo tutti bene, così spero di te… " una raccolta di immagini di emigrati selezionate in circa due anni di ricerche, dall’architetto Camillo Galante, ideatore dell’iniziativa. La mostra voleva essere un primo passo verso l’istituzione di un museo dell’emigrazione all’interno del Castello.
Tra le numerose storie di emigrazione castellammarese, una decina di anni fa, è emersa dall’oblio quella di Carmela Galante, trasferitasi negli States ancora bambina, oltre cento anni fa. Carmelina Galante era la più piccola di quattro figli; era nata il 14 Maggio del 1910 a Castellammare da Gaspare Galante, capitano impegnato nella navigazione nel Mediterraneo e da Giuseppa Greco. Non conobbe mai la madre, che morì alcune settimane dopo il parto e fu accudita dalla sorella Rosalia, che aveva 8 anni.
Quando Carmelina compì 4 anni il padre di risposò, ma la matrigna non si sarebbe mai affezionata a nessuno dei figliastri. Tre anni dopo anche il padre Gaspare morì: probabilmente si tolse la vita, per via del fallimento della sua piccola flotta navale. I fratelli più grandi andarono via di casa, abbandonando al proprio destino le sorelle.
Rosalia due anni dopo, nel 1920, accettò la proposta di matrimonio di Francesco Milazzo, un giovane che aveva la cittadinanza americana, perchè aveva già vissuto in America e aveva combattuto per gli Stati Uniti durante la prima guerra mondiale. I due sposini si trasferirono presto oltreoceano, per non morir di fame, portando anche Carmela.
Giunsero a Ellis Island, a New York, col piroscafo Patria, il 22 novembre 1921. Gli stranieri che approdavano sull’isolotto avevano l'obbligo di esibire i documenti d'imbarco e i documenti d'identità per il riconoscimento personale. Venivano inoltre sottoposti a visite mediche, che avevano lo scopo di valutare le condizioni fisiche e psicologiche degli immigrati.
I migranti considerati anziani, deformi, ciechi, sordi, portatori di malattie contagiose, mentalmente instabili e con qualsiasi altra infermità, erano esclusi dal suolo americano. Alla bambina non venne concesso immediatamente l’ingresso sulla terra ferma, perchè il cognato Francesco non poteva dimostrare di avere i mezzi economici per poterla mantenere.
Di quei giorni infelici, sola, tra gente che parlava una lingua incomprensibile, Carmela scriverà molti anni dopo in versi: "Iu chiancia dispiratamente, senza me soru". Dopo due settimane, probabilmente grazie all'intervento della numerosa comunità dei castellammaresi di New York, Carmela si ricongiunse ai suoi familiari.
Si stabilì con la sorella e il cognato in un appartamento nella zona a sud est di Manhattan, dove rimaneva a sbrigare le faccende domestiche, mentre Rosalia e Francesco andavano a lavorare.
Nel 1924 nacque la nipote Matilda, a cui Carmela sarà sempre molto legata. L’anno successivo, a quindici anni, Carmela trovava lavoro come sarta in, un’azienda tessile dove veniva chiamata affettuosamente dalle colleghe “Millie” e qualche tempo dopo, convinta di trovare l’amore, sposava Vincenzo Costa, anche lui originario di Castellamare; ma per vari motivi non sarebbe purtroppo stato il matrimonio felice che lei aveva sempre sognato: "Truvai turmenti fatichi e turturi" scriverà molti anni dopo.
Nel 1930 ecco un altro dolore inconsolabile per Carmela: la sorella Rosalia moriva, dando alla luce un bambino. Millie si asciugò in fretta le lacrime, per occuparsi di crescere i nipoti orfanelli, Matilda di 8 anni e il neonato.
Non ebbe mai figli suoi: le complicanze di un aborto in giovane età l’avevano resa sterile. Dedicò affetto e cure materne ai nipoti. Passarono gli anni e Carmela, ormai sarta esperta, venne assunta nel prestigioso atelier di Nettie Rosenstein in Seventh Avenue.
Anche Nettie era un’emigrata; nata a Salisburgo, in Austria, si era trasferita nel nuovo mondo nel 1890, con la sua famiglia, i Rosencraz. Aveva iniziato a lavorare come sarta in casa, ma dal 1919 aveva cominciato a vendere i suoi capi nei grandi magazzini.
Nel 1921 possedeva già uno stabilimento con 50 dipendenti a Manhattan; nel 1937 appariva sulla rivista Life come una delle stiliste americane più apprezzate.
Nettie Rosenstein (aveva preso il cognome del marito) disegnava abiti stampati con guanti abbinati, accessori e bigiotteria di classe: i suoi modelli influenzavano la moda dell’epoca. Si occupò di far realizzare anche l’abito della First Lady Mamie Eisenhower sia per il ballo di inaugurazione presidenziale del 1953 che per quello del 1957.
Gli anni ’40 furono tutto sommato sereni per Millie; le piaceva il suo lavoro e vide con gioia la nipote sposarsi e la famiglia allargarsi con l’arrivo di due bambini; ma nel 1949 il destino tornava ad accanirsi.
Carmela scoprì di avere un tumore al seno e fu costretta a sottoporsi a due diversi interventi chirurgici e a cure radioterapiche che le davano dolori, capogiri e nausea.
Nel 1958, nonostante tutto, l’indomita Millie decideva di tornare in Sicilia, voleva rivedere dopo tanto tempo la propria terra, prima di morire: Castellammare e le vicine località di Scopello, Fraginisi e Vitaloca (Guidaloca). Visiterà anche Mondello e il Monte Pellegrino a Palermo, l’anfiteatro ed il tempio di Segesta (Tp).
Da questo viaggio, dalla memoria dei luoghi dell’infanzia rivisitati, nasceranno alcuni anni dopo le sue più belle poesie. Quando il tumore tornò, ancora più aggressivo, nel 1962, Carmela, che aveva solo la terza elementare e che aveva imparato da autodidatta a leggere e scrivere in inglese, decise infatti di cominciare a comporre alcune poesie in siciliano.
Si trattava quasi di un testamento. Di fronte alla diagnosi di cancro terminale, i suoi versi furono un modo per raccontare la sua tormentata esistenza, per consegnare le sue memorie alle generazioni future. Destinataria ideale di molti versi fu anche la madre, che Carmela non ebbe mai la gioia di conoscere: “L’amuri di matri è lu chiu beddu/ senza st’amuri nun c’è casteddu./ Cu tia avissi avutu furtezza e casteddu.” In quegli anni Millie ritrovò anche la fede e pregò Dio per trovare forza e consolazione.
Sempre più debole, si trasferì col marito e la suocera a Scottsdale in Arizona, ufficialmente per motivi economici e climatici, in realtà per non pesare sui nipoti: era molto malata e la fine era vicina. Si spense infatti nel 1968.
È stata la pronipote di Carmela, Hildegard Nimke Pleva (studentessa di storia, bibliotecaria scolastica in pensione, ex suora contemplativa, infine artigiana), a ritrovare le poesie della prozia, conservate in un cassetto per oltre 30 anni, senza tuttavia riuscire a comprenderne il significato. Per caso, negli anni 2000 Hildegard ha incontrato Fulvia Masi, siciliana che aveva sposato un cittadino statunitense e viveva negli USA e ha sottoposto alla sua attenzione quei versi provenienti da un’altra epoca.
È nato così il libro, a cura di Santo Lombino, “Cu tia avissi avutu furtezza e casteddu” pubblicato nel 2011 dall'ANFE dall'Associazione Nazionale delle Famiglie degli Emigrati (ANFE). Il volume raccoglie vari contributi, i ricordi della nipote, foto e documenti della vita di Millie e le quaranta poesie da lei lasciate, una vera e propria autobiografia in versi.
Fonte: Santo Lombino, Siculoamericane. Scritture di sé in prosa e in poesia tra Sicilia e Nuovo Mondo in Dialoghi Mediterranei, n. 42, marzo 2020
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