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Dall'antica Grecia alla Sicilia: alzi la mano chi non ha mai giocato allo "Schiaffo del soldato"

Chi lo avrebbe mai detto che quella "tortura" mascherata da gioco a cui (quasi) tutti abbiamo partecipato quando eravamo giovani ha origini tanto antiche. La sua storia

Gianluca Tantillo
Appassionato di etnografia e storia
  • 20 gennaio 2022

Nereo Rocco (il Paròn) al raduno estivo del Torino "vittima" dello schiaffo del soldato (foto tratta da Pinterest / Skira Editore)

L’antica Grecia ha influenzato la Sicilia più di molte altre culture: e con questa affermazione abbiamo scoperto l’acqua calda. I rimasugli più chiari sono rimasti sicuramente nel dialetto siciliano che ha attinto dalla lingua greca come se non ci fosse un domani.

Basta dare un’occhiata ad alcune parole che utilizziamo quasi giornalmente: lippu viene lipos, babbaluci (lumaca) viene da boubalàkion, caruso da koùros, tuppuliàri (bussare) da typto, Cirasa (ciliegia) da kerasos, babbiari (scherzare) da babazein e tante altre (è stimato che il 15% delle parole siciliane venga proprio dal greco).

E poi le città, gli anfiteatri e via dicendo fino a fare notte.

Tutto ciò però lo lasciamo fare ai grecisti che sono formati per questo e competenti; noi, amanti del grottesco e dei traumi infantili, andremo alla ricerca di qualcosa di più vastaso che ha condizionato malamente le nostre vite.

Quando entrai alle scuole superiori, il professore De Spuches ci aveva anche provato ad impartirci una filosofia spartana di modo che capissimo che la vita non è tutta rose e fiori.
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«Professò, posso andare in bagno?» «’Nca certo!» rispondeva lui. Poi, quando ci alzavamo dalle sedie e arrivavamo all’altezza della lavagna, per raggiungere la porta, puntualmente, velocissimo, faceva partire lo sgambetto allungando il piede. «Professò, ma perché?». «Accussì ti insegni che la vita fa schifo!»

E a che le parole del professore De Spuches da semplice profezia diventassero verità imperscrutabile ci volle davvero poco. Finiti, infatti, i tempi fiabeschi delle scuole medie, fece ingresso nelle nostre vite una tortura mascherata da gioco che rispondeva al nome di "Schiaffo del soldato".

Per chi non lo conoscesse (e dubito) si tratta di quel gioco in cui un povero cristo estratto a sorte (Tyche era la dea greca della sorte) andava al muro, proprio come quando si conta al nascondino, esponendo però un palmo della mano all’altezza della spalla.

I baldi giovani che non andavano "sotto" (così si chiamava il ruolo della vittima) in assoluto silenzio sceglievano un volontario che desse uno scoppolone, o che dir si voglia schiaffone, al povero cristo: lo scopo del gioco era indovinare l’artefice dello scoppolone affinché fosse lui ad andare sotto.

Il caso voleva (e qui ritorna di nuovo Tyche) che giusto giusto si trattasse sempre del più sovrasviluppato con le mani quanto quelle di Hulk Hogan (e qui invece entra in gioco Dike, dea della giustizia, che in quel caso se ne fotteva altamente). Senza allungare troppo il sugo penso di poter dire che non c’è persona che non abbia mai giocato a questo gioco o sperimentato tale tortura.

Lo schiaffo del soldato in fine diventava lo schiaffo del soldato 2.0 nelle caserme ai tempi della leva militare, dove, guarda caso, era estremamente diffuso. Un gioco direte voi… e se invece vi dicessi che anche questo ci viene dagli antichi greci? "chi sta sotto si copre gli occhi con le mani e deve indovinare con quale mano il compagno lo abbia colpito".

Queste tra virgolette che avete appena letto, che ci crediate o no, vengono direttamente dal II secolo d.C. e ci sono arrivate per mano del sofista e grammatico Giulio Polluce che nel suo Onomasticon (e bello onomastico!) ci descriveva come si giocava a questo simpaticissimo gioco.

La cosa più assurda è che il gioco, divertente quanto le molliche di pane tra le lenzuola, fosse praticato pure dagli antichi egizi. Fu infatti l’egittologo italiano Ippolito Rossellini a trovare in una tomba di un nobile risalente alla XI-XII dinastia una raffigurazione nella quale i goliardici egiziani impiegavano il loro tempo a spartirsi scoppoloni mentre giocavano allo schiaffo del soldato.

Come giocavano gli egiziani non ci è proprio chiaro, ma per tornare ai giorni di Polluce possiamo dire che le regole del gioco negli anni sono cambiate e diventate più bastarde. All’epoca dei greci, per esempio, non ci si metteva di spalle, ma ci si tappava solo gli occhi, e lo schiaffeggiatore veniva dichiarato prima: il discorso era quindi indovinare la galeotta mano con la quale il colpo veniva sferrato, avendo perciò il 50% delle possibilità. Purtroppo l’uomo è il contrario del buon vino, e più passano gli anni meno migliora.

Chi si ricorda lo schiaffo del soldato sa per certo che quando si decideva di far rimanere sotto qualcuno, quello, ci restava fino a che non si fosse verificata la prossima eclissi solare. Forse aveva ragione il professore De Spuches che con la sua filosofica uscita e lo sgambetto non mancava mai di ricordarci che “a vita fa schifo”.
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