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Da un paesino siciliano a primo ballerino della Scala: Antonino Sutera e la sua vita per la danza

Vent’anni di carriera, ma - racconta - l’adrenalina pre-spettacolo è sempre la stessa. L’istante in cui senti i primi accordi degli orchestrali e ti si chiude lo stomaco non cambia

  • 29 settembre 2021

Una vita di sacrifici e felicità allo stesso tempo, lontano dalla sua Sicilia ma vicino col cuore a quella casa che gli ha regalato una passione «magica» e nella quale ogni volta che atterra prova «sensazioni indescrivibili che solo chi ci è passato conosce». Antonino Sutera, primo ballerino al Teatro alla Scala di Milano, ha quarant’anni e una carriera ricca di successi e grandi soddisfazioni.

Un sogno cominciato per caso, nella sua Cerami, piccolo paese in provincia di Enna, dove un giorno di tanti anni fa viene attivato un corso di danza classica per bambini. Una novità a quei tempi per un paesino dell’entroterra siciliano non abituato a ospitare molte attività extrascolastiche. Non può che essere accolta con entusiasmo.

«La mia non è una storia alla Billy Elliot» - racconta «Ho cominciato a danzare a 7 anni e i miei genitori ne erano contenti. Sono stato fortunato perché non ho mai ricevuto battutine da nessuno e anche i miei amici hanno provato le lezioni che si tenevano in paese. Chi non conosce il mondo della danza forse non lo comprende, chi lo conosce sa bene che essere un danzatore vuol dire essere un atleta e un artista insieme e solo chi è veramente allenato può diventarlo. Basti pensare a Nureyev o a Baryšnikov e ai gesti atletici che erano capaci di compiere…».
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A soli dieci anni, grazie quindi al supporto costante della famiglia, fa i bagagli e lascia la Sicilia per intraprendere quel percorso artistico che ancora oggi continua a regalargli emozioni forti e difficili da spiegare a parole. Tanto speciali che ogni volta che si apre il sipario, nonostante sia passato tanto tempo, è come se fosse la prima volta su un palco.

«Dopo più di vent’anni di carriera, posso dire che l’adrenalina pre-spettacolo è sempre la stessa. L’istante in cui senti i primi accordi degli orchestrali e ti si chiude lo stomaco è un momento che ho sempre vissuto con la stessa paura, la stessa tensione e la stessa voglia di andare in scena» - racconta Antonino.

«Un mix di mille emozioni» che, insieme alla felicità e libertà che il corpo danzante regala, è inevitabilmente legato ai personaggi di volta in volta interpretati: «Ogni sera è un viaggio, perché è come se diventassi il protagonista che interpreto, con tutte le sue caratteristiche che si mescolano al mio vissuto».

Il «lavoro più bello del mondo», così lo definisce il danzatore siciliano. Una professione che è anche la sua più grande passione e che gli è mancata moltissimo durante quest’anno di pandemia, in cui lo streaming ha preso il posto del teatro.

D’altronde, «le rinunce e i sacrifici fatti fin da piccolo» vengono generalmente ricompensati da un pubblico con cui entra in relazione ogni qual volta si trova sul palco: quel «rapporto umano che è essenziale e che non può essere sostituito da nessuna tecnologia».

«Il contatto con gli spettatori è fondamentale a livello emotivo. Tutto quello che facciamo lo facciamo per loro» - confida - «Il confronto è la nostra forza ma anche il momento in cui ci si può sentire infinitamente piccoli se si commette qualche errore. Poi, però, l’applauso a scena aperta ti ripaga di tutte le fatiche e le paure. Basta quello per dire “sono felice”».

Impossibile quindi non avere nostalgia per un amore così totalizzante, che da quando è bambino lo accompagna quotidianamente e gli fa cominciare la mattina con un obiettivo. «Il momento della lezione, che è l’inizio della giornata lavorativa, è il più importante perché ritrovi te stesso, il tuo corpo e lo prepari al lavoro. Senza la mia lezione e la mia sbarra quotidiana mi sarei sentito del tutto perso. Fortunatamente ho un pavimento ammortizzato, il tappeto e una sbarra, per cui mi sono potuto allenare comunque da casa».

Già, perché Antonino non è abituato a stare fermo. Per lui non ci sono molti giorni di riposo, ferie o vacanze. Non c’è neanche il Natale: «Sono ospite residente in un teatro a Tokyo e sono ormai dieci anni che non trascorro le vacanze natalizie a casa con mia moglie e le mie due figlie» - ci racconta - «Sicuramente la lontananza provoca tristezza, però metti in conto che fa parte del tuo lavoro e che è un momento di crescita. Se lo fai per te stesso ma anche per la tua famiglia è un qualcosa che arricchisce tutti».

Un sacrificio enorme che lo ha portato a vivere un istante che tutti i danzatori sognano di vivere prima o poi: «Ricordo ancora come fosse accaduto ieri quando sono stato nominato prima solista e poi primo ballerino. Traguardi importantissimi che ho costruito pian piano grazie ai direttori, agli insegnanti e a tutte le persone che hanno creduto in me, compresa la mia famiglia» - confida.

«Quando sono stato nominato primo ballerino, non ne sapevo nulla» - continua - «Il direttore dell’epoca Makhar Vaziev mi ha nominato sul campo al termine di uno spettacolo in cui interpretavo Romeo. È stato un momento magico e indimenticabile, una di quelle felicità che ti accompagnano per la vita. Tanto che non ho chiuso occhio tutta la notte».

Una responsabilità non da poco che Antonino porta sulle spalle con umiltà ed emozione. Quella stessa che consiglia in qualche modo di provare a chi vede la danza come un mondo lontano: «Non bisogna avere preconcetti, ma lasciarsi andare facendosi avvolgere dall’orchestra e dai ballerini. Immergersi in un balletto è una sensazione incredibile e totalizzante, è una vera e propria esperienza di vita».

Non sono poche le persone che mostrano ancora pregiudizi purtroppo, «quando però decidono di fidarsi rimangono incantate, perché avvicinarsi al nostro mondo significa avvicinarsi alla cultura»: quel qualcosa «che non puoi toccare ma che nutre l’anima e di cui spesso l’Italia si dimentica».

E non solo. Perché, oltre allo spirito, i teatri “nutrono” anche tante persone. Dietro il sipario, oltre agli artisti, «ci sono infatti moltissime figure professionali (dai macchinisti ai costumisti agli elettricisti)» che muovono i fili di uno spettacolo e che fanno un duro lavoro per permettere che la magia abbia inizio.

Se non si vuole guardare solo all’aspetto intellettuale, perché non guardare allora all’aspetto occupazionale? Un incitamento, il suo, che facciamo nostro.
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