STORIE

HomeNewsAttualitàStorie

Da Trapani viaggia per un anno: Alessandro "scopre" un paradiso (ma non è in Sicilia)

Da più di 16 anni si occupa di insegnamento e divulgazione. La passione per il viaggio gli ha permesso di coinvolgere anche centinaia di alunni e studenti

Jana Cardinale
Giornalista
  • 4 settembre 2024

Alessandro Pucci

Essere finestra sul mondo. Raccontare con verità, e passione, la vita semplice dell’Africa, l’essenza di chi vive a contatto con la natura, lontano dal materialismo che ha invaso la nostra quotidianità.

I bisogni di una terra che spesso "salva" chi va a conoscerla e poi conserva quell’esperienza in modo inevitabile dentro il cuore. Alessandro Pucci, trapanese di origine ma residente a Roma, dove insegna matematica e scienze, è naturalista, illustratore e scrittore.

Prima di lavorare nell’ambito dell’istruzione ha collaborato con varie ONG e ha viaggiato principalmente in Africa orientale, per circa un anno, tra volontariato e ricerca.

È autore di due libri ambientati in Africa, che contengono storie affascinanti e difficili, e a tal riguardo spiega: «Gianni Minà diceva che non si può scrivere se non si conosce fino in fondo quello che si sta raccontando. Questo vale non solo per i giornalisti, ma anche per i romanzieri come me.
Adv
Le mie storie partono sempre da esperienze autobiografiche. Sono rimasto in Africa orientale tra cooperazione internazionale e ricerca scientifica, in quei mesi ho capito chiaramente che ero chiamato a tornare in Italia per raccontare ciò che avevo visto e provato. Non solo nelle mie classi, ma anche nelle classi di tanti insegnanti che in questi anni mi hanno cercato per ‘essere finestra’ su mondi lontani.

Da più di 16 anni mi occupo di insegnamento e divulgazione. La passione per il viaggio e l’esperienza diretta nei Paesi emergenti mi ha permesso di coinvolgere centinaia di alunni e studenti. Il progetto editoriale che propongo ha una componente ulteriore: abbinare alla narrazione i miei disegni e le mie fotografie.

Mi fa piacere ricordare che una studentessa universitaria una volta mi scrisse che nella lettura del mio romanzo si sentiva immersa nella foresta africana, come se le aprissi quei paesaggi a lei sconosciuti tramite delle pennellate; scrisse proprio: "sembra che lei dipinga le parole". Ne sono felice e so che è vero: i miei reading vengono accompagnati da disegni in modo da rendere il viaggio letterario un’esperienza multisensoriale».

Alessandro racconta che i suoi occhi hanno visto il paradiso, riferendosi sia alla foresta che al villaggio, dopo un’innata attrazione per l’esotico sin da bambino.

«Da piccolo guardavo una riproduzione di Gaugin a casa mia, ma non sapevo neanche dove fosse la Polinesia. Ero attratto da tutto ciò che era sotto l'equatore. Mentre mia madre dipingeva io imparavo a mischiare i colori prima ancora di saper leggere e scrivere. E quei disegni diventavano storie, e quelle storie erano per me il portale per viaggiare.

Dopo 20 anni sotto l'equatore ci rimasi per circa un anno: in Tanzania a studiare delle scimmie in via d'estinzione, unico bianco del villaggio al confine della foresta. Anche io come Gaugin sono rimasto con gli occhi pregni dei colori dei tropici. Finiti quei mesi serviva scegliere. Rimanere in Africa come ricercatore? Come volontario? Capì che il mio contributo sarebbe stato diverso.

Sapevo disegnare e scrivere le storie e, ora che c'ero stato, potevo rimanere in Italia per raccontare cosa avevano visto i miei occhi; per dire che serve tornare al principio per scoprire le cose semplici, abbandonando il modello di sviluppo che ci porta al distacco da noi stessi, da Dio, dagli altri e dall'ambiente.

In inglese si dice ‘to rewild’ e rende molto bene. Perché siamo interni alla natura, ma lo abbiamo scordato».

È così che Alessandro decide di restare in Italia, tra Trapani e Roma, per essere lui stesso un portale tra due mondi solo apparentemente distanti. E ogni tanto tornare sotto l'equatore per nuove esplorazioni. «Le tele di Gaugin, anche nelle metropoli più grigie e frenetiche, continuano ad avere il colore dei frutti tropicali.

Allo stesso modo provo a essere finestra su quel mondo ricco di contraddizioni tramite i miei romanzi che arrivano nelle case dei lettori e nelle scuole degli studenti che vogliono partire per nuove avventure. I ragazzi sono incuriositi nel leggere e nell’ascoltare chi ha visto con i propri occhi una foresta primaria, le attività dei volontari internazionali e le fatiche delle popolazioni locali».

Alessandro Pucci organizza anche dei ‘viaggi missionari’ in Africa, e di recente ne ha condiviso uno con un gruppo di giovani, composto da Manuela Orlando e Arianna Lo Grasso, educatrici e missionarie, e Salvatore Pisciotta, operatore CAS immigrati e missionario. Per portare avanti la sua ricerca è rimasto nella foresta pluviale, unico bianco in Tanzania, e lì si è reso conto di cosa significhi essere davvero tutti fratelli, ma anche di cosa siano quelli che chiama i ‘privilegi bianchi’.

Quelli di chi non hai mai temuto, ad esempio, per la morte dei propri figli piccoli per la mancanza di vaccini o medicine, al contrario di chi vede morire bambini a causa di malaria, o diabete, proprio lì, dove la natura è regina, e dove c’è il tasso di biodiversità tra i più alti al mondo.

«Dall’esperienza in Tanzania per studiare alcune scimmie endemiche dei Monti Udzungwa, sono venuti fuori i due miei romanzi, ‘Il corno del camaleonte’ e ‘Sotto l’Equatore’.

Per me le foreste dell'Eastern Arc sono rimaste un luogo dell'anima». Si tratta di libri che contengono le illustrazioni dell'autore, con tavole che riportano ogni genere e specie presenti in Africa. E con un inno agli alberi, che sono connessi tra loro tramite le radici: «Dentro una foresta c'è davvero il rischio di sentirsi analfabeti.

Se stiamo ad ascoltarli, gli alberi hanno tanto da dirci». Per questo Alessandro Pucci ha dato vita a un progetto che ha al centro delle stampe: «per ogni opera acquistata ci sarà un albero che verrà piantato nella foresta dei monti Usambara, per ristabilire una foresta dove non c’è più.

Un segno piccolo. Perché nessuno si salva sa solo, ma abbiamo quella nostalgia reciproca perché siamo relazionali. Abbiamo bisogno di stare insieme e la diversità ci salva». Jana Cardinale
Se ti è piaciuto questo articolo, continua a seguirci...
Iscriviti alla newsletter
Cliccando su "Iscriviti" confermo di aver preso visione dell'informativa sul trattamento dei dati.

GLI ARTICOLI PIÙ LETTI