STORIE
Da Napoli in Cina (a piedi), Daniele sceglie Palermo: "Sento che qui ho molto da fare"
"Credi nell'impossibile per percorrere una vita ai confini delle possibilità" è il motto che ha accompagnato il giovane antropologo per 12mila km. Oggi vive e lavora a Palermo
Così la storia di Daniele Ventola, antropologo e ricercatore napoletano, si intreccia con Palermo, negli incontri di un'avventura incredibile che lo ha portato fino ai confini della Cina, a 100 km dal traguardo, stroncato dall'arrivo di una pandemia che ha fermato il mondo.
Italia, Slovenia, Ungheria, Romania, Bulgaria, Turchia, Georgia, Azeirbaijan, Kazakistan, Uzbekistan, Tajikistan, Kirghizistan.
Il novello "Marco Polo" il primo agosto 2018 ha chiuso a chiave la porta di casa per attraversare 11 Paesi e due Continenti, alla ricerca del minimo comune denominatore umano.
«Si usa dire in antropologia che la cultura di un luogo cambi lentamente, più o meno, ogni 90 chilometri - spiega Daniele - Percorrendo a piedi infinite distanze ho raccolto tante di quelle storie, amicizie e dettagli che oltre a tutelare il patrimonio culturale delle diverse etnie, rifondono dignità esistenziale a ogni storia che vale la pena essere raccontata.
Daniele è partito a piedi da Venezia subito dopo la laurea a Bologna in "Antropologia religione e civiltà orientali" spinto dal ricordo di una vecchia esperienza. «Finito il liceo sono partito per il Cammino di santiago - racconta - e ho scoperto la bellezza di viaggiare camminando. Dopo la laurea ho deciso di fare la stessa cosa.
Osservando un mondo che va sempre più virtualizzando relazioni e identità mi sono detto che quello che potevo fare come pellegrino e antropologo era raccontare gli incontri con le persone e le storie dei luoghi da un punto di vista antropologico e itinerante».
Zaino in spalla, taccuino in tasca e bastone alla mano, il giovane antropologo napoletano ha iniziato a camminare alla volta di Zhoukoudian - dove nel 1929 furono trovati i resti del più antico esemplare di Homo erectus, l'uomo di Pechino - sulle orme della nuova Via della seta.
Superando barriere, imparando lingue, attraversando storie, miti e paesi senza mai appoggiarsi ad alberghi o ristoranti ma trovando ospitalità da persone incontrate lungo il cammino o dormendo in luoghi abbandonati o nella propria tenda. Nel 2022 il suo viaggio antropologico è diventato un libro, Il vento della seta.
«Arrivare a Zhoukoudian, che è una delle culle dell'umanità, - spiega Daniele Ventola - mi aiutava a lanciare il messaggio che la natura umana è sacra. Il pellegrinaggio è necessariamente sacro: si cammina per un motivo sacro e si arriva a un punto sacro».
Nel portafoglio solo 300 euro e la voglia di raccontare gli incontri e i luoghi percorsi attraverso i social network. «Non sapevo di quanto avrei avuto bisogno per il viaggio - racconta - ho chiesto patrocini a Unesco, Vaticano, Università, ho scritto a varie istituzioni ma nessuno mi ha risposto».
Così ha lanciato una campagna di crowfounding e ad aiutarlo sono state le persone. «Ho raggiunto nell'arco di due anni 9.000 euro di raccolta fondi dei quali ho usato 8.100 euro - spiega - poi il resto dei soldi che mi sono rimasti ho deciso di darli alle persone che avevano bisogno durante il covid, in Uzbekistan, Kirghizistan e Tagikistan. Persone che lavoravano nel settore del turismo e hanno sofferto molto la chiusura delle frontiere».
La scommessa di Daniele era cacciare fuori dalle ombre virali dei social networks la loro parte di luce. Così ha creato una pagina instagram e un sito internet per raccontare il suo viaggio. «Siamo sempre connessi, ma poveri di relazioni umane - spiega - La tecnologia deve essere al servizio dell'uomo, se ne può fare un uso alternativo».
Tra i tanti incontri - reali e virtuali - uno speciale lo porterà a Palermo. «In Georgia ho conosciuto una ragazza, lei stava viaggiando come me - racconta l'antropologo - diventammo molto amici e finito il viaggio ho deciso di raggiungerla a Palermo».
I due si sono innamorati e poi lasciati, nel frattempo Palermo è diventata la casa di Daniele. «Ho continuato a stare a Palermo perché provo un sentimento di ingiustizia - spiega - La Sicilia è una terra ricchissima, è una terra con una grandissima profondità, che ha dato i natali a uomini giganti che mi hanno formato la coscienza;
Ma questa terra subisce da sempre una terribile gestione delle sue risorse. Nel centro Asia ciò che smuove più le coscienze è il senso di ingiustizia, muove talmente lo stomaco che non ti può fare nient'altro che lavorare per il bene. Il fuoco di indignazione che brucia ti spinge all'azione. Sono rimasto qui perché sento che in questa terra ho da fare».
Oggi l'antropologo napoletano attivo nel sociale, lavora al Gonzaga come mentore e prefetto disciplinare, è cioè un punto di riferimento per gli studenti e i docenti dell'istituto.
Il Daniele che è tornato non è troppo diverso dal Daniele che è partito. «Il viaggio non ha stravolto la mia personalità o la visione del mondo che avevo - spiega Ventola - le ha limate, eliminando una miriade di sovrastrutture che non erano più funzionali al mio sviluppo interiore.
Durante il cammino sono stato a contatto con tutte le tipologie di persone: dall'ambasciatore all'assassino, dal pastore allo storico. Avere questo ventaglio di umanità di fronte mi ha dato la capacità di poter dialogare, non solo con lo spettro infinito delle possibilità umane, ma anche di poter capire quanti meccanismi sono soltanto una costruzione sociale e culturale».
Una consapevolezza acquisita da antropologo, ma soprattutto da essere umano, che Daniele porta ogni giorno in classe.
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