Da Canova, a Gagini, a Marabitti: a Palermo sale preziose con le sculture più iconiche
Tra tesori di grande valore storico e artistico, riapre il Museo di Palazzo Ajutamicrsto in via Garibaldi a Palermo: tra i reperti anche sculture del Quattrocento e Cinquecento

Particolare di una delle due "Stele del Mellerio" di Antonio Canova a palazzo Ajutamicristo a Palermo
La struttura, che si trova in via Garibaldi a Palermo ed è amministrata dalla Regione, ospita preziosi reperti lapidei, sculture del Quattrocento e Cinquecento tra cui un busto di Pietro Speciale firmato da Domenico Gagini, un busto di Ignazio Marabitti, stemmi, lapidi, iscrizioni e le due "Stele del Mellerio" commissionate al genio di Antonio Canova nel 1812 da Giacomo Mellerio, per la cappella della sua villa in Brianza.
Le opere, entrate nel mercato antiquario nel ‘78, furono presentate all’ufficio Esportazione della Soprintendenza con un’attribuzione generica, per ottenere il lasciapassare per la Germania ma i funzionari dell’ufficio le riconobbero e ne disposero l’acquisizione.
L'occasione gli fu offerta dall'arrivo a Palermo del celebre architetto Matteo Carnilivari (già autore del palazzo Abatellis, oggi Galleria Regionale della Sicilia), al quale egli affidò la fabbrica del suo palazzo sulla strada di Porta Termini. Ma, a causa dell'eccessiva spesa, il palazzo venne realizzato solo in parte, modificando i grandiosi piani stabiliti all'inizio.
Lo storico palazzo fu in quel tempo la dimora prediletta di ospiti illustri. Nel 1500 ospitò la regina Giovanna, moglie del re Don Ferrante di Napoli; nel 1535 vi soggiornò l'imperatore Carlo V, non potendo alloggiare nel Palazzo Reale non adatto alla sua magnificenza, nel 1544 vi dimorò Muley Hassan, re di Tunisi, poco prima di essere accecato da suo figlio Ajaja, nel 1576 vi fu ricevuto Don Giovanni d'Austria, fratello del re Filippo II, vincitore della battaglia di Lepanto alla quale aveva preso parte anche l'ammiraglio Marcantonio Calefati con la flotta pisana.
Nel 1588 Margherita Ajutamicristo concesse il palazzo a Francesco Moncada, primo principe di Paternò, per il canone di 390 onze annuali, concessione che ben presto si tramutò in proprietà.
Nell'Ottocento i Moncada vendono il palazzo alle famiglie Calefati di Canalotti e Tasca d'Almerita: a tutt'oggi la famiglia Calefati detiene la sua parte di proprietà, mentre l'altra metà è stata acquistata dalla Regione Siciliana ed è sede della Soprintendenza per i Beni culturali.
I lavori, curati dall'architetto Lina Bellanca, dirigente dell'ufficio, sono stati commissionati dalla sovrintendenza e sono durati tre anni circa. L'obiettivo è stato mantenere, laddove è stato possibile, lo stato originario sia della struttura quattrocentesca, più volte rivista nel corso dei secoli dai proprietari (Aiutamicristo, Moncada, Tasca, Canalotti), della pavimentazione di maioliche siciliane, di parte degli affreschi ritrovati sulle pareti, che in un primo momento saranno protetti da uno strato di cartongesso e delle splendide volte lignee.
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