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Cuinnutu, vaistunatu e pure attassato: se ti ci rivedi in Sicilia sei un "mischino"

Tutti i significati e l'origine della parola siciliana seconda solo a un'altra più conosciuta e un po' più volgare. Vi raccontiamo come nasce questo termine

Alessandro Panno
Appassionato di sicilianità
  • 30 ottobre 2024

In Sicilia, qualsiasi sia il discorso che affrontiamo, ci teniamo a rendere totalmente partecipe l’interlocutore, d’altronde, come disse un grande regista, “le parole sono importanti”, e noi per non farci mancare nulla, ne intercaliamo diverse nel bel mezzo della discussione.

Sicuramente quella più famosa, ormai ampliamente usata anche al nord, è minchia.

“Ma chi minchia cunti?”, ”Minchia cose i rumperi!!”, ”si na minchia sicca”, insomma noi facciamo buona parte delle cose con l’ ausilio della minchia, che in fondo anche le genti antiche dicevano “più lunga e a pinsata più grossa è a minchiata”.

Proprio a proposito di intercalari, pochi giorni fa stavo tampasiando con un mio amico, «perciò lo sai che alla fine Roberto è riuscito a avere il trasferimento in Sicilia?» e l'altro «minchia vero dici? Onestamente, mischinu, su merita».
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Anche "mischinu", è una parola che si usa parecchio negli intercalari, magari anche a sproposito, come a voler dire che qui da noi, nella terra del "ficurinnia, chino i spine ma ruci rintra", essere bravi picciotti, assistemati, quasi quasi è da fissa… insomma n’anticchiedda mischini lo si è.

Concetto, questo, tutto siciliano e di difficile comprensione da parte di uno "straniero", ma che, come buona parte delle nostre parole concettuali (con buona pace dei detrattori), affonda le sue origini nella dominazione araba.

Con la parola miskin solevano indicare qualcuno in forte indigenza, non solo materiale, ma anche da un punto di vista immateriale. In pratica se eri cuinnuto, vaistunato e magari pure attassato allora eri a buon diritto un miskin.

Ai tempi, dominazione dopo dominazione, tra brutti e belli, buoni e cattivi, le carte non è che passavano sempre, soprattutto per il popolino, per cui miskin rimase nella parlata e venne ampliamente usato fino a divenire il nostro mischino.

A, si spera, sostegno di questa tesi, vi è pure il fatto che parole con suoni simili a mischino, e con lo stesso identico significato, si trovano anche in Spagna (mezquino), in Francia (mesquin), in cui addirittura ne hanno fatto il titolo di una serie TV, e possiamo ritrovarla anche in Turchia ed Eritrea.

Il concetto stesso di mischino, con la sua apposita parola, potrebbe avere origini antichissime, a partire dal codice di Hammurabi e dall’ accadico muskeum.

Insomma, per dirla in breve, il concetto di chiddu chi un’avi mancu l’occhi pi chianciri, ca magari u pititto ci sta faciennu acito e appena trova un pezzo di pane duro capaci che glielo ruba un cane che lo muzzica puru, affonda le sue origini nella culla della civiltà.

Ma in Sicilia ci piace assai arrovellarci sulle parole, e giusto per rendere complicate le cose, siamo riusciti a dare anche un significato opposto a mischino, usandolo per indicare una persona, rullo di tamburi, meschina, ovvero malevolmente furba, subdola, disposta a tutto per realizzare i suoi progetti.

Senza avere la presunzione di dire che il nostro mischino abbia influenzato l’italiano meschino (ma tutto può essere), noi altri, utilizzando mischino per identificare una persona che dalle difficoltà della vita ha, probabilmente, imparato ad aguzzare l’ingegno, a niesciri i scagghiuna, magari in modo disonesto, per migliorare la sua situazione, abbiamo coniato, anche, mischiniare per indicare l’atto di vittimizzarsi di proposito, di colui che, per tornaconto personale o egocentrismo, si rende di proposito "oggetto di compassione".

Per alleggerire tutta sta discussione vorrei concludere con piccolo racconto/aneddoto con un’ altra origine molto “articolata”. Nell’ antica Grecia il consumo del vino in pubblico era il metro di misura con il quale si distingueva lo sciocco dal saggio, il barbaro dal cittadino, dato che i primi non erano in grado di contenere il consumo della bevanda.

Il filosofico popolo, aveva coniato un termine per identificare tale soggetto, ovvero esi maten (inutile) dal quale potrebbe derivare, per lontana assonanza, il nostro mischino.

Nell’antica makella greca era abitudine brindare con una formula simile a questa "un brindisi all’allegria, un brindisi all’ amore ed un brindisi alla confusione", proprio per descrivere i progressivi stati di alterazione a cui poteva portare il vino, fino a quello della confusione, ovvero della esi maten.

In Sicilia, forse rifacendosi all’usanza greca si usava dire anticamente, durante un brindisi, soprattutto nella zona di Marineo, "a salute ru mischino, scarsu r’acqua e chinu i vino".

Parole diverse ma stesso identico, attualissimo, concetto.
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