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Con la "murtidda" si fanno un sacco di cose: la bacca afrodisiaca che si trova (anche) in Sicilia
Mille usi e tante storie si celano dietro questa famosa "essenza" nota soprattutto in Sardegna ma che cresce spontaneamente anche in Sicilia. fa parte infatti della cosiddetta "macchia mediterranea"
Bacche di mirto (foto Sgandurra)
Forma distese verdi e intricate, a volte difficili da penetrare. Nasce da questa caratteristica l’espressione “darsi alla macchia” per indicare le fughe durante il periodo del banditismo. In Sicilia, come in Sardegna, è la forma di vegetazione prevalente lungo i tratti costieri ancora integri, vi crescono numerose essenze molto interessanti come olivo e carrubo, il leccio, il ginepro, varie specie di ginestre, la palma nana, il lentisco, l’alloro, il mirto. Molte di queste piante hanno rappresentato nella nostra cultura fonte di cibo e di materie prime adatte a mille usi.
Si presenta con l’aspetto di un arbusto sempreverde che può raggiungere anche i tre metri di altezza. La corteccia ha un caratteristico colore rosaceo. In estate esplode la fioritura dal colore bianco che profuma la macchia con il suo odore inconfondibile. I frutti maturano alla fine dell’autunno e sono di colore azzurro nerastro.
Il mirto è molto presente lungo tutte le regioni costiere della penisola e molto diffuso nelle grandi isole italiane ed in Corsica, dove assume nomi locali molto simili. In Sardegna si produce un ottimo liquore dalla sua bacca, che in siciliano è chiamata murtidda. Trattandosi di una pianta molto rustica, che si diffonde facilmente, ha trovato sempre spazio nei nostri frutteti, coltivato in una varietà dalle bacche biancastre e dal sapore più delicato di quelle selvatiche.
Sin dall’antichità questa pianta ha avuto un ruolo importante nelle civiltà mediterranee, se ne trovano numerose tracce nella mitologia greca. Il nome stesso deriverebbe da quello di una amazzone, Myrsine, che, uccisa involontariamente durante una gara, fu trasformata in mirto dalla dea Atena. In suo onore i rami venivano intrecciati per incoronare atleti o guerrieri valorosi.
Un’altra leggenda vuole che la dea Afrodite, Venere per i romani, appena uscita dalla schiuma del mare si sia nascosta dietro un cespuglio di mirto. Nella celebre tela in cui il Botticelli rappresenta la nascita della dea della bellezza è presente una pianta di mirto. E, con riferimento alla mitologia, di mirti divini parla D’Annunzio nei suoi versi più celebri.
Per la sacralità a Venere le si attribuivano proprietà afrodisiache, ed in molte culture con i rami di mirto si usava cingere il capo degli sposi o adornare i bouquet nuziali in segno di buon augurio. Molti riti pagani sono stati mutuati nel tempo in devozione cristiana ed il mirto è diventato una pianta sacra alla Madonna. Complice il fatto che le sue bacche maturano a fine autunno un tempo non dovevano mancare a fine pasto per la festa dell’Immacolata. Una Madonna del Mirto è venerata nel comune di Villafranca Sicula.
Alla copiosa presenza di questo arbusto deve il suo nome il comune, di origine medievale, di Mirto in provincia di Messina, sospeso tra i Nebordi e il mar Tirreno. Per lo stesso motivo in Sicilia si può incontrare il toponimo Murtidditu, ad indicare una contrada, una località, in cui era presente un mirteto.
Fare un elenco esaustivo degli innumerevoli usi che sono stati sperimentati nel tempo da tutte le parti di questa pianta non è possibile in poche righe. Per la presenza di tannino trovava impiego nella concia delle pelli. Nel medioevo dai suoi fiori veniva distillata l’Acqua degli Angeli, una lozione capace di mantenere la pelle fresca e giovane. Per le sue proprietà balsamiche, antinfiammatorie ed astringenti, trova largo impiego nel settore erboristico e farmaceutico. Ha molti principi attivi in comune con l’eucalipto, altra specie della stessa famiglia botanica, quella delle Mirtacee. È usata in cucina come spezia, in particolare per insaporire le carni grasse.
Una curiosità che lo riguarda è legata alla Mortadella. Questo salume deve il suo nome al fatto che in passato, al posto del pepe, veniva speziata con le bacche della mortella, uno dei tanti nomi regionali attribuiti al frutto del mirto.
Un semplice arbusto, nemmeno tanto raro da incontrare nelle nostre campagne, se si ha appena voglia di approfondire, può diventare occasione per intrecciare le trame del nostro passato, tra storia e mitologia, arte e letteratura, medicina e tradizioni popolari, una ricchezza culturale che non possiamo permetterci di cancellare, senza rischiare di perdere la nostra stessa identità.
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