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Ci passi ogni giorno ma non la conosci davvero: la (storica) chiesetta di Palermo

Chiusa come le cose che sembrano destinate a chiusura perenne è testimone della Palermo del passato e per questo degna di essere oggetto di restauro

Danilo Maniscalco
Architetto, artista e attivista, storico dell'arte
  • 28 gennaio 2023

La chiesa di San Nicola a Palermo

Superstite di stagioni più fortunate, stretto a latere del più sontuoso neoclassico Palazzo Gravina-Palagonia, insiste oltre il numero civico 631 di corso Calatafimi la piccola chiesa di San Nicola nell’apparente distrazione del traffico veicolare circostante che quotidianamente ingolfa l’arteria stradale in direzione della circonvallazione del capoluogo siciliano.

Chiusa come le cose che sembrano destinate a chiusura perenne (o almeno così appare dall’esterno) il piccolo edificio a pianta rettangolare impostata su navata unica a sviluppo longitudinale, fu fondato intorno al 1727 e per oltre un secolo funzionò come parrocchia per poi essere sottoposta a restyling al termine del XIX secolo; occasione in cui venne rinnovata nelle forme e nei cromatismi l’interessante prospetto della facciata su strada che ne accompagnò l’uso liturgico fino alla metà degli anni Settanta del secolo scorso.

Un esercizio ben riuscito di Storicismo locale in cui si armonizzano nello sviluppo verticale della piccola facciata ben quattro sezioni differenti in asse simmetrico al severo portale d’accesso sovrastato da un minimale timpano triangolare a cui fanno seguito in ordine crescente: una finestra semicircolare con raggera di elementi in ferro battuto originale, l’oculo per l’orologio e la singolare e aggraziata soluzione terminale di chiusura con arco trilobato sopra cui impera ancora la piccola croce ancora in ferro battuto.
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Ma a suscitare l’interesse maggiore, oltre alla cura esclusiva delle proporzioni è il rispetto puntuale di un codice linguistico che trova conforto nelle singole partiture il conforto di un organismo autenticamente indipendente in cui le due paraste di piano terra (una risulta perduta da tempo) stringono e proiettano idealmente la composizione verso lo sviluppo verticale, palesando al contempo il ruolo dominante dell’uso plastico dell’intonaco per tutto il cosiddetto “secolo del ferro”.

Un piccolo trattato di estetica dell’architettura applicata allo spazio urbano, in cui persino nell’attuale stato in cui versa questo prezioso testimone del tempo si esplica il primato del concetto di “progetto” sempre attivo nella Palermo del passato a cui andrebbe stimolato quello odierno di restauro in accordo con l’art. 9 della Costituzione italiana.

Essendo un’architettura prevalentemente dalla “pelle di intonaco”, senza un progetto imminente e scientifico di restauro mirato a restituirne l’interezza dello sviluppo frontale, ben presto perderemo una quinta urbana di singolare bellezza, piccola forse, ma per tale motivo capace di restituire il valore più autentico del costruire “dettagli” in animo ai nostri avi.
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