TEATRO
"Chianci Palermo": quella volta che Gigi Proietti diventò un simpatico imbroglione siciliano
Salutiamo il grande mattatore romano, scomparso a 80 anni, con quello che potrebbe essere il mantra per questa giornata difficile: "tuà a muà nun ma da rompe er ca…"
Gigi Proietti
È una prova brillantemente superata con un dialetto completamente diverso da quello del Tufello, borgata di Roma dove era nato 80 anni fa. Gigi Proietti ci ha lasciato.
La sua romanità, così spesso invisa in altre parti d’Italia, metteva tutti d’accordo da nord a sud, forse perché dietro ogni personaggio s’intravedeva la satira goliardica e pungente, mai offensiva, che non risparmiava nessuno neanche un romano.
Ma la struggente ballata, cantata come uno stornello, non è la sola suggestione con la Sicilia.
In "Alleluja brava gente", commedia musicale in cui arriva per caso, per sostituire Domenico Modugno, (di lui dicono è un bel ragazzo ed è anche bravo) interpreta il ruolo di Ademar un truffatore figlio di una prostituta siciliana.
Ho avuto il piacere di assistere alla prima edizione del musical con un Proietti pirotecnico, esuberante, insieme ad una Belcore- Mariangela Melato ( la prostituta pentita) giovane e bellissima. Nei loro duetti e canzoni la stoffa e l’allegria di due autentici talenti.
«Stasera si respira ammuri pè mia» è una delle frasi che Ademar–Proietti, reciterà durante la commedia rendendolo un simpatico imbroglione siculo, che alla fine crederà di essere un Santo, salvo poi passata la notte del mille, ritornare a fare il venditore di paccottiglia e intrugli.
Non mi sono persa nessuna rappresentazione, da «A me gli occhi please» dove con solo un baule entrava in scena vestito con un pantalone nero ed un camicia bianca da giullare, inchiodando da solo tutto il pubblico per due ore. Alle sue prove da grande attore al Globe Theatre, il suo teatro estivo a Villa Borghese, ai suoi cavalli di battaglia, dove in un carosello esilarante ritroviamo tutti i suoi personaggi, tra cui l’indimenticabile "Conte Duvall".
A me piace ricordarlo quando, verso la fine degli anni '80, mentre ero intenta a scrivere un “ quindici righe” ( comunicato stampa), nella sede di un partito politico, arrivò silenzioso da dietro mettendomi con forza una mano sulla spalla. Feci un
sobbalzo pronta ad inveire, salvo poi rimanere ammutolita.
Ricordo le sua risata furbetta e divertita.
«Come te chiami?». «Susanna», risposi con un fil di voce. E lui: come mia figlia”, ed aggiunse «Susanna se la sona e se la canta». Da allora per tutto il mio contratto di lavoro rimasi, mio malgrado, Susanna che se la sona e se la canta.
Con tenerezza e struggente malinconia ho deciso di salutarlo con quello che potrebbe essere il mantra per questa giornata che si prospetta difficile, sotto tanti punti di vista, frutto del suo genio e tagliente ironia: «tuà a muà nun ma da rompe er ca…».
Ciao Gigi.
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