PERSONAGGI
C'è un quartiere di Palermo dedicato ad un nobile: dove si trova (e come si chiama)
Un marchese, un barone, un politico ma anche un docente universitario. Era tante cose il personaggio che ha dato il nome ad una delle zone periferiche più note
La villa di Tommaso Natale
Tommaso Natale ( 1733 – 1819) era marchese di Monte Rosato e barone di Foresta, Miccichè, Cucca, Ferrari e Cancialosi. "Uomo di severi studi e di pubblici negozii" (Vincenzo Di Giovanni), fu un celebre filosofo, letterato e giureconsulto siciliano.
Occupò anche diverse cariche politiche durante la sua lunga vita: Maestro Razionale di Cappa e Spada del Tribunale del Real Patrimonio, deputato del regno, consigliere di Stato, consigliere del supremo Magistrato del Commercio, oltre che membro di varie giunte come quelle delle Regie Poste e del catasto.
Propugnò la laicizzazione dell'insegnamento (per lungo tempo affidata ai Gesuiti) e fu docente dell'Università degli studi di Palermo. Figlio primogenito di Domenico Natale, discendente di una ricca famiglia di mercanti calabresi e di Beatrice Rao, gentildonna messinese, ricevette investitura ufficiale di marchese il 19 marzo 1788.
Conobbe le lingue classiche, imparò il francese e l'inglese e, ancor giovane, si interessò di poesia, filosofia, diritto e storia. Caldo propugnatore della filosofia Leibniziana introdotta a Palermo proprio da Niccolò Cento, fu uomo dell’illuminismo, in una Sicilia per molti versi poco aperta alle idee innovatrici e al cambiamento.
Faceva già parte dell’Accademia del Buon gusto quando a soli 23 anni sfidò le ire dei Gesuiti facendo pubblicare nel 1756 dall’editore Valenza di Palermo un commento in versi alla filosofia di Gottfried Leibniz . L’opera dal titolo “La filosofia leibniziana esposta in versi toscani, dedicata agli accademici di Lipsia, riscosse all’estero larghi consensi e apprezzamenti.
I Gesuiti di Palermo invece, scandalizzati dal pensiero filosofico panteista, decisero di rivolgersi al Tribunale della Santa Inquisizione (che sarebbe stata abolita in Sicilia solo nel 1782) e scrive lo Scinà, affermarono che il marchese era “derisore delle cose sante e lo denunziarono”.
Il Santo Uffizio il 27 febbraio 1758 condannava il libro e ordinava di distruggerne tutte le copie. Tre anni dopo, a 26 anni, il Marchese, che non aveva rinunciato a scrivere, pubblicava Le riflessioni intorno all'efficacia e necessità delle pene,
Un'opera che anticipava le tematiche per cui sarebbe divenuto celebre il filosofo lombardo Cesare Beccaria (1738-1794), nonno di Alessandro Manzoni, pubblicando il trattato “De’ delitti e delle pene”.
Sulla facciata del sontuoso palazzo di Palermo del marchese Tommaso Natale, in Via Garibaldi, è stata apposta una lapide che recita: «Casa di Tommaso Natale, Marchese di Monterosato, morto a 28 settembre 1819, poeta e filosofo egregio, emulò Beccaria propugnando umane riforme nel giure penale l'anno 1759».
In realtà non è corretto affermare che Tommaso Natale emulò Cesare Beccaria perché Le riflessioni intorno all'efficacia e necessità delle pene, pubblicata nel 1772 era stata scritta nel 1759, ben sette anni prima de De’ delitti e delle pene (1764).
L’opera di Tommaso Natale, pur non pubblicata subito, forse per timore dell'Inquisizione, circolava già prima del 1772. Tuttavia sarebbe altrimenti azzardato e fuorviante scrivere addirittura che fu Beccaria ad emulare Tommaso Natale.
A tal proposito dissipa ogni dubbio ciò che scriveva Pietro Verri in una epistola, spiegando la genesi De’ delitti e delle pene: «Prima di chiudere vi soddisferò sul proposito del libro Dei delitti e delle pene. Il libro è del marchese Beccaria. L'argomento gliel'ho dato io, e la maggior parte dei pensieri è il risultato delle conversazioni che giornalmente si tenevano fra Beccaria, Alessandro, Lambertenghi e me…».
Continua: «Beccaria si annoiava e annoiava gli altri. Per disperazione mi chiese un tema, io gli suggerii questo…il dopo pranzo si andava al passeggio, si parlava degli errori della giurisprudenza criminale, s'entrava in dispute, in questioni, e la sera egli scriveva».
Il trattato del pensatore siciliano, benchè scritto prima del libro del pensatore lombardo, ebbe indubbiamente minor successo.
Il marchese di Monte Rosato aveva si il grande merito di voler cancellare la pena di morte, ma diversamente da Beccaria, attribuiva ai nobili il privilegio di essere più sensibili alle punizioni e invocava per essi pene minori rispetto a cittadini e plebei. Mentre Beccaria muoveva dai principi dell’uguaglianza, il Natale continuava ad affermare i privilegi della nobiltà.
Giuseppe Guerzoni, così scriveva nel 1876: «Il libro di Tommaso Natale non poteva farsi strada per troppe ragioni: non aveva il consenso d’alcuno, non della nobiltà perché prevedeva di abolire privilegi e parlava di diritto; non del popolo perché proclamava la diseguaglianza e prevedeva castighi più miti per la nobiltà, non degli enciclopedisti perché li combatteva, non dei leibniziani di Nicola Cento perchè l’argomento non li interessava, non della Sicilia che non era preparata alle riforme e già giudicava eccessive quelle del Vicerè Carracciolo…Beccaria aveva per padrino tutta la società moderna, il Natale non aveva nessuno …Tutti contro di lui!».
Tommaso Natale viene ricordato anche per una traduzione dell’Iliade, giudicata dalla società dei letterati di Parigi, superiore a quella del padovano Melchiorre Cesarotti.
Il marchese diede alla stampe i primi quattro libri del poema, poi ristampati con l’aggiunta di altri due libri nel 1807, nel medesimo anno in cui Ugo Foscolo e Vincenzo Monti pubblicavano solo il primo libro del poema di Omero, tradotto come saggio.
I manoscritti della traduzione di tutto il poema omerico finirono nelle mani degli eredi di Tommaso Natale, alla morte del marchese, e qualche frammento si conserva in un volume miscellaneo della Biblioteca Comunale di Palermo.
Ecco come cominciava la traduzione del nobile siciliano: «O Dea tu canta del Pelide Achille/ L’ira dannosa, che infinite angosce/ Dette agli Achivi, e giuso a Pluto spinse/ Di molti Eroi l’anima forte, e preda/ Fe’ d’essi ai cani ed agli uccelli tutti».
Il marchese si sposò a 51 anni nel 1784 con Rosalia Gugino e la coppia ebbe 9 figli. Si spense in età avanzata, ad 89 anni, prima di riuscire ad aggiungere un’appendice al suo libro “Dell’efficacia e necessità delle pene”.
Lo piansero la moglie, i figli, i cittadini; sarebbe stato doveroso innalzargli un monumento commemorativo, perchè fu tra le menti siciliane più brillanti del suo tempo e noi, nel nostro piccolo, abbiamo voluto ricordarlo.
Se ti è piaciuto questo articolo, continua a seguirci...
Iscriviti alla newsletter
|