CRONACA
Brusca, "u verru", è tornato libero: Palermo deve (e vuole) archiviare, senza dimenticare
C’è un senso di sgomento, rabbia e di giustizialismo. Sono considerazioni ed emozioni contrastanti quelle che la notizia della scarcerazione di Giovanni Brusca ha suscitato
Giovanni Brusca
Giovanni Brusca, u verru (il porco, ndr), ha lasciato il carcere di Rebibbia a Roma il 30 maggio 2021, con quaranta giorni d'anticipo, grazie alla legge del 13 febbraio del 2001, sostenuta con vigore proprio da quel giudice che farà saltare in aria a Capaci.
I suoi 150 omicidi, tra cui quello del bambino sciolto nell’acido (il piccolo Di Matteo), riaprono pagine di storia che Palermo vuole e deve archiviare, senza dimenticare.
C’è un senso di sgomento, rabbia e di giustizialismo, "il mostro va bruciato", purificata la città e l’Isola da malefici e orrendi ricordi che ne contaminano il suo doloroso cammino di rinascita.
Ma la legge voluta da Falcone aveva un senso: corrompere i corruttori, «uccidere il serpente con il suo stesso veleno», barattare uno sconto di pena in cambio di rivelazioni. E "U Verru" a quanto sembra rivelò.
Quanto abbia detto e quanto abbia nascosto, non c’è dato di sapere, la sensazione fastidiosa è che tanto è rimasto opportunamente celato nei "palazzi del potere".
Il congegno sarà stato anche preparato e forse attivato da Brusca, ma il viaggio con un aereo dei servizi, effettuato un giorno dopo rispetto alla data prevista, lo potevano sapere solo a Roma.
L’agenda rossa di Borsellino opportunamente sparita a chi avrebbe potuto fare tanto male se non a chi non voleva essere accostato alla mafia? I nomi dei delinquenti mafiosi si conoscevano tutti, non sarebbe stata una rivelazione, la difficoltà con loro era trovare le prove per incastrarli, cosa diversa scoprire relazioni e rapporti con uomini dello Stato.
Questi cattivi pensieri pongono degli interrogativi proprio sulla testimonianza fornita da Brusca: quanto gli fu consentito dire, quanto disse, e quanto gli fece comodo dire?
«Le menti eccellentissime» sono state sempre in funzione, e se Falcone aveva appoggiato una legge che, di fatto, istituiva un accordo tra magistratura e mafia, era perché non esisteva altro modo per capire, sapere, ricostruire collegamenti e persone.
"U Verru" è uscito, in libertà vigilata per 4 anni, con una scorta che dovrà proteggerlo. Dove andrà a vivere, cosa farà? Che faccia pubblica ammenda e che sia pentito, ci può credere solo chi non conosce la storia di questo individuo cresciuto come dicono le testate giornalistiche “a pane e mafia”, e poi francamente del suo pentimento, noi ce ne facciamo ben poco.
Come sarà il resto della sua vita? Importa ancora meno, anche se penso che ognuno di noi speri in un castigo divino esemplare che possa placare rabbia e indignazione.
Ma citando grandi autori della letteratura, l’intervento divino ha tempi e modi che non sono quelli degli uomini (Manzoni), e il carcere non è deve essere uno strumento di vendetta ma di rieducazione (Beccaria). Ci rassegneremo a tutto questo? Mai!
Con il tempo dimenticheremo, se non continuerà a rodere come un tarlo il pensiero che possa godersi il tesoro guadagnato con così tanti efferati omicidi. Denaro opportunamente "lavato", riciclato, nascosto o custodito in qualche banca, pronto a essere utilizzato e goduto.
Quest’oscuro e legittimo pensiero è il nodo della scarcerazione. La vendetta, se dovrà esserci, dovrà avere il carattere di un risarcimento morale per tutti. Potrebbe essere un esilio lontano dalla sua terra, controllato a vista e con l’impossibilità di godersi il patrimonio accumulato.
Penso che dovrebbe essere attuata una misura, non so con quali mezzi, che abbia gli aspetti di una confisca preventiva dei beni presenti e soprattutto futuri, un controllo minuzioso su ogni transazione o euro speso. Un peso e una condizione che dovrà sentire per il resto della vita.
Questa "vendetta" potrebbe così, per rendere meno amara questa scarcerazione, dare un senso di giustizia, di riconciliazione e forse di pace.
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