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Altro che Ghostbusters: in Sicilia avevamo pure un Santo che faceva l'acchiappa fantasmi

Lo chiamavano il "caccia spiriti". Nel corso dei secoli è stato beatificato e poi santificato (ci piace pensare per la sua pazienza), divenendo anche patrono di molti paesi della Sicilia

Gianluca Tantillo
Appassionato di etnografia e storia
  • 30 maggio 2022

San Filippo di Agira esorcizza un ossesso (Pietro Novelli)

C’era un santo ad Agira, in provincia di Enna, che di passatempo faceva l’acchiappa fantasmi. Cioè, non è che era santo già da vivo, e nemmeno aveva lo zainetto protonico come i famosi Ghostbusters.

Aspè, riavvolgiamo un attimo il nastro. Siamo nella Tracia -un’antica regione che stava nella parte più orientale della Grecia- ai tempi di Arcadio, imperatore dell’Impero Romano d’Oriente. Teodosio e Augia erano due persone normali che avevano tirato su tre figli, diventati tutti commercianti di bestiame.

Un giorno i tre ragazzi stavano andando a Costantinopoli, attraversarono il fiume Sàngari, la corrente se li portò, caput, e la storia finìu. La povera Augia giustamente si disperò, pianse, imprecò. Imprecò così tanto che Dio, forse stanco di ricevere messaggi vocali poco carini, si presentò a casa sua sotto le sembianze di un vecchio.

«Augia, Togliti il lutto, alzati e impasta tre pani con fior di farina.» Solo questo le disse Dio. Comunque, come fu come non fu, quella sera Teodosio e Augia si misero a fare all’amore, poco dopo scattò test gravidanza positivo e da lì nacque Filippo.
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Mia nonna diceva sempre: “i figghi si fanno quando si è picciotti!”. E siccome mia nonna aveva sempre ragione, Augia, non riuscendo a combattere con Filippo perché era troppo tosto, e lei oramai non aveva più la cazzimma della gioventù, all’età di sette anni gli rapò i capelli, lo portò in chiesa e disse: “Tenitivillo!”.

Compiuti ventuno anni, diventò diacono e gli venne la fissa di andare a Roma. Ora, voi dovete capire che se oggi uno vuole fare l’attore, come per esempio fu per Schwarzenegger, parte dall’Austria e va a Hollywood; ai suoi tempi invece si partiva per Roma perché Hollywood era al Vaticano.

Guai a tagliare le ali ai figli che hanno un sogno, e così Teodosio, suo padre, gli fece il biglietto, tante raccomandazioni e lo mandò a Roma. Era intelligente Filippo, ma di lingue straniere manco ne voleva a brodo: per sua fortuna insieme a lui partì un monaco di nome Eusebio che conosceva il latino e gli traduceva tutte cose.

Ci arrivò al Papa, e pure presto, entrando nelle sue grazie e ricevendo pure un incarico importante. «Quando nel tuo viaggio di ritorno passerai in Sicilia,» gli disse il Papa «troverai in quei luoghi un posto, di nome Arghirion [Agira, Enna], dove avvenne una migrazione di spiriti provenienti da Gerusalemme”. Senza manco farselo ripetere mezza volta, Filippo s’acchiappo il monaco Eusebio (che a quanto pare era antenato di Google Translate), e, imbarcandosi per la Sicilia, raggiunse Agira.

Forse furono il sole e il mare, forse fu la pasta con le sarde, fatto sta che Filippo manco mise piede nella Trinacria che si s’infilò in una grotta e cominciò a fare guarigioni per due giorni interi, senza manco il tempo di una sigaretta. Presa coscienza, come diciamo noi, della “potenza dello gibbione”, o delle sue capacità, si ricordò della sua missione e si mise a cacciare gli spiddi (è così che noi siciliani chiamiamo i fantasmi).

Subito, raggiunse l’Etna, fece una benedizione in quattro e quattr’otto, e tempo cinque minuti si vide un gruppo di demoni scendere dal vulcano e scappare a gambe levate. Diceva ancora mia nonna “fai vedere sempre di meno di quello che sai fare, altrimenti le persone si abituano, se ne approfittano e poi sei consumato”. Grossomodo è quello che capitò a Filippo: si sparse la voce della cacciata dei demoni e si consumò.

Da quel momento pure se usciva per farsi una passeggiata si trovava accerchiato da fan e paparazzi, per non parlare del telefono che squillava dalla mattina alla sera. La prima liberazione la operò nei confronti di una ragazza che, si diceva, fosse posseduta. Liberata la ragazza, la voce di diffuse a macchia d’olio e si dovette accollare altre quattrocento liberazioni appresso, perché sennò gli altri posseduti si offendevano.

«Quanto mi vado a fare una preghiera dove ha perso le scarpe il Signore!», disse un giorno, stanco dalla notorietà che giustamente un vip si porta appresso. Macché, lo riconoscevano tutti! Anche dove aveva perso le scarpe il Signore incontrò una coppia che piangeva disperata. «Pietà di noi!» implorarono disperati. «Nostro figlio ha bevuto alla fontana di Maimone ed è morto all’istante».

Non per gettare benzina sul fuoco, però tutte le volte che sono tornato a casa ubriaco ne ho inventate di scuse, ma mai ho pensato di giocarmi la storia della fontana di Maimone (trattasi di una divinità della mitologia nuragica, ovvero una civiltà sarda dell’età del bronzo). Filippo, dunque, schiavo della sua missione, corse alla fontana dove c’era il ragazzo. Schiaffoni, contro schiaffoni, caffè amaro. Niente… il picciotto non era avvinazzato, e manco avvelenato: il picciotto era posseduto da uno spirito maligno. Doveva intervenire! Un po’ di amuchina nelle mani, se le strofinò, e fece un segno della croce imponendole sul ragazzo.

«Giovanni, Giovanni, Giovanni, nel nome di Dio, sorgi!», gli gridò. Pappitì! Come se non fosse successo niente Giovanni saltò in piedi. Filippo decise che magari la camminata ancora più lontano doveva farsela: sul pizzo della montagna questa volta! Pure là problemi. Manco il tempo di aprire il vangelo, arrivò saltellando un certo Attanasio tutto dolorante e pallido per il morso da una vipera.

«Ma quale vipera e vipera, questo spirito maligno è!». Filippo capì che non c’era tempo da perdere. Sputò a terra, fece un impasto con la polvere e lo spalmò nella ferita di Attanasio, riprendendolo meglio di una Bentelan quando si ha l’intossico. A quel punto arrivò una donna che aveva in ventre un feto morto da quattro giorni. «Spirito maligno è!» Non ce la faceva più Filippo.

Ad ogni modo, corse ad un’altra sorgente, prese dell’acqua mettendo le mani a cuppiteddu -giunte- (le stesse con cui prima aveva impastato lo sputo) e la versò in una tazza.

«Beviti questo!», disse.

Anche in questo caso tutto apposto a ferragosto. Tutto fece Filippo pur di scacciare i fantasmi che infestavano Agira e fare la volontà di Dio: oculista, addomesticatore di animali imbizzarriti, andrologo, avvocato, medico generale, cabarettista. Di miracoli e di lotte contro il demonio ne continuò a fare che per riportarle tutte ci vorrebbe un elenco telefonico. Alla fine se ne andò a 63 anni, senza manco raggiungere l’età pensionabile e godersi la vecchiaia. Nel corso dei secoli è stato beatificato e poi santificato, divenendo patrono di Aci San Filippo, Agira, Piazza Armerina e molti altri posti. Fantasmi o non fantasmi, questo non sta a noi stabilirlo.

Mi piace pensare che Filippo è stato fatto santo per la sua disponibilità, per la pazienza e per il suo grande spirito di sacrificio. Però, Fulì, se mi senti, forse aveva ragione mia nonna: «Fai vedere sempre di meno di quello che sai fare, altrimenti le persone si abituano, se ne approfittano e poi sei consumato».
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