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A Palermo le confondi, ma una è "nobile" e l'altra no: la (vera) differenza fra Iris e Ines

Due vere e proprie opere d'arte della pasticceria palermitana che spesso chiamiamo in modo indistinto. Facciamo chiarezza: ecco quale è l'Iris e quale l'Ines

Alessandro Panno
Appassionato di sicilianità
  • 18 settembre 2024

Una scena tratta dal film "La mafia uccide solo d'estate"

Nonostante i rinnovati buoni propositi di fine stagione estiva, alla luce della (miseramente fallita) prova costume, debbo fare ammenda e riconoscere le mie debolezze culinarie e la mia, praticamente inesistente, forza di volontà a ora di pistiare.

Ergo ho ripreso subito le vecchie sane abitudini, e come di consueto sabato o domenica mattina (o entrambi i giorni) m’apprisinto in un noto bar di Villagrazia di Carini (mio punto di riferimento) per il mio consuento vassoio di liccarduserie per la prima colazione.

Così, tra un macallè che mi faceva gli occhi dolci ed una ciambella autoritaria che mi imponeva di darle la giusta attenzione, ho notato un vassoio provenire dal retro, accompagnato da un ciauro che mi mandò in blackout le nasche.

Così, con un pititto che mi stava facendo acitu, mi rivolgo al commesso: «Talè, mentre incarti il vassoio favoriscimi una di quelle belle ines…».

Il commesso ammammaluccuto mi fa «Che vuoi? Una Ines? E ‘nzuccu è sta ines?». «Quella…», indicando il vassoio, «Ah… una iris al forno!».
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Così mentre addentavo la mia ines, cavura cavura, con tutta la ricotta che ustionava, ma al contempo, mandava in tripudio le papille gustative, mi è venuto in mente che forse il termine "Ines" non è più molto usato, divenendo desueto.

Fondamentalmente il dolce è lo stesso, ma con la piccola, sostanziale differenza che l’iris è panata ‘nna muddica e poi fritta, mentre l’ines è semplicemente cotta al forno come se fosse una brioscina.

In effetti c’è chi oggi la chiama - e penso che le legge dovrebbe prevedere pene severe per questo - bombolone o addirittura Krapfen.

Premesso che non siamo a Roma o in crucconia, l’iris è ben altra cosa, a parte il fatto che vanta natali nobili e raffinati.

Correva l’anno 1901 e mentre veniva brevettata la prima macchina per il caffè espresso, al Teatro Massimo di Palermo stava per essere inscenata una delle prime dell’Iris di Pietro Mascagni.

Evento degli eventi, tutta la Palermo che contava, bella ammugghiata in abiti francesi all’ultimo grido, si faceva le vasche nel Cassaro, ciuciuliava dentro le carrozze, e naturalmente, come usanza dell’epoca voleva, si sollazzava nelle verie pasticcerie e caffetterie con grande soddisfazione dei pasticceri.

In quel momento storico, Antonino Lo Verso, proprietario di una caffetteria in via Roma 148 ebbe a pinsata. Da grande estimatore del lavoro di Mascagni fece un dolce di pasta lievitata, successivamente riempito di crema di ricotta e cannella (i pezzetti di cioccolato furono aggiunti successivamente), ed infine panata e fritta nello strutto.

Il successo fu talmente epocale che i flussi che dominavano la bella vita dei vip dell’epoca deviarono verso la sua caffetteria, a tal punto che Lo Verso ne cambio il nome in “caffetteria Iris”. In quello stesso anno, il re Vittorio Emanuele III lo proclamò Cavaliere del lavoro, ordine che era appena stato costituito, e la sua “opera” culinaria si diffuse in tutta la Sicilia.

Era nato un mito, sua maestà l’iris, uno dei capisaldi della colazione siciliana!

Ad onore del vero, occorre anche dire che pure la magnificente e raffinatissima donna Franca Florio menziona nei suoi diari l’iris, ma attribuisce l’invenzione al Cavalier Giuseppe Bruno, titolare della “Real Confetteria” in via Toledo 390.

Donna Franca così scrive a proposito di Bruno: ”…il dolce che ha inventato in omaggio all’Iris di Mascagni sta spopolando…”, probabilmente Donna Franca, sempre attenta all’arte e all’eleganza, era anche influenzata dal fatto che il locale di Giuseppe Bruno era stato appena ristrutturato in perfetto stile Liberty da Ernesto Arnò e che, a quanto pare, il titolare della confetteria aveva avuto l’idea di aggiungere la cioccolata frantumata nella ricotta.

Sì tutto bello e favoloso, ma come cornuto è che alla fine nisciu fora l’iris al forno e soprattutto venne chiamata ines?

Nonostante l’irrisorio costo di 15 centesimi, il popolino, spesso, non poteva permettersi di assaporare tale delizia, o magari quei 15 centesimi erano destinati ad altro.

Così, al pari delle sarde a beccafico o il cacio all’argentiera, le massare siciliane si inventarono la loro iris ri puverieddi, pigliando le moffolette ormai dure che i forni spesso regalavano, bagnandole nel latte, riempendole di ricotta ed infine, dopo averle spennellate con l’uovo, mettendole dentro il forno casalingo.

Quando anche la ricotta veniva a mancare, specialmente nel Catanese, al suo posto veniva fatta una crema di latte, simile ad un biancomangiare più lento, che diede origine in quella zona all’iris con crema bianca.

Questa ricetta popolare non passò inosservata ai pasticceri, i quali la perfezionarono creando l’iris al forno e dandole come nome quello che veniva usato dalle massare, ovvero ines (che venne successivamente storpiato nella maggior parte dei casi in Inis o Innes).

Ipotesi assolutamente non verificate, la cui unica fonte è la vox populi, riferiscono che Ines era il nome “iberizzato” dalla dominazione spagnola del nome Agnese, che a sua volta derivava dal greco antico Hagnos che indicava qualcosa di puro, candido e casto.

Quando si addentava il dolce ancora caldo, la ricotta, molle, colava ricordando il velo candido di una sposa, da qui quindi l’idea di purezza, come quella che S. Agnese volle preservare dalle avances del figlio del prefetto di Roma, portandola alla morte.
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