STORIA E TRADIZIONI

HomeNewsCulturaStoria e tradizioni

A Palermo c'è un vicolo dai mille nomi: perché si chiama (anche) "Salto di Pezzinga"

Questa "ruga" collega due note strade del centro storico di Palermo. A darle uno dei suoi tanti nomi una storia leggendaria, che ancora aleggia tra le balate

Gianluca Tantillo
Appassionato di etnografia e storia
  • 17 febbraio 2025

Via Lungarini a Palermo (foto Marco Amato, particolare)

C’è un vicolo a Palermo. Cioè, no, ce ne sono una marea. Ma ce n’è uno in particolare che canciò più nomi di quanti allenatori abbia cambiato la buonanima di Zamparini. Stiamo parlando di vicolo Lungarini, che collega via Alloro a via Lungarini, quella originale.

Anticamente veniva chiamata via Madonna Bella, per via di un quadro che si trovava in questa strada, trasferito poi nel palazzo dei marchesi di Lungarini, che diedero il nome alla strada.

Prima ancora, però, il vicolo si chiamava via Dei Passeggi, non perché ci fosse passìo ma perché ci abitavano Vito e Bartolomeo Passeggi, due ricchi commercianti che avevano la mania di comprarsi proprietà, tutte nella stessa via.

Nonostante ciò, i palermitani, quella ruga, continuarono a chiamarla "Salto di Pezzinga", per via una storia legata al pilu. Se siete interessati a sapere il perché potete continuare a leggere, altrimenti non vi cambia niente, campate u stissu.
Adv
È il Carnevale 1572, la Sicilia è sotto la dominazione spagnola. Ora, siccome il re non possedeva dono dell’ubiquità e neanche voli di Stato, metteva a capo di ogni colonia un suo delegato di fiducia per fare i suoi interessi: u viceré.

Nel periodo che ci interessa a noialtri, n’attocca come viceré Carlo Luigi D’Aragona Tagliavia, principe di Castelvetrano. No, non lo ricercava nessuno; anzi, era anche di facile reperibilità, tant’è che pure Manzoni, in riferimento all’emanazione di un bando contro bravi e vagabondi, lo citerà secoli dopo ne’ I promessi sposi: “l'Illustrissimo ed Eccellentissimo signor don Carlo d'Aragon, Principe di Castelvetrano […], pienamente informato della intollerabile miseria in che è vivuta e vive questa città di Milano, per cagione dei bravi e vagabondi, pubblica un bando contro di essi”.

Qualcosa mi dice che Carlo era tesserato alla Lega. La situazione in Europa non è delle migliori. Sono gli anni smossi della controriforma. Martin Lutero è morto da meno di un ventennio ma le sue dottrine infiammano ancora i dibattiti.

C’è chi lo vorrebbe santo, e chi avrebbe voluto vederlo re in vita; cosa però inattuabile altrimenti sarebbe diventato Martin Luther King. A Parigi la strage di San Bartolomeo: vengono massacrati migliaia di ugonotti per ordine di Caterina de’ Medici. Intanto, l’inquisizione semina il panico, Torquato Tasso sta scrivendo La Gerusalemme Liberata, la peste si risveglia e tra un paio di anni scatenerà una epidemia a Palermo. Va’, su per giù le stesse cose di oggi, ‘un ha canciato niente.

Comunque, proprio in questa Palermo, in vicolo Lungarini, in un bel palazzo nobiliare, abita Sancio Gravina, barone di Ganzaria. Sancio è sposato con la bella Camilla Vassallo, più giovane, appartenente ad un’altra famiglia importante, probabilmente imparentata con Stefano e Giammatteo, entrambi membri del Senato Palermitano.

Insomma, belli picciuli e belle proprietà! Tra le stesse strade si muove pure un altro signore, che con loro non ci appizza niente, almeno per adesso: siamo parlando di Pietro Pezzinga. Pitrino è quello che noi definiremmo un fimminaru.

È palermitano al 100%, però ha discendenze pisane, dalla famiglia Opezzinga. Non è raro a quei tempi avere avi pisani, genovesi, veneziani; neanche un secolo prima, infatti, le Repubbliche Marinare si sono insediate a Palermo, si sono comprate i titoli nobiliari e si sono fatte i loro quartieri, che chiamano nazioni.

Cu sta scusa, Pitrino Pezzinga, salta da fiore in fiore, facennu il palermitano con le straniere e u pisano con le palermitane. È rispettato, soldi non gliene mancano, ha un ruolo di potere all’interno della città, ma la testa gli fa pensare solo e soltanto ad una cosa: quella.

Se è noto il detto che recita: "Cumannari è megghiu ri futtiri", per lui, chiaramente, è totalmente l’opposto.

Un giorno di pioggia, a Carnevale, un po’ come Andrea e Giuliano di Kiss me Licia che incontrano Licia per caso, Pietro e Camilla si scontrano. È un colpo di fulmine, Camilla si innamora, Pitrino pure… Pitrino si innamora sempre di tutte. Cerca di levarsela dalla testa ma passano i giorni e la cosa non passa. Tenta di resistere.

«Cu chista no, è candida, è una brava picciotta. Levacci mano!». Ci rimugina, ma è categorico, ormai ha cambiato vita. «Basta, con le femmine ho chiuso, punto e basta! Troppe magagne.

A limite, una ogni tanto, solo una volta ogni morte di papa!». 1° maggio 1572, muore papa Pio V. A posto! In più si va incastrare il fatto che la bella stagione porta alla rifioritura dei campi, e Sancio Gravina n’avi assai campi. Il problema è che li possiede quasi tutti a Ganzaria (oggi San Michele di Ganzaria), vicino Catania.

In questo periodo specialmente deve recarcisi spesso, mansinnò i campieri manco le scocce gli fanno trovare. Ci va, e quando il gatto non c’è i Pezzinga abballano.

Ebbene, come è ovvio immaginare, succede quello che succede. Ma no ammucciati, appartati, lo fanno alla luce del sole, davanti a tutti, proprio in via Lungarini, nel palazzo di Camilla.

Come accade quando si tira troppo la corda, questa si spezza.

Un giorno, forse ci prurievanu i cuoinna, Sancio torna a casa prima del tempo. «Dov’è Camilla?» I domestici si ni lavano i manu. Sancio sente rumori provenire dalla stanza di sopra. Si insospettisce (era ura!). Camilla va in allarmi: «Oddio, è tornato mio marito!».

A Pitrinu gli acchiana la febbre. Va recupera tutto, ora! Cammisa, mutande, quasette, doublet, maniche staccabili, pantalone, mantello, spada (‘ne che era come ora, un paio di jeans e ‘na magliettina).

Pitrino però è lesto, queste cose lo eccitano, gli affinano l’intelletto. Sussurra una cosa all’orecchio dei Camilla, lei annuisce. A questo punto il Pezzinga, nonché Cavalier di Capo Passera, si porta alla finestra e le dà il segnale.

«Al ladro!» urla lei. Manco fosse Zorro, Pitrino prende un respiro, compie un salto alla Giammarco Tamberi, e riesce a raggiungere il tetto della casa di fronte, sorvolando in larghezza tutto il vicolo, scomparendo nell’oscurità.

Da quella notte, il salto di Pezzinga rimase impresso a fuoco nella memoria come una leggenda, dando il nome a quella stada. Sancio Gravina, quella stessa notte, invece capì che l’amore non si può comprare, ma per tutto il resto c’è Mastercard.
Ti è piaciuto questo articolo?
Seguici anche sui social
Iscriviti alla newsletter
Cliccando su "Iscriviti" confermo di aver preso visione dell'informativa sul trattamento dei dati.

GLI ARTICOLI PIÚ LETTI