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I palermitani e la sindrome da aeroporto: tutti i sintomi di questa (bella) malattia

Dalla preparazione al viaggio all'applauso passando per la terrazza mozzafiato dello scalo di Punta Raisi: le persone di Palermo quando viaggiano si riconoscono

  • 13 aprile 2019

La terrazza sul mare dell'aeroporto "Falcone Borsellino"

Io sono quasi sicura che la metà della popolazione palermitana, me compresa, soffra della sindrome da aeroporto.

È come se non ci fossimo ancora abituati a viaggiare e, tutte le volte in cui siamo costretti a prendere un volo, siamo impacciati. Nella mia esperienza da viaggiatrice, tutte le volte in cui mi sono ritrovata in voli diretti per o provenienti da Palermo ho sempre riscontrato le medesime caratteristiche, molte delle quali, mi strappano sempre grandi sorrisi: adesso si che sono casa.

Anzitutto la preparazione al volo. Continuiamo ad andarci con grande anticipo, perché rigorosamente vogliamo far colazione lì, al primo piano, ed affacciarci ad ammirare il mare da quella splendida terrazza. Sul punto è bene spendere almeno qualche parola.

Non ho di certo girato il mondo, ma sfido molti aeroporti ad avere una terrazza vista mare come quella.

Ancora il metal detector non l’abbiamo capito del tutto. Ci ostiniamo a voler passare con gli stivaletti e a portare oggetti liquidi "che fa, una bottiglia di limoncello fatto in casa non la devo portare a mio nipote?" Con ansia indossiamo la plastichina ai piedi e tiriamo un sospiro di sollievo se al passaggio non suoniamo- si perché siamo noi a suonare.
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Momento immediatamente successivo: il gate. Lì è la meraviglia. Non hanno appena fatto in tempo ad aprirlo che siam già tutti lì, in piedi, in trepidazione, i primi della fila a volersi imbarcare.

Un fenomeno davvero inspiegabile che narra di diverse leggende: così non c’è rischio che t’imbarchino il bagaglio oppure così mi scelgo il posto o per finire "mi scoccia aspettare il turno", come se l’aereo non dovesse aspettare tutti i suoi passeggeri.

Una volta sull’aereo, tra una tattica e l’altra ed accordi politici quasi di rilievo nazionale per ottenere il tuo posto che, nonostante l’assegnazione casuale, hai comunque ottenuto con successo, tra un segno della croce ed una battuta indelicata, tra tetris vari per avere il tuo bagaglio esattamente sopra la testa, come se, qualcuno sull’aereo te lo potesse rubare, finalmente, si parte.

Si parte e c’è sempre qualcuno che, nonostante le mille raccomandazioni dell’equipaggio, chiama l’hostess nella fase di decollo, costringendola a "ricordare ai passeggeri di non potersi alzare fino a quando la fase di decollo non si sarà conclusa".

Una volta atterrati, nel momento esatto in cui l’aereo poggia le ruote sulla pista d’atterraggio, immediato è il click della cintura di sicurezza che si apre, nonostante la raccomandazione di tenerla allacciata "fino a quando l’apposito segnale luminoso non si sarà spento" e l’accensione dei telefoni.

Perché, come dicevo, non ci siamo abituati. Atterrare ed arrivare sani e salvi per noi è ancora qualcosa di eccezionale, un mezzo miracolo che siamo costretti a comunicare immediatamente ai nostri cari. Anche perché, diciamocelo chiaro, non è che in un’ora di volo ci saranno arrivati chissà quanti messaggi importanti di lavoro!

Vi ricordate l’applauso sui voli Ryanair? Quello era l’emblema vero e proprio della sindrome da volo del palermitano.

Purtroppo questa prassi è ormai quasi in disuso, ma quando mi capita ancora ora di sentire timidi tentativi di far partire un grande applauso per il pilota che ci ha fatto atterrare sani e salvi, io sono contenta e mi accodo volentieri. Sarà anche una cafonata, ma che male c’è a gioire in ogni caso di esser vivi?

Un altro passo di vitale importanza della sindrome da aeroporto è che non appena l’aereo è atterrato, dobbiamo alzarci immediatamente, anche se tutte le uscite sono ancora chiuse, noi ci alziamo ed attendiamo stretti come sardine di poter defluire. Ma perché non riusciamo a rimanere composti, seduti ed in attesa del nostro turno? Mistero.

Ultimo ma non ultimo, i meravigliosi commenti una volta approdati in terra straniera: "che brutto tempo, come Palermo non ce n’è" diversamente "che bel tempo, abbiamo portato il sole palermitano a Milano".

Rigorosamente, una volta arrivati all’aeroporto, dobbiamo prenderci il caffè, anche se l’abbiamo preso appena un’ora prima nella terrazza, fosse solo per poter dire "a Palermo il caffè è più buono" e così tutto il resto del viaggio.

Stessa procedura pedissequamente si esegue al ritorno, dove però c’è una differenza fondamentale. Al di là dello spettacolo dell’atterraggio all’aeroporto Falcone –Borsellino che ti regala una vista mozzafiato ed un atterraggio da batti cuore considerata la sensazione di atterrare in mare per poi toccare terra all’improvviso, senza accorgertene, la bellezza è che c’è sempre qualcuno che ti aspetta.

Che sia proprio lì, nella piazza di uscita o con le quattro frecce in autostrada per evitare di prendere la multa in aeroporto, a Palermo, c’è sempre qualcuno che ti aspetta.
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