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Visse metà della sua vita nel manicomio di Palermo: Maria, voce dei matti della "Real casa"

"Non voglio morire di… manicomio…" scriveva Maria Ermenegilda Fuxa, rinchiusa nell’ospedale psichiatrico Pietro Pisani. Nella poesia trovò la sua salvezza. Questa è la sua storia

Maria Oliveri
Storica, saggista e operatrice culturale
  • 24 maggio 2022

La poetessa Maria Fuxa

"Non voglio morire di… manicomio…" scriveva Maria Ermenegilda Fuxa, rinchiusa, dopo la morte dei suoi genitori, come degente, nell’ospedale psichiatrico Pietro Pisani di Palermo conosciuto anche come Real casa dei matti. Esile, fragile, gentile, Maria declamava timidamente le sue poesie con un filo di voce. Nel saggio “La voce della Crisalide” (2019) l’autrice Maria Teresa Lentini ha voluto ricordare la poetessa siciliana, spesso accostata per la struggente esperienza del manicomio alla più nota Alda Merini.

Maria Fuxa ha vissuto in ospedale psichiatrico più di 50 dei suoi 90 anni e nella tempesta della follia ha trovato rifugio solo nel porto sicuro della poesia: “Mi resti ancora tu, dolce poesia... strappami da questa carezza d’ansia che mi distrugge”.

Maria Ermenegilda Fuxa nasce ad Alia (un piccolo centro in provincia di Palermo) il 12 dicembre del 1913. Il padre Edgard è un insegnante e la sua famiglia, con questo particolare cognome, è di origine maltese. Maria viene alla luce insieme alla sorella Nicoletta, mentre la loro terza gemella non ce la fa, muore.
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Il rapporto di odio e amore con Nicoletta condizionerà la vita della poetessa, portandola anche alla perdita della ragione e alla prigione del manicomio. La competizione tra le due bambine segna già la loro prima infanzia, perchè si contendono sin da subito l’amore dei genitori. La famiglia si trasferisce presto a Palermo, per permettere alle figlie di poter frequentare la scuola. Le due sorelline Fuxa sono sveglie e intelligenti, ma molto diverse l’una dall’altra. Maria è una bambina introversa, solitaria e silenziosa e Nicoletta, determinata, sicura di sé, spigliata e chiacchierona, le fa ombra… Il loro è un rapporto difficile e a complicarlo si aggiunge anche la scuola, che aumenta la competizione tra le due sorelle in perenne conflitto.

Le gemelle frequentano (sempre insieme) le elementari al Collegio del Giusino e le medie all’istituto S. Anna, infine si diplomano maestre all’istituto magistrale De Cosmi.

In questo periodo Maria è felice, perchè sembra prender forma per lei il futuro che ha sempre sognato: un matrimonio d’amore, dei figli, l’insegnamento...I suoi sogni si infrangono bruscamente quando all’improvviso il fidanzato la lascia e lei scopre con orrore che Nicoletta è riuscita a portarle via l’amore della vita: i due hanno intrecciato segretamente una relazione! È stata la sua stessa carne ad averla ferita a morte!

Maria è devastata, (come ammetterà in seguito) “si sente a brandelli”: l’innamorato le è stato rubato ingiustamente…”. Molti anni dopo racconterà il doppio tradimento, del fidanzato e della sorella nei versi della poesia Amuri miu luntanu (1980): “Tu eri tutta la me vita/ tu eri la tutta la me gioia/ ma tu, amuri miu, amuri beddu/ ca na soru snaturata mi tradisti./Di lu cori la paci mi livasti,/soru scillirata, senza sangu na li vini.” (Tu eri tutta la mia via, tu eri tutta la mia gioia. Ma tu, amore mio, amore bello, con una sorella snaturata mi hai tradito. Mi hai tolto la pace dal cuore/ sorella scellerata, senza sangue nelle vene.)

Per la disperazione la giovane donna tenta il suicidio, gettandosi dal quarto piano, ma non muore, riporta solo una frattura al piede. Al gesto estremo segue però la diagnosi di schizofrenia e un lungo ricovero in clinica psichiatrica. Una volta dimessa dall’ospedale, per ironia della sorte, viene affidata proprio a Nicoletta, che intanto si è sposata con l’ex fidanzato di Maria e vive a Milano. Maria prova a perdonare entrambi ma i rapporti ormai sfilacciati non si riescono più a ricucire: così lascia Milano e torna in Sicilia.

Si rifugia nella lettura e frequenta assiduamente le sale della Biblioteca Nazionale. Intanto scoppia la guerra e quando Palermo viene duramente bombardata Maria vorrebbe fuggire e mettersi in salvo ad Alia, ma non ne ha i mezzi e vaga in preda alla disperazione tra le macerie della città. Il suo delicato equilibrio mentale crolla davanti all’orrore della devastazione, ai patimenti della fame, all’angoscia della paura, alla vista della morte di tanti innocenti… Cade preda di deliri e allucinazioni, nega di avere una sorella. Non riesce più a badare a se stessa, smette di nutrirsi e di lavarsi. Un nuovo ricovero si fa dunque inevitabile e Maria questa volta viene dichiarata incapace di intendere e volere.

Quando comincia a star meglio in manicomio le viene affidato il compito di riordinare gli archivi. Di giorno si dedica a questo lavoro con precisione e diligenza, in una stanzetta adibita a ufficio (che in futuro si riempirà dei tanti premi dei concorsi di poesia) ma di sera deve tornare nel dormitorio con le altre pazienti e allora i vecchi fantasmi prendono il sopravvento, le ossessioni tornano a tormentarla nelle lunghe ore, cariche di ombre, della notte.

Tra gli anni 70 e 80, superata la fase più critica della malattia, Maria trova nella poesia una via di fuga dalla sua drammatica quotidianità. "Io mi sono aggrappata… alla poesia… La poesia mi ha salvato la vita" afferma in un’intervista. La sua prima raccolta di versi viene pubblicata nel 1980 col titolo: Voce dei senza voce e racconta con amarezza, la sofferenza e la solitudine di coloro che vengono definiti “matti”.

Il manicomio è luogo di sofferenza, di dolore, è una gabbia di solitudine dove Maria ha incontrato l’oblio, il silenzio, il vuoto. Ad ogni accenno di ribellione si viene storditi con le medicine. La poetessa denuncia le atrocità degli ospedali psichiatrici che disumanizzano i pazienti attraverso cure come l'elettroshock, le camicie di forza e il coma insulinico.

Il volume viene molto apprezzato e Maria partecipa a numerosi concorsi di poesia, inoltra esce spesso dal manicomio, seppur sempre accompagnata (indossando un completo elegante e la borsetta al braccio) per raccontare ai ragazzi delle scuole la sua esperienza. Parla della sua poesia ma anche della condizione di internata. È piccola, fragile e trasparente come quella “carta velina” su cui scrive a mano o a macchina i suoi versi, dettati dal cuore. Nel 1997 l'ospedale psichiatrico dove ha trascorso gran parte della sua esistenza chiude e la poetessa viene trasferita in una casa famiglia, dove resta fino alla sua morte avvenuta nel 2004.
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