PERSONAGGI
Visionario e ironico, amato da Sciascia: chi era il pittore palermitano che scelse Marsala
Dopo aver viaggiato a lungo e senza perdere il rapporto con la sua città, aveva scelto il trapanese per vivere. È morto nel 2022, primo caso di West Nile in Sicilia
Un dettaglio de "Il giardino delle delizie" di Momò Calascibetta
Il siciliano Antonio “Momò” Calascibetta, scomparso lo scorso anno all’ospedale Sant’Antonio Abate di Trapani, dove è stato ricoverato per circa due mesi, a causa del virus West Nile, primo caso in Sicilia, contratto con la puntura di una zanzara, era capace di interpretare la realtà senza infingimenti, irriverente e critico nei confronti delle figure e degli aspetti più oscuri o grotteschi del nostro mondo.
Proprio a Marsala, in un antico edificio che aveva restaurato dopo il suo rientro in Sicilia, in seguito a un lungo soggiorno a Milano, città con la quale aveva mantenuto i contatti e dove aveva portato con sé l’impronta identitaria di Palermo, aveva deciso di vivere.
«L’arte è un modo di restituire quello che si riceve», diceva, mentre uno dei temi principali dei suoi dipinti è stata la critica sottile e incisiva a un certo potere costituito, così come evidenziò Leonardo Sciascia, suo amico ed estimatore.
Quando scomparve, a tracciarne un ricordo immediato fu anche lo scrittore e poeta dialettale marsalese Nino De Vita, riconosciuto come una delle voci più interessanti e rigorose della poesia contemporanea.
«Anni addietro Momò Calascibetta venne a trovarmi, qui nella mia casa di Cutusio. Assieme alle nostre mogli, a Enza, a Giovanna, dopo pranzo, andammo a visitare i luoghi della mia contrada. Si può dire che se ne innamorò. “Mi viene voglia di comprare una casa e venirmene a stare qui”, mi disse.
A me sembrò una frase detta così, al momento, solo perché preso dall’entusiasmo. E invece davvero acquistò una vecchia casa, abbandonata; poi da solo, con le sue mani, e giorni e giorni e mesi di lavoro, la restaurò.
Quella vecchia casa diventò bellissima e Momò l’abitò, divenne mio vicino di casa. Ora Momò è morto, non c’è più. È rimasta l’opera. E l’opera di Momò che più si conosce è quella a olio, si conosce la sua pittura.
Ma Momò era anche un incisore, un ottimo incisore, anche se poche, di incisioni, ne ha realizzate. Ne pubblico qui una, che mi ha donato: Guttuso, Sciascia e Buttitta seduti su una panchina, che conversano».
Si commuove la moglie, Enza Lauricella, nel raccontare che «la pittura era il suo sogno, perché geniali erano le sue mani, fin dalla scuola elementare, anche se i genitori lo stornavano sempre verso altro».
Si erano incontrati all’Università, lei era di Canicattì, interprete del canto siciliano arcaico, che aveva cantato anche in teatro, e ha sposato i suoi sogni, come lui sposò quelli di lei.
Dopo la residenza a Milano arrivarono in Sicilia, e conobbero Mozia, che per loro era “tramonti, luce, pesce fresco”, un luogo dove respirare la suggestione della città in cui si stabilirono per dieci anni, nella casa in linea d’aria con l’isoletta fenicia, e dove Momò Calascibetta compose il dipinto “Il giardino delle delizie”.
«Mio marito non aveva mai avuto un morso di zanzara in cinquant’anni – dice Enza Lauricella – e invece alla fine se n’è andato così, e per me la sua perdita è enorme. Lo immagino a danzare nell’universo, ora…».
La città di Marsala ha voluto celebrarlo con una mostra antologica che dagli anni Ottanta a Milano arriva alle ultime tavole del 2020. Il curatore è Enrico Caruso, architetto e già direttore dei Parchi archeologici di Morgantina, Monte Iato, Selinunte e Lilibeo-Marsala, oltre che ex Soprintendente dei Beni Culturali e Ambientali di Trapani.
La mostra è visitabile al Convento del Carmine fino al 4 giugno, e si intitola “L’ironia del disincanto”; è la prima a pochi mesi dalla prematura scomparsa del maestro, organizzata dall’Ente Mostra di Pittura assieme all’associazione ArtMomò e con il patrocinio del Comune.
Visionario e grottesco, ironico e irriverente, mirabile sceneggiatore e maniaco del dettaglio di una pittura al contempo colta e pop, l’artista nato a Palermo, scelse così Marsala, il suo mare, i suoi vibranti tramonti sulle saline, di ritorno in Sicilia dopo trentacinque anni trascorsi a Milano.
Calascibetta era architetto per formazione e artista autodidatta per vocazione, e offriva uno sguardo critico verso gli eventi che lo circondavano e verso cui guardava attraverso la sua sottile e profonda vena ironica e, a volte, anche scanzonata.
Della sua arte hanno scritto innumerevoli critici: da Sciascia, che ha definito la sua pittura come “il racconto dettagliato dell'imbestiamento di una classe di potere già sufficientemente imbestiata nella più lata avarizia e nella più lata rapacità", a Gesualdo Bufalino, a Philippe Daverio, grande estimatore dell’arte di Momò.
Lo stimava al punto da aver voluto l’opera Il gelato di Tarik come scenografia della popolare trasmissione televisiva Passepartout (Rai3, anno 2005), e che nel 1994 per "Piazza della Vergogna", dedicata al celebre complesso monumentale di Piazza Pretoria a Palermo, spiegò come Momò Calascibetta rappresentava quelle immagini «nella forza calma dei suoi personaggi, nella sua dolcezza rude con la potenza delle sue abilità grafiche».
Il sindaco di Marsala, Massimo Grillo, ha manifestato il piacere e l’onore di ospitare in città prima mostra dedicata a Momò a meno di sei mesi dalla sua scomparsa.
«Calascibetta è un figlio illustre della nostra terra che nel silenzio magico del suo studio di contrada Cutusio ha detto molto su tutti noi, muovendosi con passo leggero in un immaginario sospeso fra mito e realtà».
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