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Un tesoro nascosto nell'isola di Montecristo: chi ci colpa? Un santo (e vescovo) di Palermo

La storia del Conte di Montecristo la conosciamo tutti. Quello che però non sapete è che in questa storia c'è lo zampino di un vescovo di Palermo, nato nel 400 d.C., che si chiamava Mamiliano

Gianluca Tantillo
Appassionato di etnografia e storia
  • 30 novembre 2020

La tomba di San Mamiliano

Un giovane ufficiale di nome Edmond Dantes sta per essere promosso (senza raccomandazione) capitano della Pharaon, una nave della flotta francese. Felice e contento per l’imminente promozione corre dalla sua ragazza che porta il nome di una macchina sportiva, Mercedes, per comunicagli che grazie al nuovo contratto a tempo indeterminato potranno sposarsi senza dovere ricorrere alla classica fuitina.

E siccome uno più uno fa sempre due, a quel cornutazzo di Danglars , che non è il figlio segreto Dart Fener di "Guerre Stellari" ma lo scriba di bordo, la promozione di Dantes gli resta nel cannarozzo come l’ultimo morso di pane e panelle a secco quando finisce la birra Forst.

La strada è solo una: fargli appizzare il posto fisso. Per fare questo cerca l’aiuto del cugino di Mercedes che porta il nome di un personaggio di una telenovelas argentina di serie B, Fernand Mondego, che convinto del fatto che non "c’è cosa più divina che sposarsi la cucina" (e l’ho detta pulita) la vuole a tutti i costi per sé.
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Dato che la storia non è già abbastanza intrigata, Alexander Dumas (è lui lo scrittore) fa entrare in scena il vicino di casa invidioso, perché il vicino di casa invidioso c’è sempre, e tutti insieme scrivono una lettera anonima accusando Dantes di essere bonapartista (che era una parolaccia tipo populista), che va a finire nelle mani di un magistrato affamato di carriera che lo condanna all’ergastolo.

Così Dantes viene condotto su un’isola tipo Alcatraz dove c’è un carcere di massima sicurezza. A un certo punto lo ritroviamo invecchiato e con la faccia di Gerard Depardieu (protagonista del più famoso film iconografico sull'argomento, ndr) in compagnia del suo collega di reclusione, l’abate Faria, a cantare “dintra sta cella nun ce voglio stare” raccontandosi sempre le stesse cose.

Prima di morire, però, l’abate Faria rivela a Gerard Depardieu che c’è un tesoro nascosto nell’isola di Montecristo. Allora Dantes sostituisce il corpo dell’abate con il suo e, una volta gettato in mare, va a recuperare il suddetto tesoro, diventando così ricchissimo, e una volta ribattezzatosi con il nome di Conte Montecristo, vivrà con un solo scopo: la vendetta.

Va bene, la storia del Conte di Montecristo la conosciamo tutti, quello che però molti non sanno è che il tesoro in quell’isola glielo aveva messo un palermitano. Un palermitano? Proprio così, un palermitano. Ci colpa infatti San Mamiliano nato a Palermo circa nel 400 d.C.

Cosa fa non lo sappiamo, dove studia manco, quello di cui siamo sicuri è che Mamiliano diventerà vescovo di Palermo dal 455 al 479. Purtroppo è sfortunato, scoppia una delle partite di Risiko più sanguinose di sempre conosciuta come "invasioni barbariche" ma senza Daria Bignardi.

E così, Mamiliano manco fa in tempo a battezzare Ninfa (proprio la nostra santa) che Gianserico, re dei Vandali, se lo prende in antipatia esiliandolo in Africa. Per sua buona sorte lo seguiranno proprio i discepoli Ninfa, Eustochio, Gobuldeo, Lustro, una persona veramente solare, Rustico e Proculo, che forse si chiamava così perché era quello più fortunato di tutti. Ed è forse proprio l’influsso di Proculo che salva Mamiliano perché qualcuno lo vede, dice “talè che bello!”, lo riscatta e lo libera.

Mamiliano a quel punto, magari sdegnato dalla convivenza forzata, acchiappa e se ne va in Sardegna a fare l’eremita perché proprio non vuole vedere più nessuno. Da lì, poi, si fa il giro dell’arcipelago toscano, isola del Giglio compresa, fondando via via vari monasteri, fino a quando non termina la sua vita nell’isola di Montecristo.

Da quel momento in poi si sono sempre moltiplicate leggende e dicerie su un presunto tesoro nascosto sotto la chiesa a lui
dedicata a Montecristo. Perfino il granduca di Toscana nel 1500 circa ne fa menzione sconsigliando a tutti di navigare nelle vicinanze dell’isola perché ci sono più pirati che scarola.

Nel 2014 viene veramente trovato un piccolo tesoro sotto la chiesa del palermitanissimo San Mamiliano a Sovana, un borgo in provincia di Grosseto, dove vengono rinvenute 498 monete d’oro risalenti all’epoca di Leone I. Pure a Palermo c’è una
chiesa dedicata a San Mamiliano sicuramente meglio conosciuta come Santa Cita.

Siamo nel XV secolo, veneziani, amalfitani, pisani, genovesi, lucchesi, di soldi se n’erano fatti assai a Palermo, e tanti altri continuavano a farsene, sotto gli occhi dei nobili che di lavorare manco ammazzati ma di godersi le ricchezze altrui erano maestri. E cosi, visto che “chi compra sale e chi vende scende”, questi selvaggi che venivano da chissà dove, prima si erano comprati tutta la Loggia edificando chiese dedicate ai loro Santi, poi costruirono i palazzi più belli di tutta Palermo ed infine anche i titoli nobiliari s’arrivarono a comprare.

E giacché ai nobili, che erano rimasti poveri e pazzi, non potevano darsi pace, cominciarono a dare in spose le primogenite a questi nuovi ricchi che, fottendosi insieme alle figlie pure i loro titoli nobiliari, in cambio, gli riempivano le panze.

Poco più sopra di dove attraccavano le navi di questi belli spicchi c’era il convento di Santa Cita: anche questo si erano comprati i lucchesi, cedendo poi la struttura ad una congregazione di padri domenicani che, siccome quest’occhio non può vedere l’altro, si erano distaccati dal principale convento di San Domenico per evitare di prendersi pure loro a calcagnate.

Adesso che sapete su per giù come andata, se vi è partita la mala pensata, non prendete pala e piccone per andare a scavare sotto San Mamiliano perché vi mettono le manette e vi portano in "villeggiatura".
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