CULTURA
Un rincoglionito aulico è un "allallato": la Sicilia degli arabi e quello sfottò sopraffino
Vi siete mai chiesti da dove deriva questa parola aulica e con tutte quelle "elle" che fanno ballare la lingua dentro la bocca? Questo è l'articolo che fa per voi
«Gianlù, non ti vedo bello bello! Cheffà, dormi qua questa sera?» mi fa il mio amico. «No, ormai ho detto ai miei nonni che dormo da loro». Ora, strada facendo, dopo aver ingurgitato tutte le porcherie sopracitate, capita che (e chi ci è passato lo sa), come dice Renato Pozzetto, "ti scappa la cacca".
E così, un po' perché non ce la fai più, un po' perché acceleri il passo, ti viene quella camminata tipo marcia da accademia militare che ha come unica funzionalità quella di portarti a casa prima possibile.
Cerca le chiavi del portone, ascensore bloccato, sali le scale come la bambina dell’esorcista (perché quando si tiene si tiene) e, finalmente, la soave russata di tua nonna ti da il benvenuto.
A quel punto il canto si alza angelico verso il firmamento: “Ma com’è allallato è!?” Ecco, il punto è che mio nonno aveva l’abitudine, la notte, di andare in bagno con la luce spenta, dunque quella volta, come ai vecchi tempi, si trovò suo nipote seduto sulle ginocchia.
Quella parola, Allallato, da quel momento in poi m’accompagnò come la coperta di Linus. Stupido, distratto, poco attento, rincoglionito, falla come vuoi sempre cucuzza è (zucchina). Si, va bene, ma da dove deriva questa parola aulica dal suono sopraffino e con tutte quelle “elle” che fanno ballare la lingua dentro la bocca?
Pure qua, dobbiamo tornare indietro di mille e passa anni e, precisamente, alla dominazione araba in Sicilia. Ora, per dominazione si intende dominazione.
Questi non sono venuti con i pullman in un viaggio organizzato da qualche tour operator per le nozze d’argento. Questi sono venuti con le navi, le armi e le provviste perché non si trattava mica di andare a dormire in qualche b&b, si trattava di conquistare la terra pezzo pezzo, città per città, cafuddando colpi in testa a chi non si piegava.
E non è mica facile fare i conti con una cultura diversa dalla tua, dove si parla un’altra lingua e ci sono altre altre usanze.
Qualche anno fa dei ragazzi siciliani in gita a Londra stavano per essere arrestati per terrorismo perché una volta trovata una caffetteria che faceva il caffè italiano qualcuno si è messo ha gridare “É ddà u bar!”; immaginate la paura della gente a sentire quelle parole (non è vero, è una fesseria).
Comunque, esempi giusti o no, questo serve a far comprendere che se i processi conquista non si portano a termine dall’oggi al domani, figuriamoci i processi di contaminazione linguistica come nel caso della nostra Sicilia. Lo scrittore Gaetano Basile (a fine articolo trovate una petizione per chiederne la santificazione da vivo), facendo due conti, ci fa sapere che ad occhio e croce per conquistare la Sicilia, gli arabi, ci hanno messo 128 anni (Palermo fu conquistata nel 831).
Questo significa che partirono i nonni e ci vollero almeno quattro generazioni di conquistatori che, molto probabilmente, oltre l’arabo, parlavano pure loro la lingua siciliana del tempo perché qua erano nati. A conquista avvenuta, calmate un po’ le acque, tutto dobbiamo immaginare tranne che gli arabi avessero trasformato Palermo in una specie di Abu Dabhi del tempo.
Anche in epoca araba Palermo continuava ad assere città multietnica dove convivevano cristiani, mussulmani ed ebrei; e, se pur con qualche limitazione, le chiese continuarono a restare aperte. Il fatto è che gli arabi avevano pensato di dare agevolazioni e sgravi fiscali per coloro che si convertivano all’Islam.
Se oggi stesso, in periodo pandemico, arrivasse una popolazione sconosciuta a conquistarci che ha per Dio Gigi Marzullo e promettesse sgravi fiscali e decreti ristoro immediati, state tranquilli, dopo domani saremmo tutti marzulliani.
Questo è un po’ quello successe ai cristiani durante la dominazione araba e agli ebrei durante l’editto di espulsione del 1492: si convertivano per convenienza e di nascosto continuavano a professare la loro religione.
Si, c’era pace, ma non è tutto oro quello che luccica. Capitava spesso e volentieri che scoppiavano scannate di quelle giuste per cui volavano colpi di tappine (ciabatte), cucchiai di legno, sputazzate e kebab. Insomma, siccome tutto il mondo è paese, succedeva che, a periodi, quest’occhio non poteva vedere l’altro, e rari non erano gli insulti o gli sfottò.
La parola “allallato”, di cui discutevamo prima, probabilmente era una uno di questi e non c’è niente di strano perché non sarebbe né il primo né l’ultimo. La radice del termine di fatti è “Allah”. E sempre probabilmente si trattava di uno sfottò da parte dei cristiani che dicendo allallati si riferivano alla distrazione generale dei musulmani che sembravano mettere al centro del loro mondo solo stu “Allah”.
Se poi volessimo analizzare un po’ più a fondo la cosa dovremmo considerare, ma questo è solo il mio parere, che ci sono due parole che iniziano con la stessa radice: allallato, che sta per "disattento", e allafannato, che sta per "affamato".
Mi verrebbe da pensare che questi arabi, che tante cose hanno apportato alla Sicilia e al mondo intero, quando si trovavano ad affrontare il Ramadan, che è il mese di digiuno per commemorare la rivelazione del Corano (e non vi fate meraviglia perché i cristiani durante la quaresima non mangiano la carne), dovendo fare digiuno dall’alba al tramonto, erano veramente alllallati perché manco potevano stare in piedi.
Di contro, finito l’orario digiuno, o addirittura il Ramadan, si mettevano a mangiare come se non ci fosse un domani e quindi come degli allafannati. Molto più offensiva era la parola “marrani” che i cristiani usavano sempre in modo dispregiativo per indicare gli ebrei e che in spagnolo significa “maiali”.
Oggi per fortuna sono passati più di mille anni e fra di noi siciliani allallati ce ne stanno assai, soprattutto nei partiti politici, e allafannati ancora di più, sempre nei palazzi della politica.
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