STORIE
Un "polentone doc" rapito da una carusa: Enrico Saravalle, il giornalista che ha scelto la Sicilia
Nel suo portfolio annovera testate giornalistiche storiche iniziando da “Cucina italiana”. Approfittando della sua passione per il viaggio di scoperta lo abbiamo intervistato per farci raccontare la sua Sicilia
Enrico Saravalle
In realtà ne esiste anche un terzo che appartiene a tutti quelli che pur non avendo nessun legame con questa terra, per un qualsiasi motivo di vita la raggiungono e, improvvisamente, se ne sentono parte scoprendo di avere un'anima profondamente sicula: sono i siciliani per vocazione!
Uno di questi è sicuramente Enrico Saravalle giornalista narratore di viaggi con certificato veneto di nascita ma siculo per adozione, arrivato in Sicilia qualche decennio fa per amore senza sapere che si sarebbe “maritato” con due spose: una era la carusa e l’altra la sua terra.
È uno dei tanti folgorati - per usare una nota metafora - nonostante consci che alla strepitosa bellezza e inimmaginabile cultura stratificata sopravvissute miracolosamente, fanno da specchio contraddizioni problematiche spesso al limite dell’immaginazione, o della fantascienza se vogliamo.
E poi ancora Donna Moderna, Sale e Pepe, Bell'Italia, Linkiesta e Dove lo storico magazine con inserti e guide dalle cui pagine Enrico si affaccia spesso sulla Sicilia - ma non soltanto ovviamente - con racconti densi di spunti e suggerimenti.
Tratteggia e disegna i luoghi che attraversa e ama assaporare in tutti i sensi, dalla cucina alla cultura, gli abitanti e le curiosità con i quali colora i suoi testi che rappresentano mini guide di viaggio per appassionati.
Approfittando della sua passione per il viaggio di scoperta unita ad una innata schiettezza, lo abbiamo intervistato per farci raccontare la sua “Sicilia” quella dalla quale va e viene dal profondo nord, dal punto di vista autentico e sincero di chi la racconta con l’occhio clinico del reporter, il cuore del viaggiatore e l’obiettività di chi scrive per suggerire quella sinestesia che trasforma una destinazione in un desiderio di viaggio.
Intanto i primi ricordi, quegli imprinting che lo hanno marchiato nel cuore: «immaginate io “un polentone milanese doc” – così come si definisce scherzando – seduto a tavola insieme ad una moltitudine di parenti nella lontana Castelvetrano degli anni settanta mentre, dalla cucina, scorrono pietanze venute fuori da ricettati locali dai sapori intensi e assolutamente sconosciuti, la figura di nonno Vincenzo che da sotto la sua coppola racconta storie e aneddoti, lui che ha fatto la guerra, il paesaggio immaginifico di Selinunte e le estati passate a scoprire i dintorni tra Trapani e Agrigento».
La sua storia d’amore con la Sicilia inizia più o meno così da qui, prende forma la curiosità per questo posto e per tutto quello che lo rappresenta a partire da quel valore aggiunto che sottolinea “si riconduce alle persone unite ad uno stile di vita e ad un paesaggio che hanno dell’incredibile, qualcosa che rapisce la vista e il cuore che ti catapulta in un’altra dimensione”.
Il pretesto di un itinerario alternativo fuori dal contesto marittimo, qualche anno fa mi ha condotto all’interno interno ed è qui che qui ho scoperto quello che “la Sicilia non solo mare” nasconde uno scrigno di tesori dove si trovano le vere origini di questa isola, lontane dalla costa e da quello stereotipo che oggi non rappresenta più una esclusiva, semmai l’alternativa.
Ci sono altre destinazioni al di la di quelle note che regalano scenari capaci di emozionare, di realizzare ricordi di viaggio legati ad esperienze prodotte da persone che si sono inventate un modo nuovo di fare accoglienza, legato alle risorse locali quasi dimenticate e rivalutate che hanno innescato un turismo fatto di viaggiatori con piccoli numeri, lontani dai grandi flussi massificatori che lasciano davvero poco al territorio.
Ha qualche difficoltà a rispondermi quando gli chiedo se ha un suo luogo del cuore, o uno da consigliare assolutamente da non perdere.«È davvero difficile fare una scelta in un universo così denso di luoghi e di varietà, di differenze ma sicuramente tre posti sono significativi di questa straordinarietà: il teatro di Andromeda scaturito dal genio pastorale di Lorenzo Reina a Santo Stefano di Quisquina che davvero rapisce per il significato che rappresenta, per la collocazione geografica e il paesaggio che lo circonda, la luce dentro la quale è immerso che lo rendono fuori dal mondo in una Sicilia primordiale e atavica.
Il cretto di Burri a Gibellina, un’opera di land art al di fuori di ogni possibile immaginazione, immerso nella campagna trapanese la dove riposano i resti del paese raso al suolo dal terremoto del 1968, portandosi via vite e ricordi, lasciando una memoria oggi affidata a quel bianco abbagliante che folgora la vista di chi arriva.
La riserva naturale della Foce del Fiume Belice tra Menfi e Castelvetrano, dove si rimane affascinati dal paesaggio di una bellezza rarefatta, uno scenario incastonano tra più elementi nel contesto naturalistico delle dune e dell’acqua che scorre tra la vegetazione, un vecchio ponte in ferro residuo della vecchia ferrovia a scartamento ridotto che oggi rimane sul fondo del paesaggio come addormentato nella luce abbagliante della costa marina.
Concludiamo una chiacchierata fiume che, purtroppo, non può essere interamente riportata ma che finisce con una delle battuta che rende visibile anche la sua parte goliardica «Per quanto ho scritto della Sicilia e ancora farò prossimamente - continua scherzando - dovrebbero darmi la cittadinanza onoraria!
L’idea della mia Sicilia è un immagine “teneramente naif” ed in questa attribuzione davvero riporto tutto il mio amore e la considerazione per i siciliani ai quali però, non faccio sconti per la gestione del territorio e più volte mi sono intromesso alzando la voce contro amministratori e gestori, con l’unico scopo di incentivare, di incoraggiare un cambiamento efficace, una critica la mia sempre costruttiva e mai denigrante.
Del resto, considero che la Sicilia abbia davvero fatto un balzo in avanti grazie a quei piccoli imprenditori, a quei siciliani non partiti o addirittura tornati che hanno scommesso a loro spese sul territorio e oggi grazie a loro la Sicilia che racconto è davvero emersa da anni di oblio».
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