STORIE
Un contadino eroico in Sicilia: rileva l'agrumeto di famiglia e compie un "miracolo"
Lo definiscono un coltivatore eroico, ma per Nino Crupi non c’è niente di eccezionale in quello che fa. «La vera difficoltà non è coltivare in collina ma è infrastrutturale»
Sicuramente la tenacia non gli manca, l’ha in parte ereditata da suo nonno che mezzo secolo fa insieme ai suoi fratelli e a suo padre, il bisnonno di Nino, ha riscattato un pezzo di terra - che per la verità era un dirupo - di proprietà della principessa Vittoria San Martino.
Di giorno lavoravano nei cantieri di Messina, mentre di notte, armati di lume a petrolio, costruivano dei terrazzamenti così da rendere coltivabile questo terreno caratterizzato da pendenze significative, dando vita così a un agrumeto a Santo Stefano di Briga, in provincia di Messina.
Qualche anno fa Nino, dopo gli studi in agraria all’Università di Reggio Calabria, ha preso in mano l’azienda di famiglia che era in fallimento e ha continuato quello che per tanti è una specie di miracolo ma che per lui è la normalità.
«Dieci anni fa c'erano solo agrumi e un po' di castagne del nostro bosco, non c'era una diversificazione delle attività - racconta -. Ho cercato quindi di portare un po' di novità e i grandi della famiglia, anche se il passaggio generazionale non è sempre semplicissimo, mi hanno lasciato fare.
Oggi accanto a mandarini, arance e limoni, coltiva due varietà di grani antichi siciliani, Maiorca e Mongibello.
«Ho acquistato un altro pezzo di terreno della principessa e lì ho iniziato a coltivare i “grani nostri”, non ha molto senso chiamarli “antichi” visto che li coltiviamo ancora, no?» - racconta.
A rotazione, per non fare impoverire la terra coltiva legumi, ceci e lenticchie. E una chicca, il fagiolo signuredda, tipico di Santo Stefano di Briga ma praticamente sconosciuto altrove, patrimonio tramandato da generazioni, coltivato da sempre nelle famiglie del posto ma mai messo in vendita.
Da mezzo chilo che gli è stato regalato da suo zio, ora di questa varietà di fagioli ne produce 120 chili. Dai grani siciliani di eccellenza, Nino ha avviato anche la produzione della pasta.
«Anche in questo caso - continua - ho recuperato un altro pezzo di storia della mia famiglia. Mia zia Giovanna è stata l’ultima mugnaia a gestire un mulino che ha lavorato per 970 anni di fila. Un mulino ad acqua con la ruota in legno che è stato chiuso nel 1960 perché non era più competitivo e raso al suolo nel 1988. Nel 2018 l’ho rimesso in piedi, con annesso un piccolo punto vendita, e ho creato un marchio per i prodotti che vengono dal grano».
Nella sua terra quasi tutto è manuale, come si faceva una volta, dalla semina alla mietitura. E i prodotti sono biologici, praticamente una conseguenza naturale.
«Non ho neppure bisogno di usare pesticidi. In collina, nei terrazzamenti, il terreno è sempre più ventilato, l’aria non ristagna mai per cui le coltivazioni non vengono attaccate da funghi o altre patologie». A fianco al lavoro della terra, Nino ha avviato dei percorsi didattici per bambini, con le scuole e le famiglie.
«Tutto quello che faccio in azienda si può dire che nasca dai bambini - dice. - Mi trasmettono un’energia pazzesca». Ha dato vita ad attività che coinvolgono tutti i sensi, organizza merende a base di pane con l’olio e altre prelibatezze genuine. Durante il lockdown dello scorso anno, nel momento in cui tutto questo è venuto a mancare, si è inventato un format.
Su YouTube è nata “A spasso con Nino il contadino”, una serie di puntate in cui, con la sua moto ape, ha portato i bambini virtualmente in giro, mettendo a bordo i loro disegni, e trasmettendo il suo messaggio in cui ribadisce che la terra va rispettata e tutti quanti ne siamo custodi.
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