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Un antico detto siciliano che forse non conosci: cosa vuol dire "Si manciò a furami"

I marinai lo rispettano come un amico di vecchia data, a cui non fare torti e far sbollire i momenti di rabbia. Cosa vuol dire e come nasce il detto siracusano

Francesca Garofalo
Giornalista pubblicista e copywriter
  • 2 settembre 2024

(Foto generata con AI di Andrea Randazzo)

I marinai lo rispettano come un amico di vecchia data, a cui non fare torti e far sbollire i momenti di rabbia. Memori che nella quiete, carezza e nella tempesta, tutto travolge.

Il mare da sempre calamita di culture, marinai e artisti si fa portavoce, in Sicilia, di un antico detto siracusano “Si manciò a furami - se li è mangiati la furame”.

Secondo Ermanno Adorno, ricercatore della memoria storica siracusana, il modo di dire fa riferimento a “furami = mare di fuori”.

Il suo uso apparteneva soprattutto al vocabolario dei familiari dei pescatori che in caso di tempeste o cattivo tempo attendevano ansiosi le imbarcazioni, salpate con figli o mariti, in cerca del pescato del giorno.

Momenti di angoscia che si consumavano davanti al belvedere San Giacomo della città aretusea e che, nei casi peggiori, culminava nella tragedia. I marinai e le loro imbarcazioni venivano letteralmente rapiti e inghiottiti per sempre dagli abissi. In quel mare di fuori che, in preda all’ira, non fa sconti a nessuno.
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Da quel momento, il detto assume una connotazione negativa tale da essere poi utilizzato come una sorta di maledizione a chi fa dei torti alla propria persona o ai propri cari.

E capisci quanto sia elevata la gravità del torto da quel “S’ha manciari a furami” che più ha doppie enfatizzate dalle corde vocali, maggiore è il male che si augura a una persona. Lungi dallo spaventarvi, se vi trovate in Sicilia sappiate che potete sentirlo pure in altri contesti.

Il detto è anche strumento goliardico delle lingue caustiche di amici che scherzano fra loro. In questo caso, la connotazione negativa sfuma e assume una leggera veste ironica. Ma la furami fa la sua comparsa anche in un altro contesto relazionale: i tavoli da gioco siciliani.

Luoghi di vera espressione antropologica. Quando un giocatore perdeva, era comune sentire "ci fici mangiari a furami" i suoi averi. Lasciamo i tavoli da gioco e dirigiamoci verso un’altra potenza, quella di madre natura.

Anche le calamità naturali sono protagoniste del detto, soprattutto in caso di terremoti devastanti che al loro passaggio lasciano distruzione e senso di perdita. Così, quelle parole arrivano anche a mo’ di commiserazione per la tragedia toccata in sorte allo sfortunato.

La particolarità di questa espressione si ravvisa anche nelle sue radici latine. Infatti, la parola “Forame” pare sia un sostantivo maschile derivante da “Foramen - foro o buco”, che in parte si avvicina al significato sopracitato; solo che in questo caso si fa cenno a una voragine o buco, capace di far scomparire qualunque cosa.

E a questo punto è quasi impossibile non pensare a quel vortice marino che si crea in mare nelle tempeste e risucchia tutto ciò che sta in prossimità. Ma le curiosità latine su questo detto non finiscono qua. Accanto a Foramen, gli esperti citano anche "Foraneo - esterno, che è fuori dalla città” un termine tardo latino.

Nel vocabolario Treccani, il termine indica sia qualcosa che viene da fuori e lo troviamo in locuzioni del tipo “vento foraneo - che spira dal largo; sia nel linguaggio della marina e dei geografi relativo a opere o strutture che siano esterne a un porto o a una rada.

In entrambi i casi e radici, furami risiede ancora oggi nell’immaginario e realtà dialettale aretusea a ricordarci qualcosa di estraneo, invisibile e fuori dal nostro controllo. Qualcosa, dunque, che richiama una sorte sventurata a cui si è andati incontro.
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