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"Umile, visionario, viveva per Palermo": Nicola Farruggio ce lo racconta la (sua) Rosa

Rosa Di Stefano mostra l'uomo oltre l'imprenditore. Un marito, un padre, ma anche un visionario che aveva ancora tanti sogni per la città a cui ha dedicato la vita

Stefania Brusca
Giornalista
  • 12 novembre 2024

Nicola Farruggio e Rosa Di Stefano con i figli Aldo e Vittorio

«La mia Rosa», come diceva sempre, era la sua roccia. Al suo fianco da 25 anni, ora insieme ai suoi due figli, Aldo di 17 anni e Vittorio di 15, ne porta avanti l'eredità.

Rosa Di Stefano ci racconta Nicola Farruggio, presidente di Federalberghi Palermo, recentemente scomparso. Ci parla dell'uomo dietro l'imprenditore. Un marito, un padre, un "visionario umile" che non ha mai smesso di amare la sua città.

Sua «moglie», come spesso la chiamava orgoglioso, adesso prende in mano in toto le redini dei quattro alberghi che gestisce come direttore commerciale ormai da tempo, ma ancora di più dal minuto dopo di quel giorno in cui l'ha perso. Quel giorno che non potrà mai dimenticare in cui un infarto fulminante se lo è portato via.

Ma la storia del presidente di Federalberghi Palermo sembra legata a doppio filo con la sua professione. Un lavoro che amava profondamente e che ha portato avanti fino alla fine insieme alla moglie.
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Hotel Posta, Palazzo del Poeta, Massimo Plaza Hotel e l'ultima sua fatica, il Mondello Glam Hotel, dove si trovava il giorno in cui si è sentito male. Un'eredità, frutto anche del lavoro di tre generazioni di albergatori, che è un modello di gestione del settore alberghiero anche a livello nazionale.

Una dedizione al lavoro che Rosa conosce bene. Niente lacrime, ha un aspetto curato. È gentile e attenta anche se chi ci è passato almeno una volta sa che probabilmente non chiude occhio da giorni. Probabilmente ancora si interroga, incredula, sul perché al suo fianco non ci sia più la sua metà, l'uomo che aveva scelto per la vita.

Fa un respiro profondo, Rosa, e ci racconta Nicola. «La sua storia è nel suo Dna. È nato nella camera 106 dell'Hotel Posta. Ai tempi si partoriva in casa e i clienti dell'albergo ansimavano insieme a mia suocera, alle spalle della porta della camera nel momento in cui lo dava alla luce».

Questo senso di ospitalità, sottolinea, «probabimente è nato intrecciato al suo cordone ombelicale, come il legame con questa città che è iniziato quando è venuto al mondo. Un cordone ombelicale che non ha mai staccato, non si è mai staccato da questa sua visione».

Un inizio quasi da romanzo letterario, la sua vita, come se ci fosse un destino scelto per la sua famiglia: «Anche mio suocero - continua - è stato partorito in una camera di hotel. Vivevano all'Hotel Posta, dove hanno tirato fuori una piccola casetta, anche se lui già all'età di 14 anni dormiva in una camera d'albergo per scelta».

Farruggio non aveva scelto per sé una delle più lussuose, come ci si aspetterebbe. «Era la più piccola, la più brutta. Decise di non dormire più nell'appartamentino dell'Hotel Posta ma di staccarsi e andare a stare nella stanza 101, al primo piano. Anche se era angusta, si trovava a contatto con i clienti. Se avevano bisogno, di notte si alzava per dare una mano, era sempre a disposizione».

Una dedizione che a volte lo spingeva perfino a lasciare la sua camera per darla agli ospiti, se c'erano clienti in più. «Toglieva tutti i suoi vestiti, i suoi libri, e si metteva in un salotto per darla ai clienti per fare in modo che la famiglia lavorasse. Un senso di umiltà che lui ha avuto sempre. Tutta la sua vita è costellata di premi legati al suo senso di ospitalità e all'amore per la sua città. Nicola viveva per Palermo».

Farruggio è vissuto esattamente nel modo in cui è morto, «dormendo nella camera "scantinato" del Mondello Glam Hotel», continua Rosa, che ricorda come per una volta aveva chiesto una sistemazione "standard": «Era una camera addirittura senza bidet. La più bella camera non l'abbiamo mai avuta ma quando dormivo in albergo ci spostavamo in quella di fronte alla sua».

Si era andato a mettere lì «e io sono andata a stare insieme a lui fino a settembre. Quando sono cominciate le scuole sono rientrata ma ci vedevamo sempre, tutte le sere, per riunirci con i ragazzi. Ha iniziato la sua vita lavorativa a 14 anni e l'ha finita con le stesse condizioni. Come se fossero due punti uniti da un destino scritto. Questa cosa mi fa impazzire».

Una vita per il lavoro che hanno condiviso fin da giovanissimi e che è durata fino alla fine: «A chi mi chiedeva come fai a lavorare con tuo marito 24 ore su 24, rispondevo "siamo innamoratissimi, sono abituata a vivere con lui"».

Lo conosce a 21 anni e da allora «la mia vita è stata lui. Ho studiato, mi sono formata sulle lingue, sul turismo e l'economia per diventare piano piano, negli anni, il direttore che sono oggi. Con sacrificio e sporcandomi le mani. Lavoravamo anche 18 ore giorno, ma per noi non è mai stato pesante. In giro per l'Italia ero sempre accanto a lui, ascoltavo i discorsi dei senior. Anche i nostri viaggi erano sempre forme di studio e lavoro per il turismo della città».

Era presidente di Federalberghi ma non ha mai approfittato del suo ruolo. Quando arrivavano delle richieste all'associazione, le sue strutture erano le ultime ad essere coinvolte. Un modo di fare che a volte era fonte di discussioni nella coppia.

«I nostri hotel erano associati a Federalberghi prima ancora che lui fosse presidente. Da quando ha assunto questa carica non girava più le mail di richieste alle nostre strutture. Io che sono il direttore commerciale ci restavo di stucco.

Se ad esempio il Coni chiedeva 600 camere su Palermo, ci dava camere solo quando tutti gli altri erano pieni, dicendo "non ti preoccupare, ci riempiremo di riflesso. Io sono il presidente e io devo essere l'ultimo a usufruire delle convenzioni. Nessuono deve pensare che agevoli le mie strutture"».

Umiltà e senso del dovere, racconta Rosa, pari solo all'amore per la sua città. Ad esempio «Sul decoro per Palermo Nicola ha promosso un'iniziativa che ha copiato tutta Italia». Si tratta della tassa di soggiorno dove, grazie a un protocollo d'intesa con il Comune di Palermo, siglato all'epoca della giunta Orlando, «è previsto che un 10% torni nelle tasche dell'albergatore se li rispende per il decoro della città, dimostrandolo fatture alla mano».

Su 100 mila euro di City tax all'anno, ad esempio, «10mila euro il Comune me li dà indietro se li sto reinvestendo sulla facciata, sull'illuminazione, se metto piante all'esterno della struttura o se acquisto arredo urbano. Tutto ciò che dà decoro non all'interno dell'albergo ma all'esterno, e quindi alla città».

Ma Farruggio sognava in grande e «Palermo per lui doveva essere votata al turismo d'elite. Il nostro core business, diceva, deve essere il turismo di lusso, di fascia altissima, perchè il nostro patrimonio artistico non ha niente di meno delle altre città.

Qui sono nate strutture di altissimo livello. Ciò che offriamo ha un costo, non solo imprenditoriale ma anche come tipologia di servizi, e non dobbiamo svenderci. Palermo non è solo pane e panelle, abbiamo una cultura incredibile, dobbiamo trasmetterla».

Credeva tantissimo anche nella formazione e «ha speso migliaia ore per trasmettere il suo sapere ai ragazzi che venivano in struttura. Gli raccontava la sua vita, la sua esperienza, dava consigli. "Non dobbiamo camminare guardandoci la punta dei piedi", diceva, ma puntare in alto. Quando punti in alto i risultati non li raggiungi subito, ma quando ci riesci restano per sempre».

Quando si trattava di Palermo «gioiva di ogni cosa bella che veniva fatta, come il molo trapezoidale. Voleva raccontare la città dentro le navi da crociera per sdoganarle dalla tipica caratteristica "mordi e fuggi" e fare in modo che sostassero qui, che si innamorassero di Palermo e vi facessero ritorno. E molto spesso è accaduto».

Amava e promuoveva anche l'extralberghiero ed è stato in Sicilia il primo ad aprire la sezione dedicata "Federalberghi extra" perchè riteneva che "più siamo più turisti arrivano".

Oggi «c'è una categoria dell'extralberghiero fantastica che cammina benissimo e c'è questa forma di solidarietà. Li tutelava per poi mandarli avanti da soli, creando le condizioni per un'attività in città sana, anche fiscalmente. Molti hanno aperto grazie a lui e sono moltissime persone sono venute per rendergli omaggio e ringraziarlo per essersi speso per loro e per le loro aziende in prima persona. Anche a discapito del nostro lavoro».

Nicola Farruggio «aveva sua moglie dentro gli alberghi, sapeva che c'ero io e poteva andare "fuori", perché ogni passo e ogni scelta ero sempre al suo fianco, io comunico per Federalberghi».

Anche se Rosa era la sua roccia, lei resterà sempre la sua Rosa. La sua anima anche fragile, per un attimo ha dimenticato tutti questi anni di schiena dritta nonostante tutto e tutti, di sudore e fatica, che nel momento in cui l'ha perso è caduta in ginocchio. Per poi rialzarsi, sempre grazie a lui.

«Mi è apparso nei sogni, e anche in quelli di alcuni miei amici. Era arrabbiatissimo con me, mi diceva che non potevo abbattermi e che mi dovevo alzare e me lo ha fatto dire da un sacco di gente. "Sono arrabbiatissimo con mia moglie". Io non volevo più rialzarmi, il dolore in quel momento è stato più forte a volte anche del mio sentimento materno. In quel momento ero soltanto la Rosa di Nicola. Ho pensato solo a lui e volevo andare da lui.

Mi ha detto che non potevo permettermi di stare male. Stai attenta a tutti i lupi che puoi avere accanto. Fai esattamente ciò che sai fare non hai bisogno di consigli», e così ha fatto.

Da pochissimo ha ritirato un premio a cui Farruggio teneva tantissimo, quello del "Marchio Ospitalità italiana". «Avevo detto che non avrei parlato. Mentre ritiravo il premio mi sono sentita spingere e ho sentito la mano di mio marito che mi spingeva a farlo e ho detto: "Voglio dire qualcosa"».

Per questo Rosa Di Stefano sta proseguendo nel suo lavoro: «Ho il dovere ora più che mai di portarlo avanti. Il mio periodo di silenzio e di lutto non può durare molto. Ho una struttura organizzata bene, solida. L'unica differenza è che lui non è più fisicamente accanto a me. Ho il comando, sto guidando questo treno che corre e non mi fermo».

Ma non è tutto, adesso «per non morire devo continuare a portare avanti tutti i suoi progetti continuando a far parlare di lui con borse di studio per professionalizzare i giovani che vogliono investire le loro capacità nel turismo in Sicilia e mandare avanti anche le sue visioni per il nostro comparto, perché le avevamo concepite insieme e voglio vederne i frutti».
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