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Tutti lo ammirano anche se è abbandonato: un borgo vicino Palermo si colora di murales

Si trova a pochi chilometri dal paese di Corleone e ha iniziato il suo lento spopolamento agli inizi degli anni 50: oggi è il simbolo del fenomeno del dark tourism in Sicilia

  • 9 marzo 2020

L’alimentari, l’ambulatorio medico e il laboratorio antimalarico sono ancora lì, con affisse le loro insegne in stampatello: il piccolo borgo Giacomo Schirò con le sue case completamente disabitate è il simbolo del “Dark Tourism” in Sicilia.

Il borgo Giacomo Schirò è una piccola frazione sita a 10 chilometri da Corleone (ma ricadente nell'amministrazione territoriale del comune di Monreale), che insieme ad altra borghi in varie zone della Sicilia nasce alla fine degli anni 30 del '9'' per volere del regime fascista, con l'obiettivo di favorire la colonizzazione del latifondo e di permettere ai contadini di poter vivere vicino alle terre da coltivare, arginando in tal modo il fenomeno migratorio verso le città ed il conseguente abbandono dei campi.

Chiamato così in onore di Giacomo Schirò (Minu Skiroi, giovane premilitare bersagliere nato in Sicilia nel 1901 da una famiglia appartenente all’etnia arbëreshë, i cosiddetti “albanesi d’Italia”, e ricordato come eroe di guerra trucidato nel 1920 con 53 coltellate durante una festa di paese a Piana degli Albanesi), l’omonimo borgo visse il suo periodo di massimo splendore tra gli anni 40 e 50, fin a quando la storia della Sicilia non conobbe le macerie causate dal terremoto del Belice che diedero inizio ad uno straziante spopolamento urbano fino a far cadere anche questo piccolo borgo nell’oblio del dimenticatoio.
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E’ stata una delle prime città rurali siciliane: nel borgo si potevano contare circa 100 abitanti e comprendeva una trentina di abitazioni, tra cui la chiesa con la canonica, la scuola, un negozio di generi alimentari, un salone e l'ambulatorio medico.

Oggi questo luogo è completamente desolato e già dagli inizi degli anni 70 per le vie del borgo persisteva un'atmosfera surreale: rimasero ad abitarlo soltanto la famiglia Sollazzo, che gestiva il negozio di generi alimentari e tabacchi presso cui andavano a rifornirsi i contadini che coltivavano i campi vicini, ed il parroco el paese che continuava a celebrare la messa presso la chiesa per i rari fedeli passanti la domenica.

Ad averlo visitato recentemente sono stati gli occhi del fotografo Cristiano La Mantia che fa parte di Liotrum Urbex Sicila, il collettivo fotografico che punta alla riscoperta del patrimonio siciliano creato e poi abbandonato dall’uomo (di cui abbiamo già parlato qui).

“Sono andato in esplorazione durante una bella mattinata di sole, ma il borgo era spettrale - dice Cristiano. Incredibilmente alcune macchine transitavano dalla piazza centrale, solo di passaggio, nessuno abita il borgo e mentre scattavo le ultime fotografie, improvvisamente è entrata una coppia di turisti che trovandosi di passaggio hanno pensato bene di farsi un giro tra queste rovine urbane a cielo aperto”.

Più volte depredato, violentato e derubato, il borgo Giacomo Schirò alla fine è stato abbandonato anche dal parroco che fu l’ultimo abitante a resistere fino al 2000. Da lì in poi, di quel piccolo centro rurale dalle grandi speranza fasciste oggi non rimane che una piazza deserta circondata da abitazioni vuote e malridotte con muri e strutture pericolanti e semidistrutte, con la vegetazione che ha invaso marciapiedi e cortili.

Una vera e propria esperienza di “Dark Tourism” che può essere considerata la nuova frontiera del turismo: tra i numerosi progetti di riqualifica però oggi il borgo si fa notare anche per dei bellissimi tratti di colore realizzati, nel 1997, da alcuni studenti della Accademia delle Belle Arti di Palermo che si occuparono di dipingere le pareti del borgo con murales, tutt’ora ben visibili, rendendo l’atmosfera di questa ghost town ancora più surreale.
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