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Tutti la vediamo, pochi ne sanno parlare: quella casa abbandonata a Palermo

Di fronte l'ingresso del Parco della Favorita in piazza Leoni a Palermo si trova questo edificio pericolante: nessuno lo sistema né lo abbatte. La (brutale) storia che c'è dietro

Balarm
La redazione
  • 30 luglio 2018

La casa abbandonata in piazza Leoni a Palermo

Sta li, circondata da teloni protettivi e anche loro un po' cadenti ormai: la palazzina di piazza Leoni a Palermo resiste alle politiche di riqualificazione, all'arte contemporanea, perfino le cronache la evitano, perché? Perché non è una casa abbandonata e basta, ha una storia complessa e che sfocia nel racconto fantasioso.

Dovrebbe essere "un simbolo di rifiuto alla mafia": nove piani di memoria della lotta delle sorelle proprietarie alla prepotenza di cosa nostra, tra lo spaventoso malaffare e la forza morale.

L'esecutore dei lavori e tutta l'equipe, chi ha comprato gli appartamenti e affittato gli spazi al piano terra era legato ad alcuni nomi di mafia tra cui Bontate o Lo Piccolo.

Tra omicidi e condanne, eventi tutti legati alla storia del palazzo, si arriva alla confisca del bene che vede due sorelle, Maria Rosa e Savina Pilliu, in quanto vittime di mafia, ricevere in affitto dallo Stato l’appartamento nel quale dormiva Giovanni Brusca, l’uomo che ha premuto il tasto sul telecomando della strage di Capaci (approfondisci l'interessante vicenda giudiziaria qui).
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Le due sorelle sarde posseggono un negozio di generi alimentari in via del Bersagliere e loro stesse raccontano che la mafia era interessata al terreno accanto le loro case per abbatterle e costruire un grande palazzo.

A fermare le ruspe fu un'inchiesta, ma solo per quell'anno: successivamente cosa nostra riesce a comprare molti dei terreni e a convincere gli abitanti delle case circostanti a venderle, tutti tranne le sorelle Pilliu.

Pur di andare avanti con i lavori e di farle scendere a patti, il costruttore (Lo Sicco) dice al Comune di possedere anche quelle casette e grazie a promesse, accordi e mazzette, ottiene finalmente la concessione edilizia per abbattere un edificio di cui possedeva, invece, soltanto alcuni piani.

Le sorelle Pilliu naturalmente denunciano l'abuso sia alla Prefettura che al Comune: non vengono aiutate e le loro case vengono quasi demolite. Comprando gli appartamenti sopra, il costruttore iniziò a demolire quelli lasciando le Pilliu di fatto letteralmente senza tetto.

Costrette ad andare via, comunque non rinunciano alle loro case e chiamano ogni singola forza dell'ordine senza alcun risultato perché nessuno interviene: minacciate, abusate, depredate e ignorate chiedono aiuto infine a Paolo Borsellino che, seppur disponibile, viene ucciso una settimana dopo il loro incontro.

Nel 2005 le casette delle Pilliu sono crollate e un giudice decide di avviare un processo contro le sorelle (per crollo colposo). Un iter terminato nel 2012 con l'assoluzione. L'immobile intanto è stato di fatto confiscato ed ora è amministrato dallo Stato.
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