STORIE
Trasformava porte e arnesi in opere d'arte: chi era Giusto, l'artista "contadino" di Sicilia
La sua capacità nel plasmare la materia ha reso le sue opere un ponte tra il passato e il presente, tributo vivente di una cultura che (altrimenti) rischiava di perdersi
Giusto Sucato
Artista eclettico di Misilmeri, scomparso già dall'agosto del 2016, Sucato occupa certamente un posto importante nel panorama artistico siciliano per essere stato il poeta, il cantore nostalgico di una civiltà contadina e agropastorale, che ha ispirato i temi della sua ricerca.
La sua eccezionale capacità nel plasmare la materia, anche quando limitata, ha reso le sue opere un ponte tra il passato e il presente, un tributo vivente a una cultura che rischiava di perdersi.
Nonostante la sua mancanza di formazione accademica, Sucato possedeva un talento innato nel catturare l'anima della sua terra, un riflesso vibrante della sua Sicilia natale.
Il suo stile unico non solo rifletteva la maestria tecnica, ma incarnava anche una connessione profonda con le radici culturali. Un percorso d'artista, quello di Giusto, disegnato recuperando pezzi di storia per rivestirli di nuova dignità concettuale e farne dono alla contemporaneità, a sua volta sempre più impegnata a generare nuovi rifiuti.
Un'analisi e ricerca che ha sempre condotto dalla provincia, quei luoghi definiti una volta “hinterland”, ancora però fortemente legati e radicati ad una tradizione popolare e folkloristica in via di estinzione.
Nel corso della propria carriera strinse rapporti di vicendevole stima con intellettuali, artisti e poeti del calibro di Renato Guttuso, Ignazio Buttitta e Giacomo Giardina che lo incoraggiarono sempre di più nel suo percorso artistico, negli anni in cui Palermo si contraddistingueva per una vivacità culturale e artistica dal gusto contemporaneo.
Per Sucato, fu soprattutto fondamentale la figura di Francesco Carbone, teorico dell’arte antropologica in Sicilia, importante critico ed artista che si interessò alle nuove tendenze e agli sviluppi artistici più aggiornati.
I due si legarono oltre che da una fraterna amicizia, anche per una strettissima collaborazione produttiva in ambito lavorativo che portò negli anni '80 alla creazione del Museo demo-etno-antropologico Godranopoli, voluto da Carbone, per la realizzazione del quale, furono costretti a trasferirsi a Godrano, paese che diede loro la possibilità di sperimentare nuove ricerche, ma soprattutto quelle del riciclo.
Sucato divenne in breve tempo, protagonista di quella piccola ma rilevante cerchia di artisti “antropologici” siciliani, che da tempo manifestavano una particolare attitudine rivolta proprio ad attingere - ciascuno con una personale ed incisiva connotazione formale - alle fonti dell’antropologia culturale.
Nella sua dimensione quasi ancestrale, la metamorfosi del materiale trovato e recuperato diventava le parole di un linguaggio arcaico ma allo stesso tempo simbolo totemico dell'appartenenza, la rivisitazione in chiave contemporanea di una cultura antica, portatrice di memoria.
Dalla sua bottega-laboratorio di corso 4 Aprile a Misilmeri, Sucato ha contribuito a far conoscere la sua arte al di là dei confini siciliani, le sue opere sono diventate tesori amati, custoditi in collezioni private e gallerie d'arte, testimonianza della sua influenza duratura nel mondo dell'arte popolare.
Con la sua dedizione all'autenticità e alla tradizione, ha lasciato un'impronta indelebile nella storia dell'arte siciliana e il suo lascito artistico continua a ispirare e a preservare la ricchezza della cultura popolare che tanto amava, rendendolo un'icona eterna nel panorama artistico della Sicilia e oltre.
Oggi, anche grazie alla tenacia del figlio Pablo, che dalla morte del padre si è sempre speso per la conservazione e la promozione dell'espressione artistica di Giusto Sucato, possiamo ancora ammirare ma soprattutto “leggere” i molteplici messaggi delle sue opere.
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