ITINERARI E LUOGHI
Tra alberi profumati e la fontana del Mezzaranciu: in Sicilia nel Borgo delle Pesche
Le sorprese non mancano. Ogni angolo si tinge di colori come quelli dei murales della zona bassa. Gli edifici religiosi continuano a riempirci le "tasche del sapere"

Borgo di Bivona
“Ciuri ciuri, ciuri di tuttu l’annu, l’amuri ca mi rasti ti lu tornu. A Bivona ciuri di pescu, siddu passanu cantari mi sentunu”. Nella trepida attesa di raggiungere il piccolo comune agrigentino, gli stornelli diventano un gioco tipicamente siculo.
Una volta messo piede nella città di Ribera, la statale 115 è un ricordo passato. Sono le provinciali a farle da padrona! Per circa una ventina di km - immersi tra ambienti desertici e rocce dalle forme bizzarre, la presenza di alcuni caselli ferroviari movimentano il paesaggio. Entrati solo di passaggio - nel paesino di Alessandria della Rocca - sono otto (circa) i km che ci separano dal borgo delle pesche.
E che borgo! Sin dalle prime battute siamo ammaliati di "lu ciavuru" degli alberi infiorati. La “Festa del Mandorlo in Fiore" non è poi così lontana, però i colori bivonesi attraggono e non poco! Colti da fragranze insospettabili, i curiosi cedono il passo sin dalle prime battute.
I primi insediamenti fanno riferimento a tracce dell'Età del rame e ferro (i resti del Castelluccio fanno riferimento a quella medievale). L’origine del nome a chi e quando risale? Gli studiosi affermano che sia greca.
Fondata da Gelone di Siracusa, era identificata con il nome Hipponium. Come scritto in altri contesti, gli storici valutano diverse opzioni. Tra queste, vagheggia - in linea sottilissima - che abbia origini indigene (Hippana). La città di Bivona entra di diritto nei primi documenti a partire dal 1160.
Prima re Ruggero, poi i suoi successori, ne fecero un centro di notevole caratura. Fin quando fu messa al sacco dalle truppe dei Ventimiglia. Successivamente da baronia passò nelle mani dei Moncada fin quando, abolito il feudalesimo, Bivona ebbe l’onore (e l’onere) di essere designata come capoluogo del distretto omonimo (con altri dodici comuni facenti parte). E non parliamo (ni putemu perdiri di casa) dell’influenza delle famiglie dei Chiaramonte e dei Luna.
Un borgo abbastanza "influenzato". Che la passeggiata abbia inizio! Nei vicoli stretti, ma non strettissimi, la mente persevera e quantifica le conoscenze di tratti architettonici importanti.
Nonostante le dimensioni esigue, montagne, acqua e strutture fanno da cornice alla nostra crescente volontà di non perderci nulla dello spettacolo.
Circondata da rilievi imponenti (Monte delle Rose e Pizzo Mondello, tra gli altri), “lu scrusciu” dell’acqua è componente fondamentale. Ovunque mettiamo piede, sentiamo il flusso continuo. È pura, fresca e buona! A Bibona (attestato nel 1363) non manca proprio nulla. A partire dalla Fontana del Mezzaranciu (più altre venti fontanelle).
In una delle piazzole del paesino i passi iniziano a prendere forma. Di chiese ce ne sono a bizzeffe, come quella dell’Annunziata, dove sono presenti alcuni dipinti di Giuseppe Salerno detto “lu Zoppu di Gangi".
Anche la Chiesa di Santa Rosalia mostra i segni del passato. Risalente al XIII-XIV sec., è arricchita dal fercolo di Santa Rosalia. Inoltre, da una piccola botola è possibile osservare il tronco della quercia sotto la quale la santa sarebbe stata solita pregare durante la sua permanenza nel bosco di Bivona. Il cammin di nostra "gita" ci accompagna dapprima alla Torre dell’Orologio. Presumibilmente presente sin dal 1588, fu ricostruita nel 1775 dopo l’avvenuto crollo.
A base quadrata, presenta facciate in pietra tripartite da cornici marcapiano. A circa 500-600 metri ci spostiamo verso il portale della Chiesa Madre Chiaramontana. È esempio di arte gotica in Sicilia. E non lontana, avvolta dalla vegetazione rigogliosa, ecco spuntare i ruderi di Santa Maria di Gesù.
Anch’essa in stile gotico, a un’unica navata, presentava un coro quadrato costituito da due nicchie e da una volta a crociera. Restaurata in stile barocco, venne completamente abbandonata.
Tutto finito? Macchè! A Vivona (in siciliano) le sorprese non mancano. Ogni angolo si tinge di colori come quelli dei murales presenti nella zona bassa.
Gli edifici religiosi continuano a riempirci le "tasche del sapere". Le chiese di Santa Maria di Loreto, Mater Salvatoris, San Giacomo Maggiore e San Paolo (più quelle andate distrutte) sono fiori all’occhiello di stili e forme diverse. Concentriamoci sulla storiella dei quartieri non riconosciuti. “Ciucia lu ventu di li muntagna” e la passeggiata nasconde nuovi episodi.
Savuco, Fontana Pazza, Santa Chiara e dei Garitani (prende il nome di una torre che era posta nel lato sud- occidentale). Ne mancano all’appello ancora tre: quello di Santa Rosalia, uno dei più antichi costruiti in extra moenia, quello Nadaro (punto più alto) e quello di San Domenico, un tempo sede della giudecca.
Improvvisamente una voce squillante esce fuori dal coro silenzioso e si pronuncia: ”Qui vivono i judè, chiddi ca doppu na simana lu mittistivu (Gesù) ncruci arrè”.
Oltre alla presenza di una comunità ebraica a partire dal Medioevo (ultimi secoli), un’antica tradizione voleva che il venerdì post-Pasqua venisse portato in processione un Crocefisso in legno ebanizzato. Quanto meno te lo aspetti, le squisitezze del borgo provano a catturare le nostre attenzioni.
Il pranzo è servito! Si parte dalla pasta (‘ncasciata) con broccoli, sugo di pomodoro, pecorino e pezzetti di lardo. Proseguiamo con la froscia (ricotta fresca, pane e formaggio, uova e nepetella). Il contorno è servito con la caponata di olive verdi e concludiamo con tanti dolci: li sfinci, la pasta alla frutta, la pignolata e la cubata.
E le pesche? La Montagnola o Pescabivona (con tanto di marchio IGP) meritano le dovute attenzioni. Ovunque ti giri, siamo invasi dal “lieto e quieto viver delle pesche più buone del mondo" (diceva Alfonso Sabella).
Tra un odore e l’altro e una parola in "sub dialetto" bivonese (con tanto d’influenza araba nella fricativa velare sorda) “accarezziamo” palazzi storici (Ducale, Marchese Greco), strutture militari, mura del vecchio castello, archi, casine e tanta natura (Parco della Pace).
Le ore passano velocemente e il borgo cede il passo al fine giornata. Vale anche per noi umili curiosi. Lasciamo Bivona con un bagaglio “chino di cosi” che mai pensavamo di poter riempire.
Un ultimo saluto, un ultimo pensiero alle bellezze che hanno reso la nostra giornata speciale.
Una volta messo piede nella città di Ribera, la statale 115 è un ricordo passato. Sono le provinciali a farle da padrona! Per circa una ventina di km - immersi tra ambienti desertici e rocce dalle forme bizzarre, la presenza di alcuni caselli ferroviari movimentano il paesaggio. Entrati solo di passaggio - nel paesino di Alessandria della Rocca - sono otto (circa) i km che ci separano dal borgo delle pesche.
E che borgo! Sin dalle prime battute siamo ammaliati di "lu ciavuru" degli alberi infiorati. La “Festa del Mandorlo in Fiore" non è poi così lontana, però i colori bivonesi attraggono e non poco! Colti da fragranze insospettabili, i curiosi cedono il passo sin dalle prime battute.
Adv
Gli odori tolgono ogni respiro, ma noi - forti delle informazioni storiche - non possiamo mollare di un solo centimetro. Ci sarà tempo per gustare un dolcetto tipico del paese. Anzi, a dirla tutta, iniziamo con un pezzo di crostata alle pesche. Che bontà! Nell’attesa dell’ultimo morso, i riferimenti storici sono antichi.I primi insediamenti fanno riferimento a tracce dell'Età del rame e ferro (i resti del Castelluccio fanno riferimento a quella medievale). L’origine del nome a chi e quando risale? Gli studiosi affermano che sia greca.
Fondata da Gelone di Siracusa, era identificata con il nome Hipponium. Come scritto in altri contesti, gli storici valutano diverse opzioni. Tra queste, vagheggia - in linea sottilissima - che abbia origini indigene (Hippana). La città di Bivona entra di diritto nei primi documenti a partire dal 1160.
Prima re Ruggero, poi i suoi successori, ne fecero un centro di notevole caratura. Fin quando fu messa al sacco dalle truppe dei Ventimiglia. Successivamente da baronia passò nelle mani dei Moncada fin quando, abolito il feudalesimo, Bivona ebbe l’onore (e l’onere) di essere designata come capoluogo del distretto omonimo (con altri dodici comuni facenti parte). E non parliamo (ni putemu perdiri di casa) dell’influenza delle famiglie dei Chiaramonte e dei Luna.
Un borgo abbastanza "influenzato". Che la passeggiata abbia inizio! Nei vicoli stretti, ma non strettissimi, la mente persevera e quantifica le conoscenze di tratti architettonici importanti.
Nonostante le dimensioni esigue, montagne, acqua e strutture fanno da cornice alla nostra crescente volontà di non perderci nulla dello spettacolo.
Circondata da rilievi imponenti (Monte delle Rose e Pizzo Mondello, tra gli altri), “lu scrusciu” dell’acqua è componente fondamentale. Ovunque mettiamo piede, sentiamo il flusso continuo. È pura, fresca e buona! A Bibona (attestato nel 1363) non manca proprio nulla. A partire dalla Fontana del Mezzaranciu (più altre venti fontanelle).
In una delle piazzole del paesino i passi iniziano a prendere forma. Di chiese ce ne sono a bizzeffe, come quella dell’Annunziata, dove sono presenti alcuni dipinti di Giuseppe Salerno detto “lu Zoppu di Gangi".
Anche la Chiesa di Santa Rosalia mostra i segni del passato. Risalente al XIII-XIV sec., è arricchita dal fercolo di Santa Rosalia. Inoltre, da una piccola botola è possibile osservare il tronco della quercia sotto la quale la santa sarebbe stata solita pregare durante la sua permanenza nel bosco di Bivona. Il cammin di nostra "gita" ci accompagna dapprima alla Torre dell’Orologio. Presumibilmente presente sin dal 1588, fu ricostruita nel 1775 dopo l’avvenuto crollo.
A base quadrata, presenta facciate in pietra tripartite da cornici marcapiano. A circa 500-600 metri ci spostiamo verso il portale della Chiesa Madre Chiaramontana. È esempio di arte gotica in Sicilia. E non lontana, avvolta dalla vegetazione rigogliosa, ecco spuntare i ruderi di Santa Maria di Gesù.
Anch’essa in stile gotico, a un’unica navata, presentava un coro quadrato costituito da due nicchie e da una volta a crociera. Restaurata in stile barocco, venne completamente abbandonata.
Tutto finito? Macchè! A Vivona (in siciliano) le sorprese non mancano. Ogni angolo si tinge di colori come quelli dei murales presenti nella zona bassa.
Gli edifici religiosi continuano a riempirci le "tasche del sapere". Le chiese di Santa Maria di Loreto, Mater Salvatoris, San Giacomo Maggiore e San Paolo (più quelle andate distrutte) sono fiori all’occhiello di stili e forme diverse. Concentriamoci sulla storiella dei quartieri non riconosciuti. “Ciucia lu ventu di li muntagna” e la passeggiata nasconde nuovi episodi.
Savuco, Fontana Pazza, Santa Chiara e dei Garitani (prende il nome di una torre che era posta nel lato sud- occidentale). Ne mancano all’appello ancora tre: quello di Santa Rosalia, uno dei più antichi costruiti in extra moenia, quello Nadaro (punto più alto) e quello di San Domenico, un tempo sede della giudecca.
Improvvisamente una voce squillante esce fuori dal coro silenzioso e si pronuncia: ”Qui vivono i judè, chiddi ca doppu na simana lu mittistivu (Gesù) ncruci arrè”.
Oltre alla presenza di una comunità ebraica a partire dal Medioevo (ultimi secoli), un’antica tradizione voleva che il venerdì post-Pasqua venisse portato in processione un Crocefisso in legno ebanizzato. Quanto meno te lo aspetti, le squisitezze del borgo provano a catturare le nostre attenzioni.
Il pranzo è servito! Si parte dalla pasta (‘ncasciata) con broccoli, sugo di pomodoro, pecorino e pezzetti di lardo. Proseguiamo con la froscia (ricotta fresca, pane e formaggio, uova e nepetella). Il contorno è servito con la caponata di olive verdi e concludiamo con tanti dolci: li sfinci, la pasta alla frutta, la pignolata e la cubata.
E le pesche? La Montagnola o Pescabivona (con tanto di marchio IGP) meritano le dovute attenzioni. Ovunque ti giri, siamo invasi dal “lieto e quieto viver delle pesche più buone del mondo" (diceva Alfonso Sabella).
Tra un odore e l’altro e una parola in "sub dialetto" bivonese (con tanto d’influenza araba nella fricativa velare sorda) “accarezziamo” palazzi storici (Ducale, Marchese Greco), strutture militari, mura del vecchio castello, archi, casine e tanta natura (Parco della Pace).
Le ore passano velocemente e il borgo cede il passo al fine giornata. Vale anche per noi umili curiosi. Lasciamo Bivona con un bagaglio “chino di cosi” che mai pensavamo di poter riempire.
Un ultimo saluto, un ultimo pensiero alle bellezze che hanno reso la nostra giornata speciale.
Ti è piaciuto questo articolo?
Seguici anche sui social
Iscriviti alla newsletter
|
GLI ARTICOLI PIÚ LETTI
-
ITINERARI E LUOGHI
In Sicilia c'è un tesoro finora inesplorato: dov'è "l'area 57" da scoprire (e tutelare)