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Sorbetti con la neve di San Martino, confetti "reali": a Palermo c'era la pasticceria Gulì

Sorgeva in via Vittorio Emanuele e ha segnato un'epoca. La famiglia visse in modo sfarzoso e riforniva i nobili della città: la frutta dei loro alberi diventava speciale

Maria Oliveri
Storica, saggista e operatrice culturale
  • 16 gennaio 2025

Un riconoscimento alla pasticceria Gulì di Palermo

“Se ci venisse richiesto a chi si deve l’industria delle frutte candite e della confetteria a Palermo; a chi la trasformazione della pasticceria e biscotteria, la creazione d’innumerevoli articoli di fantasia d’ogni genere, noi potremmo rispondere senza esitare: - All’antica e rinomata ditta cav. Salvatore Gulì e figli".

Palermo non ha avuto nel Settecento un caffè storico o letterario come il Florian di Venezia o il caffè Greco di Roma; eppure nella seconda metà dell’Ottocento, specialmente negli ultimi tre decenni, in Via Maqueda e in Via V. Emanuele non si contavano le pasticcerie e i caffè-ristoranti, per tutta una serie di circostanze favorevoli, tra cui una propizia congiuntura economica.

Si legge infatti nella “Guida a Palermo e ai suoi dintorni” di Enrico Onufrio del 1886: “I principali negozii di dolci sono quelli dei signori: Gulì, Giuseppe Bruno, Giov. Battista Barrile, nonché l’Offelleria (l’arte del confettiere) italiana, tutti nella via Vittorio Emanuele”.
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Era dunque tra i dolcieri più noti di Palermo Salvatore Gulì, figlio di Filippo, cavaliere emerito del lavoro, confetturiere premiato in tutte le grandi esposizioni industriali ed agrarie di Europa, con tanto onore del nostro paese.

La ditta di Gulì nacque nel 1812 mentre la pasticceria, con il sistema inglese a vetrine continue, venne inaugurata nel 1875 in Via Vittorio Emanuele (nella parte del Cassaro morto), nel piano terra di Palazzo Amari, all’altezza di Via Parlamento, e si estendeva dal civico 101 al 107: aveva un grande assortimento di biscotti, cioccolata, confetti, frutta candita, zuccata (capello d’angelo), conserve alimentari, confetture, frutta al maraschino e frutta sciroppata, articoli di fantasia e vini di lusso.

Gulì, presente alla mostra di Esposizione agraria, industriale e artistica del 1862 con rinomate specialità (come un vaso con mazzo di fiori in zucchero, e una cesta di frutti autunnali lavorati in pasta di mandorle dolci), si fece molto apprezzare con il modello in zucchero della fontana del Genio di Palermo esistente nella Villa Giulia.

All’esposizione di Parigi nel 1867, tra lo stupore dei tanti visitatori e l’ammirazione di Giuseppe Pitrè, mise in mostra un piccolo carro trionfale di zucchero, che riproduceva alla perfezione quello maestoso del festino di Santa Rosalia.

All’Esposizione di Vienna del 1873, oltre alla frutta candita, alla frutta in pasta d’amandorle e a vari lavori di zucchero, Gulì propose una zucca gigantesca, lunga quasi due metri; era l’ingrediente principe per realizzare la famosa zuccata detta pure capello d’angelo. Espose anche due enormi dolci in glace, che rievocavano la battaglia di Voorth uno e la Comune di Parigi l’altro: 10 kg di zucchero e due mesi di lavoro.

La pasticceria Gulì forniva le migliori famiglie dell’aristocrazia palermitana: si racconta ad esempio che durante le celebri feste che il principe di Trabia offriva sulla terrazza di Palazzo Butera, c’erano alcuni alberi da cui pendevano deliziosi sorbetti, preparati con la neve conservata a San Martino delle Scale.

Venivano staccati dai rami e riscaldati sulle stufe alimentate dalla ditta Gulì. In una ricevuta di pagamento dell’11 Ottobre 1876 indirizzata dalla pasticceria Gulì al principe di Gangi, venivano elencate fra l’altro: le spolettine di pan di spagna, un notevole quantitativo di dolci di riposto; in un altro foglio di pagamento del 14 gennaio 1885 troviamo olivette di pistacchio (simili a quelle che si preparano per la festa di S. Agata a Catania).

Il 12 Gennaio del 1881 in occasione della ricorrenza dei moti del 1848 vennero organizzati a Palermo grandi festeggiamenti, “facendo illuminare tutto il Corso Vittorio Emanuele ed il palazzo di città e ponendo la musica cittadina a suonare pezzi scelti in Piazza Pretoria, mentre i vecchi patriotti, superstiti del 1848, si trovavano riuniti in geniale banchetto all’Albergo Centrale”.

Circa 40 furono gli intervenuti, fra i quali il sindaco senatore Turrisi e l’onorevole deputato Crispi, invitati dalla Società del 1848. Il cavaliere Salvatore Gulì, pure invitato, fece il dono di due grandiose torte coi ritratti dei sovrani d’Italia, non che del Lacrima Christi proveniente dalle sue vigne.

Il Gulì divenne confetturiere della Real Casa d’Italia dal 1866 e della Real Casa di Mecklenburg Scweun e di Portogallo nel 1884. In pochi anni la ditta divenne una vera e propria industria, "tra le prime case italiane del settore" si legge nell’Annuario Commerciale del 1903.

La pasticceria venne rimodernata nel 1885 e la fabbrica fu ingrandita. Alla morte del compianto cavaliere Salvatore Gulì nel 1890, i figli Matteo, Luigi, Domenico e Giovanni presero definitivamente le redini dell’azienda e nel 1903 venne attuata una grande ristrutturazione del locale in stile liberty.

Ad occuparsene fu il celebre architetto Ernesto Armò, che ideò grandi stiponi barocchi ornati con angeli dorati ed eleganti colonne di cristallo di Boemia. Il locale era frequentato dall’aristocrazia e dalla ricca borghesia palermitana, ma anche da illustri personalità di passaggio in città, come Oscar Wilde nel 1900.

Durante le passeggiate pomeridiane e serali, gelati e dolci venivano serviti direttamente nelle carrozze dei titolati avventori da solleciti camerieri: “Parecchi servi portavano attorno i rinfreschi, le gramolate, i gelati, le paste reali, le cucuzzate, i confetti, il rosolio, tutte le leccornie che fabbrica Gulì a Palermo, tutti i dolciumi che fanno le monache delle Giummare a Sciacca". (Blasco E. Navarro della Miraglia, 1879).

Si narra che durante un Natale furono stipati così tanti confetti in vetrina che i vetri si infransero, facendoli schizzare per tutta la Via Vittorio Emanuele, tra l’incredulità e la gioia dei passanti.

I Gulì si gloriarono sempre di fregiare le loro fatture con le medaglie, vinte in mostre ed esposizioni: dalle 40 del 1881 le medaglie collezionate giunsero al numero di 66 nel 1910.

Nella celebre Esposizione del 1891-92 di Palermo ottennero il diploma d’onore per la frutta candita, i lavori in zucchero, le paste dolci, i dolci di cioccolato.

Erano presenti anche con rosoli nel padiglione dell’enologia: Gulì “noto in tutta Italia per la sua valentia nel fabbricare dolci d’ogni genere, si avvale dell’essenza del mandarino pei rosoli e ne fabbrica ogni anno parecchie migliaia di bottiglie, che vende in concorrenza a quelli di anisetto, di cannella, di cedro, di rosa e via dicendo". (F. Alfonso, Trattato sulla coltivazione degli agrumi, 1875).

Gulì divenne famoso soprattutto come il re della cassata: non ne fu l’inventore (il dolce veniva realizzato già nelle case aristocratiche e nei monasteri), ma ne arricchì la ricetta ed esportò il dolce in tutto il mondo rendendolo celebre.

Si leggeva ne "La Sicilia illustrata" di Gustavo Chiesi (1892): “La non mai celebratissima cassata di Gulì è una focaccia dal contorno di pan di spagna, ripiena dentro di una pasta, di ricotta, di pistacchi, di frutta giulebbati, di miele, si eccessivamente zuccherata da non averne idea -.” scriveva Gustavo Chiesi ne “La Sicilia illustrata” (1892).

Scrive Marco Blanco nel suo volume "I quaderni di Archestrato Calcentero": “Senza nulla togliere alle capacità gastronomiche e imprenditoriali del cav. Gulì, si è avuto modo di accertare che la cassata con glassa e canditi esisteva sulle tavole palermitane già alla fine del XVIII secolo. Il suo merito dunque, volendo salvare parte dell’aneddotica popolare e l’eventuale indignazione degli eredi, sarebbe stato quello di aver reiventato la cassata codificandone gli ingredienti, la forma e il tipo di decorazione”.

Si racconta che Umberto I, dopo aver gustato la cassata di Gulì, avesse deciso di farsene spedire ogni mese nella capitale un cospicuo numero: il dolce arrivava perfettamente integro al Quirinale, confezionato in scatole di latta dai colori vivaci. La cassata di Gulì ebbe dunque un successo straordinario; divenne un dolce veramente iconico: per complimento si cominciò a dire a Palermo di una bambina o di una signorina: “Che bella! Pare una cassata!”.

La maggior parte delle volte il Gulì veniva premiato per l’eccellenza della sua frutta candita, trasparente e morbida sotto la crosta di zucchero: conservava “lo squisito sapore e il profumo del frutto in tutta la sua freschezza”. Famosi erano anche i suoi pipatelli: croccanti fettine ottenute con fior di farina, pepe e anice.

Oltre alla cassata, un altro cavallo di battaglia della pasticceria erano i cannoli, capaci di battere qualunque concorrenza, persino quella di un celebre rivale, il Cav. Bruno.

A proposito: Mariannina Gulì, figlia di Salvatore, aveva sposato Francesco Paolo Bruno, figlio del cavaliere Bruno, che nel 1844 aveva fondato la Real Confetteria, di fronte alla chiesa di S. Giuseppe in corso Vittorio Emanuele 333. Sia la pasticceria di Gulì che quella di Bruno erano entrambe fornitrici della Real Casa.

I figli di Salvatore ampliarono le loro relazioni e consolidarono le loro esportazioni in Europa, ma soprattutto nelle Americhe, specialmente per le festività di Natale e Pasqua.

Alla fine dell’Ottocento una Dolceria Gulì era aperta anche in via Ruggero Settimo n. 2 e n.4, che si spostò dal n. 36 al n. 38 dal 1907 al 1936; un’altra pasticceria si trovava in via Maqueda n.200. Con 45 dipendenti la ditta Gulì era un’industria di eccellenza; si legge su “Il Mezzogiorno all’esposizione nazionale in Milano e l’esposizione Nazionale del 1881”: “La Sicilia ha elevato a grande industria la fabbricazione dei dolci per opera del sig. Gulì di Palermo, i cui prodotti competono con le migliori fabbriche di Savona e Genova” e ancora “il cav. Salvatore Gulì era un esempio dell’industriale onesto e intelligente.

Egli nel suo genere d’industria seppe largamente sviluppare e popolarizzare i suoi prodotti, che vengono richiesti e apprezzati in molte città del continente italiano e dell’estero.

Ed alla mia memoria si affacciano con piacere le parole dette al suo indirizzo da S.M. nell’udienza del 12 Marzo 1885: “Il Gulì fa onore all’Italia”. (F. Palmigiani, Cronaca delle società operaie dal 1860 al 1890, Palermo, 1891) I Gulì acquistarono un bel palazzo in Via V. Emanuele 355 (Palazzo Maurigi – Gulì, oggi proprietà del Comune di Palermo), ad angolo con vicolo Marotta dove avevano il laboratorio di produzione di tavola calda.

Un altro palazzo di loro proprietà era nei pressi dell’Università.

Vissero in modo sfarzoso e smisero a Palermo la loro attività negli anni del dopo guerra: nel 1946 cedettero il loro esercizio ai Valdes, in origine tabaccai; ma lo spostarsi dell’asse cittadino dal centro storico verso le nuove zone di espansione edilizia dette alla ditta il colpo finale, causandone la chiusura nel 1950.

Qualche anno fa il Comune ha apposto una targa sulla facciata di palazzo Gulì per ricordare il cavaliere Salvatore, grande imprenditore e orgoglio palermitano.

Fonte: A. M. Ruta, E. Sessa, I caffè storici di Palermo. Dalle origini agli anni Settanta, 2004.
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