MISTERI E LEGGENDE
Sicilia caput mundi: la volta in cui il padre del comunismo spedì una lettera a Palermo
Ecco cosa scrisse Friedrich Engels ai siciliani, indirizzando una sua lettera al giornale politico "La Riscossa", e incappando anche nella censura che bloccò l'uscita
Hans Mocznay, Marx giovane a colloquio con operai di Parigi, 1844
Gli affari commerciali non gli impedirono però di portare avanti la propria educazione politica e scientifica. Iniziò a disprezzare l'autocrazia quando ancora era studente ed entrò ben presto in contraddizione con le idee politiche e religiose del padre, fervente pietista.
Appassionato economista, giornalista e filosofo, fu una personalità poliedrica dal punto di vista culturale interessandosi in giovane età anche di musica e poesia. Insieme a quello che divenne il suo inseparabile amico e compagno di lotte, Karl Marx, fu cofondatore del socialismo scientifico e del materialismo dialettico.
Dopo la morte nel 1883 di Marx, Engels ne divenne il curatore dell'eredità intellettuale e suo primo divulgatore, consentendo di rendere pubbliche nel decennio successivo, numerose sue opere incompiute, su tutte il II° e III° libro de Il Capitale. Lenin, che negli anni a venire sarebbe poi diventato il padre della Rivoluzione Russa, in un discorso tenuto in onore della sua morte, non esitò ad affermare che dopo Marx, “Engels fu il più grande scienziato e maestro del proletariato moderno dell'intero mondo civilizzato”.
La produzione di Engels è vasta e alcune delle sue opere hanno letteralmente scritto pagine indelebili della storia del '900; non sono in tanti però a sapere che tra le comunicazioni epistolari ne esiste una scritta di suo pugno e indirizzata ad un giornale di Palermo, La Riscossa. La lettera sebbene sia datata 26 settembre 1894, venne a causa della censura pubblicata solo l'anno seguente, nel giugno del 1895.
Dopo la sua morte, fu ristampata da Critica Sociale (n. 16 del 16 agosto 1895) col titolo redazionale Parola d’addio all’Italia, nonché dal tedesco Sächsisches Volksblatt (Giornale popolare sassone, n. 95, 13 agosto 1895) sotto il titolo “L’ultimo messaggio di Engels agli operai”. Era in sostanza la risposta alla richiesta rivoltagli nella missiva del 18 settembre 1894 da Colnago, uno degli esponenti del Partito socialista siciliano.
Il filosofo con tale messaggio portava un saluto ai socialisti siciliani, in un periodo storico assai contrastato e difficile. Il 1894 infatti fu un anno particolarmente cruento per i movimenti di matrice socialista del nostro paese: la legge sulle misure d’urgenza per la sicurezza sociale, approvata il 14 luglio ed emanata formalmente in chiave anti-anarchica, finì per essere sfruttata dal governo reazionario di Crispi per soffocare il movimento operaio e la crescente influenza dei socialisti.
Lo stesso Partito socialista dei lavoratori italiani venne messo fuori legge; furono chiuse le organizzazioni operaie, numerose redazioni di giornali e riviste; vennero effettuati arresti di massa e si moltiplicarono le perquisizioni e i procedimenti giudiziari. In questa cornice storica in Sicilia si inserisce anche il Movimento dei Fasci dei Lavoratori Siciliani (1891-1894), il più grande movimento organizzato dell'epoca dopo la Comune di Parigi.
I fasci a cui aderirono migliaia tra operai, contadini, artigiani e intellettuali, si ponevano come fine quello di contrastare il latifondo agrario, ribellarsi alle prerogative di una monarchia sempre assente e lontana dai problemi della gente e di raggiungere degni livelli di giustizia sociale e di libertà.
Ambizioni che furono cancellate dalla repressione attuata dal Generale Morra, incaricato da Crispi su pressione dei latifondisti agrari di sedare le rivolte: le uccisioni di numerosi manifestanti furono accompagnate dall'incarcerazione dei dirigenti dei Fasci e in più di settanta paesi vennero condotti arresti di massa; più di 1000 persone furono costrette al soggiorno obbligato nelle isole minori, spesso anche perché semplicemente sospettate di essere simpatizzanti del movimento.
Ecco la lettera
Saluto ai socialisti siciliani
Salute e lunga vita al vostro giornale, organo dei lavoratori siciliani, salute al vostro partito che si riorganizza! La natura ha fatto della Sicilia un paradiso terrestre; ragione sufficiente questa perché la società umana, divisa in classi opposte, ne facesse un inferno. L’antichità greco-romana ha dotato la Sicilia della schiavitù per far produrre le grandi proprietà e le miniere. Il medioevo alla schiavitù ha sostituito il servaggio e la feudalità.
L’epoca moderna, benché pretendesse di aver spezzate queste catene, non ha fatto che cambiarne la forma. Non soltanto essa ha conservato in realtà queste antiche servitù, ma vi ha aggiunta una nuova forma di sfruttamento e la più crudele, la più spietata di tutte: lo sfruttamento capitalista. Gli antichi poeti della Sicilia, Teocrito e Mosco, hanno cantata la vita idillica degli schiavi pastori loro contemporanei. Erano, senza dubbio, sogni poetici.
Ma vi è un poeta moderno così audace da cantare la vita idillica dei «liberi» lavoratori della Sicilia d’oggi? I contadini di quest’isola non sarebbero felici se potessero lavorare i loro campi financo con le dure condizioni della mezzadria romana? Ecco sin dove ci ha condotti il sistema capitalista: gli uomini liberi rimpiangono la schiavitù del passato! Ma ch’essi si rassicurino.
L’aurora d’una nuova e migliore società sorge luminosa per le classi oppresse di tutti i paesi. E dappertutto gli oppressi serrano le file; dappertutto essi s’intendono a traverso le frontiere, a traverso le diverse lingue; l’esercito del proletariato internazionale si forma, e il nuovo secolo, che sta per cominciare, lo guiderà alla vittoria!
Per capire le miserabili condizioni dei contadini siciliani a cui Engels fa riferimento, per comprendere perché quella povera gente decidesse di protestare e di farsi massacrare dall'esercito regio e dai carabinieri pur di cambiare le proprie condizioni di vita, si devono richiamare quelli che erano i patti colonici più diffusi nell’800 nell'isola: la mezzadria ed il terratico.
Con la mezzadria il proprietario metteva a disposizione del colono la terra, anticipando le sementi e quest’ultimo era invece tenuto a svolgere tutti i lavori necessari per la produzione; il raccolto veniva poi ripartito in modo sistematicamente iniquo e penalizzante per il colono. Si andava da una divisione a metà del raccolto fino ai casi in cui la suddivisione prevedeva l’attribuzione dei due terzi al proprietario e solo del restante terzo al colono.
Alla base del contratto di mezzadria, dunque, c’era sempre lo sfruttamento del colono da parte del proprietario. Il contadino e in modo particolare il mezzadro che usava i suoi muli e la sua attrezzatura per lavorare la terra, finiva poi spesso per essere con questi indebitato in modo permanente. Inoltre il contratto tra le parti era sempre verbale e così i proprietari avevano gioco facile nel negare le condizioni precedentemente pattuite, abusando del lavoro dei contadini.
Come se ciò non bastasse, della sua quota il mezzadro doveva cederne una parte che il proprietario distribuiva tra i campieri. Questi lasciti erano in realtà tributi che il contadino era obbligato a pagare in cambio di protezione. Il ”terratico” era per il contadino, un patto ancora più svantaggioso di quello di mezzadria. Infatti, mentre con la mezzadria il compenso dovuto al proprietario era proporzionato al raccolto, nel terratico il colono doveva versare al proprietario una quota fissa, in denaro o in natura, indipendentemente dall’esito dello stesso; bastava quindi una cattiva annata per costringere il terratichiere a rivolgersi all’usuraio o a vendere quel poco di cui disponeva per far fronte alla quota dovuta.
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