STORIE
Si chiamava "a Missinisi" ma era a Palermo : la storia di una casa chiusa (d'elite)
La clientela di questo luogo divenne tanta che la messinese ottenne il “favore” di poter nominare a se stessa lo slargo ove sorgeva la sua attività
Su lapardeo/i, c’è già chi se ne è occupato esaurientemente, ma siccome noi siciliani riusciamo sempre a dare diverse sfaccettature alla medesima parola, in questo caso “lapardeo” è inteso come accanito fruitore della “tavola è trazzera”.
Fedeli a questa perla della saggezza popolare, un gruppo di 4 amici, di cui mi onoro di far parte, non perde occasione, weekend, feste, uno dei quattro che torna dalla polentonia o semplicemente un “ma chi fa a faciemu un’arrustitina?”, per indire un consesso dei “4 schiticchieri”.
Così mentre moglie e fidanzate sono impegnate in auliche e sostenute discussioni vertenti sul valore dell’istituzione scolastica e delle metodologie più adeguate a sfornare i migliori cittadini possibili (ebbene si, il fato avverso ha voluto che tutte facessero lo stesso mestiere), noi ci riuniamo attorno alla garigghia all’urlo di “isa isa isa, cala cala cala, accosta accosta accosta, a salute nostra”, incrociando i bicchieri in un gesto univoco di unione e solidarietà maschile di natura triviale.
Così Roberto, il vero sportivo dei 4, e Salvuccio, bicimuniti per ovvie ragioni di tasso alcolemico, si sono immolati per scendere in paese nu zù Nicola, titolare della rinomata bottega “Alimentari Tinnirello” con originale insegna anni 60 a neon, in quel di piazzetta Resuttana, per sovvenzionare, tramite l’acquisto di una adeguata scorta di beveraggi, il percorso universitario ai figli del bottegaio.
Pare che i due “ciclisti”, nel loro pedalare errante, abbiano raggiunto le porte di Gondor, senza dimenticare di passare dalle rovine di Babilonia per accedere al tempio di Salomone, al fine di tornare ebbri di conoscenza.
«Talè…vero che a scinnuta tutti i santi aiutano, ma all’ acchinata, con dietro le cassette mica tanto…». «E vabbeh come stai facendo amunì…». «Ma poi infugnato ra bella! Altro che piazzetta Resuttana, piazzetta ReButtana!».
«Robè come sei triviale (rutto), che poi tu ci babbii, ma a Palermo vero c’è una piazzetta intitolata ad una but… una libera professionista dell’ amore». «Se e ci travagghia to suor…». «Ah! non dire cose di cui potresti pentirti uomo sprovveduto… e vedi di stappare una birra bella atturrunata!».
Nella zona di via Roma, imboccando la traversa che porta al piccolo teatro di Santa Cecilia, si arriva ad una piazzetta, ove esercitava la sua attività “a Missinisi”-
Che poi alla fine non era neppure originaria di Messina, ma palermitanissima, ma il fascino esotico di una “straniera” rendeva più facile vendere i suoi alternativi dolci servigi.
Anticamente, li vicino, vi era un caravanserraglio, e questo procurava un inevitabile passìo di mercanti, viaggiatori, soldati.
Magari pure qualche pellegrino che non disdegnava un pasto caldo, un bagno e del riposo, e la gradevole compagnia della missinisi, talmente professionale e preparata nel suo campo da divenire famosa in tutta la città e magari anche oltre le mura.
Le carte passavano della bella, al punto che ben presto dal semplice ruolo di “operaia”, la messinese, passò a quella di “imprenditrice”, creando, dapprima una semplice struttura con delle ragazze, per poi offrire la compagnia di finte “cortigiane francesi”.
Si trattava in realtà ragazze del luogo che parlavano con la r moscia, si davano un tono, vestivano con abiti ricercati e provocanti e magari accennavano anche un bacetto saffico raccontando di essere nate a Parigi, il che accendeva le fantasie erotiche dei clienti.
Le “cortigiane” (che da decalogo dovevano essere esclusivamente di origine francese), fino ad allora erano state esclusivo appannaggio dei facoltosi signori della nobiltà, i quali le assumevano come cameriere (motivo per cui i nostri nonni usavano il termine “cameriera” come appellativo offensivo”) per poi indirizzarle ad altre, più peccaminose, funzioni.
Stessa cosa accadeva presso l’ ordine dei nobili cavalieri di Malta, i quali, tra una guerra santa ed un’ altra, non disdegnavano di rendere partecipi delle loro epiche battaglie le loro cortigiane francesi (questa volta vere), bendisposte ad ascoltare le loro epiche gesta e “ringraziarli” di tanto eroismo e coraggio.
Ma l’imbiria abbrucia l’occhi comu a cipudda, così la Chiesa, nella figura del Papa Gregorio XIII, parecchio interessato agli affari intimi dei suoi sottoposti, inviò a Malta un suo uomo di fiducia per verificare cosa facessero sti cavalieri in tempo di pace.
L’uomo del Papa indagò in modo talmente approfondito da essere “entusiasta” dei passatempi dei cavalieri, e tra dolci compagnie e regalie si convinse a riferire al papato che non c’era niente di cui preoccuparsi, e che quei pii uomini altro non facevano che pregare, raccomandare la loro anima a Dio nel caso in cui fossero caduti in battaglia ed allenarsi nell’ arte della scherma.
Insomma tutto a posto, almeno fino a quando a Gregorio succedette Sisto V, avvezzo a spararsi certe pippe mentali che Pornhub a confronto era una puntata dei Teletubbies, che inviò dai cavalieri un esperto di diritto canonico ed un irreprensibile investigatore.
Sinceramente non escludo che anche loro non abbiano approfittato dei favori delle belle cortigiane e dei cavalieri, ma siccome era chiu assai u fango che a scalora, riferirono a Sisto come stavano le cose.
Lui cominciò a minacciare punizioni per i cavalieri ed emettere bolle papali per le ragazze che nel tempo cominciarono ad essere chiamate donne con la bolla, poi semplicemente bolle, per poi finire al famigerato "pulle".
Insomma sciarratine, tricchi tracchi e bumme a mano il gran maestro dei cavalieri di Malta, quantomeno pi lavarici a faccia a Sisto, dovette prendere dei provvedimenti.
Così ordinò, con sommo dispiacere suo e dei cavalieri, l’immediata espulsione delle cortigiane francesi dalla piccola isola, le quali, trovandosi di punto in bianco a sloggiare approdarono in Sicilia, soprattutto nella zona del palermitano.
Alla fine, una volta approdate in terra sicula, si accorsero che alla fine non si stava poi tanto male, e, capaci di leggere e scrivere, suonare uno strumento.
Avezze alla pulizia e depilazione non faticavano poi tanto a scavalcare le meretrici autoctone, poco raffinate e delle quali la più pulita puzzava d’aglio, usato ai tempi come antisettico, al punto di ammazzare tutta la settima generazione di Dracula.
La messinese, che nel tempo aveva raccolto piccioli ed amicizie influenti, ed aveva scagghiuna belli affilati, intuì subito il potenziale di queste dame, e che la clientela più esigente, avrebbe volentieri messo mano al portafogli per intrattenersi con una donna di cotal talento, sia nelle arti amatorie che in quelle dell’intrattenimento.
Così si cominciò ad andare al “locale maltese” poi rinominato dai frequentatori il “bordello maltese”, si per compiacersi dei favori delle bellissime donne della struttura, ma anche per poter ascoltare della musica, bere liquori e chiacchierare con queste giovani donne sempre ben vestite.
Cose del tutto impossibili con le libere professioniste del tempo che si limitavano al solo atto senza perdere tempo in altro.
La clientela di questo “esclusivo club per soli uomini”, tra autorità civili, ecclesiastiche e nobili, divenne tanta che la messinese ottenne il “favore” di poter nominare a se stessa lo slargo ove sorgeva la sua attività, da sempre senza nome, divenendo così “piazzetta della messinese”.
Nel tempo le cortigiane maltesi divennero parte integrante del tessuto della ricca società palermitana.
Al punto che in lusso e sfarzo non erano seconde alle nobili signore “perbene”, le quali, indispettite da tale indecenza, ottennero che le autorità promulgassero una legge secondo la quale le signorine non potessero possedere carrozze.
Ecco quindi che le raffinate cortigiane furono costrette, per i loro spostamenti, a camminare per le polverose, ed a volte, infangate vie di Palermo, con il rischio di rovinare l’ orlo delle gonne dei loro sontuosi vestiti.
Per ovviare al problema commissionarono ad alcuni abili artigiani delle eleganti calzature dalla suola molto alta, simili a degli zoccoli, a tal punto che divennero dei simboli distintivi creando il soprannome di “zoccole”.
La pratica della prostituzione “regolare” continuò, fino alla promulgazione della legge Merlin del 1958, che decretò la totale chiusura delle case chiuse autorizzate.
Disse la Senatrice che quella legge serviva per «abolire la regolamentazione della prostituzione, difendere la libertà personale di chi si prostituisce e pervenire ad una più efficace lotta nei confronti di ogni forma di parassitismo».
Ma in realtà, all’ atto pratico, fece solo in modo che le professioniste si spostassero nei sobborghi continuando ad esercitare la “professione” in modo clandestino, senza controlli medici, amministrativi e di polizia, favorendo così il dilagare di malattie veneree e finendo nelle mani di malaminnitta che le trattarono, e trattano, come bestie da macello.
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